UN CONTRIBUTO AL RISORGIMENTO DAI FRATELLI TREBESCHI

 

Nel libro Le storie di casa nostra, pubblicato 2004 dalla famiglia di Eletra Trebeschi Maggi ' (1887-1977) per raccogliere i suoi ricordi annotati in quaderno negli anni Cinquanta, si trovano zie riguardanti una famiglia giunta a Cellatica da Gussago agli inizi dell’Ottocento. Si tratta di Andrea Trebeschi, bisnonno di Eletra, che aveva ereditato dal nobile Camillo Sala, presso cui lavorava, case e terreni “per segno di riconoscenza del prezioso aiuto e consiglio avuto”, come è scritto nel testamento di Camillo Sala pubblicato nel 1809. Andrea si dedicò all'amministrazione della nuova proprietà, ampliando la casa di via Attico creandovi una ben attrezzata cantina con dodici mastodontici tini monolitici e molte botti di rovere per una capacità complessiva di circa 2000 ettolitri di vino.
Nel 1833 Andrea morì, dopo il lutto la moglie si risposò e i cinque figli, sistemati in collegio, vennero affidati ad un tutore. Rosina si sposò ed ebbe tre figli; Camilla, cresciuta in convento perché voleva prendere i voti, morì a soli 18 anni; i tre figli maschi Pietro (1826-1900), Giuseppe (1828-1887) e Giovanni Maria (1829-1904) si impegnarono negli studi ma la partecipazione attiva ai moti risorgimentali costò loro l’allontanamento dalle scuole pubbliche.

Per le vacanze estive venivano a Cellatica dove trovavano il fedele custode e fattore Bernardino Frassine che cercava di proteggerli in mancanza del padre. Le loro idee libertarie non piacevano alle autorità austriache che nel febbraio 1848 esclusero Pietro dall’Università di Padova per aver partecipato ai moti studenteschi organizzati dai comitati mazziniani e gli ingiunsero di allontanarsi dalla città, pena l'arresto. Come volontario partecipò alla spedizione del Tiralo durante la prima guerra d’indipendenza e nel 1859 combattè anche nella seconda. Dal 1861 potè dedicarsi all’attività di notaio e nel 1867 divenne sindaco di Castegnato. Rieletto dieci volte, riuscì in quei 22 anni a compiere molte opere importanti per la vita di quella comunità.
Nel 1859 rimase vedovo della giovane moglie Angela Pedeni (sposata nel 1851) che aveva contratto il tifo nell’assistere i reduci della battaglia di San Martino e Solferino. Lasciò tre figlie in tenera età che trovarono a Cellatica nella zia Elisa, moglie di Giovanni Maria, una seconda mamma. Pietro trovò conforto anche nella lettura e nello scrivere prose e poesie che ha lasciato in manoscritto e in stampa.
Il fratello Giuseppe, dopo le Dieci Giornate di Brescia, nel 1849 si recò in America, viaggiando clandestinamente su un veliero per raggiungere Garibaldi. In un avviso murale dell’epoca, firmato da un consigliere del governo austriaco, il suo nome appare tra coloro che sono illegalmente all’estero e che vengono sollecitati al rientro in città, pena il sequestro dei beni, minaccia che tuttavia non lo fece desistere dal combattere per i suoi ideali.
Egli rientrò, al seguito di Garibaldi, anni dopo e nel 1866 partecipò come volontario alle battaglie in Val Sabbia e in Trentino nella terza guerra d’indipendenza.
Trascorreva ogni estate nella casa di Cellatica con il fratello Giovanni Maria e la cognata Elisa per la quale nutriva un rispettoso e profondo affetto. D’inverno si trasferiva a Brescia, in via Battaglie, nell’appartamento al piano superiore della casa occupata dal fratello Pietro.
Il più giovane dei fratelli Giovanni Maria frequentò con il fratello Giuseppe il liceo di Lodi avendo dovuto abbandonare quello di Brescia per ‘condotta poco lodevole’, riferita agli atteggiamenti patriottici di ostilità verso il governo austriaco. Più tardi gli fu impedito, come al fratello Pietro, di frequentare le Università dell'Imperial Regio Governo, perciò qualche anno dopo l’amico e compagno della Facoltà di Giurisprudenza, il bresciano
Giuseppe Zanardelli (1826-1903), futuro ministro dei Lavori pubblici e della Giustizia, poi presidente del Consiglio dal 1901 al 1903, lo aiutò passandogli di nascosto le dispense delle lezioni che non poteva frequentare.
Come è ricordato in un articolo del Giornale di Brescia sui fratelli Trebeschi, amici di Tito Speri (1825-1853), firmato da Ugo Vaglia il 12 maggio 1949, nel centenario delle Dieci Giornate di Brescia, Giovanni nel 1849 rifornì di armi gli insorti del curato di Serie, don Boifava, e i contadini arruolati a Cellatica nella colonna Camozzi giunta da Bergamo per soccorrere la città ormai oppressa da preponderanti forze nemiche. Durante le Dieci Giornate li troviamo sulla barricata di via Torrelunga fra i più ardenti sostenitori del patrio risorgimento(...).Riparò poi in Svizzera con il fratello Pietro, passando per Polaveno dove furono nascosti e rifocillati in casa della balia di Tito Speri.
La presenza di Cellatichesi tra quegli arruolati risulta anche nella memoria storica locale, infatti molti anziani ricordano ancor oggi di aver sentito raccontare dai loro nonni e bisnonni, quindi vissuti a metà Ottocento, di gente di Cellatica coinvolta nelle X Giornate del 1849.
Una lapide apposta nel 1879 ad una casa, demolita nel 1977, in via Chiusure a Brescia, è da allora esposta davanti al nuovo edificio, sede di una banca, per ricordare il sacrificio dei patrioti della colonna Camozzi, sorpresi e trucidati dagli Austria proprio in quel luogo, il 1° aprile 1849, quando anche Brescia, dopo Milano, dovette cedere agli Austriaci.
Nel ricordo di quelle dieci giornate di strenua resistenza dei Bresciani, barricati a Porta Torrelunga (ora via Magenta), il poeta Aleardo Aleardi, veronese trasferitosi a Brescia, dedicò nella sua raccolta di poesie del 1857, Canti patrii, alcune parole alla su città d’adozione, nominandola appunto Leonessa d’Italia.
Giosuè Carducci, nel 1877 riprese quell’immagine di Brescia, furiosamente intenta a respingere l’assalto degli Austriaci e, nella sua ode ‘Tra le rovine del tempio Vespasiano in Brescia’, inneggiò al coraggio della città che l’ospitava, concludendo: ”Lieta del fato Brescia raccolsemi, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia Leonessa d’Italia, beverata del sangue nemico”. È così che la città, premiata come Benemerita del Risorgimento nazionale con medaglia d’oro da Umberto I nel 1898, viene ancora oggi ricordata.

