LE MINUTAGLIE
Con
gesto velocissimo il commesso afferrò il barattolo della colla,
mentre il cassiere era girato dall’altra parte, e glielo involò.
Era suo, lo usava lui, doveva rimanere nel suo cassetto.
Qualsiasi commento suonerebbe superfluo se non evidenziasse
alcune consuetudini forse locali, forse generali, forse
universali. Le consuetudini cioè dello stretto possesso
personale, dell’individualismo, della mancanza di una visione
comunitaria sia delle piccole che delle grandi cose, dei
rapporti umani, della reciproca intraprendenza che non sta a
sottilizzare se debba andare io o se vai tu all’economato a
farti dare un altro barattolo.
Mille sono le piccole minutaglie, all’apparenza inconsistenti,
ma riflessi di un modo di pensare, di un modo di vivere.
Prendiamo per esempio la carbonatura dei moduli: era una piccola
fonte di scaramucce.
L’uomo tuttofare doveva carbonare per quaranta impiegati almeno,
oltre accedere a tutte le altre incombenze di sua spettanza ed a
quelle che gli facevano fare extra quando mancava un commesso.
Anche qui vi erano moduli simpatici e moduli antipatici, oppure
destinatari assillanti o comprensivi per cui ci si trovava un
certo gusto a far ammattire i primi ed altrettanto a far
aspettare i secondi, i quali, per il loro carattere
conciliativo, se li carbonavano da soli, e l’uomo di fatica
raggiungeva l’obiettivo di non farli. Vi erano poi pezzature di
carta carbone di un formato tale per cui bisognava alzarsi per
ritirare un pacco intonso dalla cassettiera non vicinissima e
non sempre all’uomo suddetto gli andava a genio. Questo
significava trovare moduli di formato lungo carbonati con tre o
anche quattro pezzi di carta carbone che, regolarmente,
svolazzavano per il salone con ondeggiamenti primaverili, quando
li si inseriva nella macchina da scrivere, raggiungendo
delicatamente le piastrelle ripassate con lucida cera. La cosa
migliore era perciò carbonarsi i proprii moduli, i proprii dico,
non quelli dell'Ufficio, con gran sollievo dell’uomo incaricato
che faceva di tutto per insegnare o facilitare tale incombenza.
Consideriamo le graffette ed i fermagli: quando si era senza le
si cercava nel cassetto del vicino quando lui andava al
gabinetto e se non ce n’erano o erano state nascoste, si usavano
i punti metallici a cucitrice. Era assai facile perciò che in
quella giornata ogni pratica fosse cucita, perfino le cedole
delle distinte, mentre se la consistenza dei moduli era notevole
se ne davano da una parte e dall’altra perchè le cucitrici a
mano avevano una presa debole e ne occorrevano parecchi per
tenere insieme il fascio di carte. L’Ufficio destinatario poi
saraccava per l’impazienza e la scocciatura, oltre a strappare
di tanto in tanto qualche foglio o sollevare con lo ‘sgarzino’ i
punti metallici per non sciupare i fogli talvolta destinati
all’Onorevole Direzione.
Osserviamo i rotoli per le macchine calcolatrici. Per alcuni
lavori servono quelli per somme semplici, per altri le strisce
carbonate per la duplice copia. Alla sera si poteva osservare
l’impiegato del riscontro che, dopo le ore d’ufficio, si fermava
quel tanto che bastava a sfilare dalla macchina di cassa il
rotolo così per l’indomani era a posto senza dover compilare il
modulo prescritto di richiesta, farlo vistare ed attendere che
l’economo glielo portasse. Così invece era molto più comodo, e
se non c’era il rotolo semplice per un giorno o due si poteva
anche usare quello doppio anche se la copia non serviva.
Era pigrizia? No, direi, era una forma di egoismo.
Prendiamo le biro. Si, proprio prendiamo perchè bastava
lasciarla incustodita per trenta secondi ed anche meno che c’era
da perdere una mezz’ora per identificare, e non sempre, chi per
errore, guarda, l’aveva soffiata.
