RAPINA IN AGENZIA
 

Non c’era bisogno di dire alcun che: i due mitra puntati; le calze sul viso, le mani guantate parlavano da sole un linguaggio imperativo.
I sei dipendenti dell’Agenzia n. 2, all’estremo lembo periferico della città, ammutolirono alzando le mani come vuole la prassi in queste occasioni, attendendo col batticuore lo evolversi degli eventi, cercando di evitare ogni e qualsiasi anche piccolo movimento che potesse dar adito ai visitatori di pensare che si volesse far suonare la sirena d’allarme.
Era proprio come si leggeva nelle cronache giornaliere, perchè ormai era una notizia di ogni giorno; era come vedere un filmetto solo che il pericolo lì era imminente, reale, presente.
II terzo incomodo, che non avevano ancora visto, abbassò la saracinesca esterna poiché era proprio l’ora della chiusura meridiana e questo non avrebbe dato nell’occhio ma anzi avrebbe favorito ‘l’operazione bancaria’ del resto concertata e cronometrata su tale manovra a spinta.
Fatto, si diresse verso il bancone e lo scavalcò con agile salto, in modo molto simile a certe sequenze filmiche, dalle quali forse il giovanotto aveva tratto lo spunto.
Probabilmente era il capoccia perchè eseguiva tutto con decisione sistematica, senza esitazione, come se l’avesse già provata o eseguita altre volte, il che poteva essere anche vero, a danno di altre Agenzie o succursali di paese. Gli altri due attentissimi, erano ‘fusti’ atleticamente dotati, solo non si vedeva dietro le calze se lo sguardo era grifagno, malvagio o semplicemente impaziente.
Il cassiere arretrò sotto lo sguardo vigile del bandito; il quale comunque non mostrava armi, ma bensì una capace borsa, tenendo ben alte le mani perchè fossero chiare le sue intenzioni di non interferire nella operazione bancaria. D’altra parte, in diverse occasioni, parlandone, gli stessi dirigenti avevano commentato che in simili circostanze non era il caso di fare gli eroi per salvare della carta moneta, coperta poi da una rilevante polizza di assicurazione.
Il bandito arraffò a piene mani le banconote dal cassetto semiaperto gettandole dentro alla rinfusa, non mancando di dare sguardi, anch’essi furtivi, ad evitare qualche mossa di sorpresa.
I sei dell’Agenzia se ne stavano buoni buoni, piuttosto smortini in viso, impalati, mentre solo gli occhi si azzardavano a girare dalle canne dei mitra ai guanti dell’imborsatore pregando il Cielo che facesse veramente presto.
Molte volte, leggendo le notizie delle altre rapine vi avevano celiato sopra, ora però, trovandovicisi invischiati, ne era loro passata la voglia.
L’azione comunque durò pochissimo com’era del resto prevedibile. Vuotati cassetto e cassaforte e raccolti alcuni milioni in tutti i tagli disponibili, logori compresi, e senza osservare se qualche biglietto fosse per caso falso, retrocessero lentamente, sempre col mitra puntato e con l’occhio vigile di sotto la calza di seta. Il terzo uomo rialzò la saranda mentre si udiva, appena fuori, il rumore di un motore acceso e su di giri, pronto a scattare. Uno di loro si soffermò un attimo a guardarsi attorno, si voltò, schioccò un segnale convenuto e tutti loro, come fantasmi, in un attimo scomparvero.
Prima che qualcuno si muovesse passò qualche istante, poi, come un pallone che si sgonfi, si udì un gran sospiro e tutti si gettarono su qualche cosa: il Procuratore sulla sirena anche se ormai non era più il caso di suonarla; il Direttore al telefono per avvisare la Sede, l’impiegato al servizio Vudoppio-ci perchè il tutto l’aveva preso allo stomaco e sentiva movimenti antiperistaltici; il cassiere sul suo cassetto guardando desolato gli scomparti vuoti. Senonchè, guarda caso, l’occhio attento vide appiccicato al divisorio del compensato, invisibile ad occhio inesperto se non si guardava con una angolazione di novanta gradi, un biglietto da diecimila, residuato di guerra, ultimo rimasto di una stirpe infelice.