Consideriamo certe operazioni di sportello: quando se ne
presentava una un po’ difficile o rognosa, si faceva di tutto
perchè fosse un altro ad avere la soddisfazione di portarla a
termine. Non la si vedeva, c’era altro da fare in quel momento,
c’erano imprescindibili necessità corporali. Oppure quando si
presentava la donnetta con lo scialle in testa di classico
sapore ottocentesco, che del denaro aveva ancora un sacro
rispetto ed una sorpassata valutazione e, nella sua semplicità,
intendeva aprire un libretto di risparmio di poche migliaia di
lire, si sentiva benevolmente indirizzata all’Istituto di fronte
‘specializzato’ in tale tipo di operazioni che comportava...
troppo lavoro per un importo così esiguo.
Egoismo minuto è credere che tutto sia a posto nel lavoro di
giornata per non fermarsi a dare una mano, ignorare che c’era da
fare ancora quella tal cosa che il giorno prima, per piacere,
eravamo stati invitati a fare, il dire ‘potevate dirmelo’,
quando l’onda di piena è passata e gli argini, pur
scricchiolando, avevano retto all’urto.
Se poi capitava d’avere in Filiale una sedia con una gamba
incerta e dondolante, minaccevole di stacco, si poteva star
certi che faceva il giro di tutti gli uffici che, con strategia
tempestiva, la sostituivano con una buona alla prima favorevole
occasione.
Perfino il telefono diveniva un’angustia.
Se suonava in un ufficio che non era il proprio e non c’era al
momento nessuno degli interessati si formava istantaneamente il
vuoto per un raggio di parecchi metri fin che l’interessato si
lanciava a tuffo ansimante e digrignando tra i denti epiteti
poco ragguardevoli nel confronto di chi telefonava ed anche di
tutti gli altri, colleghi vicini compresi. Se invece si era
seduti poco lontani dal trillatore ed una fuga sarebbe stata
notevolmente clamorosa, la carta o l’operazione che si aveva tra
le mani diveniva tanto importante e concentrativa da far
prendere perfino la testa tra le mani, socchiudere gli occhi nel
pensiero fisso, immergere la mente in un mondo estraneo, extra
presente, tanto da far ignorare il ritmico assillante richiamo
del piccolo apparecchio. Apparecchio che in certi casi,
occasioni e momenti era mandato al diavolo e non considerato
come avvicinamento ed unione dell’umano consorzio.
Quello che poteva essere detto per gli aggeggi di uso
quotidiano era però largamente inferiore a quelli che erano i
riflessi istintivi in cui poteva entrare la cortesia o
semplicemente i rapporti di vita comunitaria, ov’era richiesto
di fare volontariamente una cosa, anche ben minima, a beneficio
di un altro. Era fatta si, se presi di petto, da un amico o da
un mezzo superiore (da più in alto era un ordine non un
piacere). Allora non si poteva ignorare la richiesta o non si
riusciva a trovare, seduta stante, una scusa che reggesse alla
critica. Molte volte, eroicamente, il rifiuto era fatto per una
questione di principio, si diceva, per punire l’Istituto che,
per il lavoratore, non aveva alcuna considerazione, che se il
personale non era sufficiente ne prendessero altro in più,
solidamente allineati alle posizioni politico sindacali che
questo esigeva da ciascun iscritto o simpatizzante, dicevano, ed
anche da ogni singolo lavoratore. In pratica, se questa teoria
era valida per certe occasioni, non lo era per altre incombenze,
talvolta veramente minime, ove un briciolo di tolleranza e
generosità poteva rendere la vita più serena, più tranquilla,
meno amara di fiele.
Molto se ne è già detto ed evidenziato, anche solo limitando la
critica a questi brevi accenni. C’era però ancora qualcosa di
buono fra i colleghi che lasciava a ben sperare.
In mezzo a questa ridda di reazioni istintivamente negative
c’era però una certa tolleranza dei difetti altrui, accettati
con comprensione e magnanimità..., purché non avessero a
toccarsi direttamente...
Virginio Inzaghi
I bancari vil razza dannata:
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