Vi furono nella sua giovane mente pensieri rapidissimi, intuitivi, istintivi, accavallati.
Il pensiero che per primo si fece strada e prese il sopravvento fu che anche quel biglietto poteva far parte della rapina e non valeva la pena che fosse salvato, tanto, uno più uno meno, sarebbe intervenuta l’Assicurazione...
Non v’era tempo per rimorsi, considerazioni di carattere ascetico, esami di coscienza e simili che, appena affiorati, erano ricacciati indietro dall’esiguità dell’atto, dell’importo, dell’occasione. V’era il pericolo di compromettersi per quel pochissimo che era controbilanciato dall’aura avventurosa, dal coraggio di rompere un’onestà tradizionale, forse non proprio rompere ma scalfirla.
La mano sinistra per riflesso sbattè gli scomparti vuoti per mettere in evidenza la pulizia effettuata, la destra scese lungo il compensato e le dita, quanto mai agili, per l’occasione, impressero al biglietto un moto accartocciatorio mentre, per evitare il rumore del lieve fruscio, si esclamava con senso di commiserazione, di sdegno, di incredulità: « Tutto hanno spazzato via!! »
La voce si perdette nel vuoto perchè ognuno stava già facendo altro, e l’occhio impresse sulla retina la certezza che nessuno badava a lui in quel momento, in quelle frazioni di minuto che precedevano il venire a constatare, com’era intuibile per curiosità naturale, il vuoto spinto che era rimasto nei contenitori.
La pallottola filigranata intanto era stata realizzata. La mano sinistra allora lasciò il cassetto e si agitò dinnanzi, la destra si infilò nella tasca del Pantalone ov’era, accidenti, il fazzoletto. Due dita compressero convulsamente da un lato l’involto carico di mucosa e senza troppi riguardi, mentre le altre due dita spingevano sotto, a fondo, la sua rapinina.
Poi il fazzoletto uscì, il naso fu soffiato sommessamente ma evidentemente, in modo che la mano messa in tasca avesse la sua giustificazione presso i più vicini colleghi che ormai stavano avvicinandosi.
La situazione quindi si confuse. Erano passati solo pochi minuti che, richiamati dalla sirena che continuava a straziare e dalla visione dell’impaurito commesso che, raggiunta con precauzione la porta d’ingresso s’era azzardato a guardar fuori, la gente prese ad interessarsi di quant’era successo. Il commesso faceva gesti sconsiderati e non si capiva bene se intendesse chiedere aiuto, se intendeva tranquillizzare la gente che si girava da quella parte guardando attonita o se pure voleva essere il primo ad avere la soddisfazione di rendere pubblica la novità elettrizzante.
Arrivò gente, guardie, funzionari di Direzione.
Furono raccolte testimonianze, indicazioni, deposizioni, indizi.
Quindi la saracinesca ridiscese e, senza por tempo in mezzo, si procedette ad una quadratura di cassa, supervisionata, per stabilire l’entità del danno, numeri, importi e banche trassate per gli assegni, onde bloccarli e segnalarli a tutte le banche del territorio nazionale, nella speranza che qualcuno di essi tradisse il ladro presentatore.
Fu un lavoro svolto con eccitazione, molto in fretta e convulsamente, per giungere presto a dati di fatto concreti ed accertati.
Come Dio volle tutto finì.
Stanchi, smorti, ma con l’aureola dei martiri o degli eroi, i sei, già ampiamente fotografati dalla stampa locale, uscirono dalla fatidica porta. Erano ancora tutti eccitati dall’avventura, bramosi di potere, ciascuno dal suo punto di vista, narrare agli amici quello che stava per fare per salvare la situazione e che ciascuno non aveva fatto solo per non mettere a repentaglio la vita dei colleghi.
In mezzo a loro uno era particolarmente soddisfatto, non tanto per l’entità quanto per la capacità, concludente che infine tutti i mali non eran venuti per nuocere...
 

Virginio Inzaghi


 

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piazzascala.it - agosto 2017