I fratelli Trebeschi, allontanatisi da Brescia,dopo le Dieci Giornate perchè ricercati, con promessa di taglia per chi li avesse segnalati, necessitavano di denaro e per questo Giovanni tornava periodicamente, di nascosto, a Cellatica oltre che per rivedere casa e amici, per fare rifornimenti. Il fidato Bernardino Frassine sapeva e temeva i suoi arrivi per le spie sempre in agguato, perciò lasciava l'anta del poggiolo del primo piano accostata in modo che il giovane, attraverso di essa, potesse entrare furtivamente nella camera che fu dei genitori e riposare nel loro comodo enorme letto. Bernardino sapeva di trovarlo là e andava ad avvertirlo di eventuali improvvisate della polizia per nasconderlo poi, in caso di pericolo, dietro una finta parete.
La notte del 17 maggio 1849, però, la sua protezione non funzionò. Giovanni, tornato a casa troppo stanco per preoccuparsi dei pericoli, si sdraiò sul letto, non dalla solita parte ma sul lato opposto. La spia aveva come al solito avvertito i poliziotti austriaci del suo arrivo a Cellatica e Bernardino, prima di aprire loro il portone, era salito trafelato in camera a controllare se ci fosse il padroncino ma, tastando il materasso al buio, non vi avvertì alcuna presenza e, rassicurato, era sceso ad aprire alla polizia. Quando ritornò in camera si accorse, però, con disperato stupore, che Giovanni era là, 'profondato nel sonno più pesante, preda indifesa dei gendarmi austriaci che lo ammanettarono e condussero a Brescia nelle prigioni del Castello.
II fedele servitore non si dava pace per non aver protetto abbastanza il giovane e cominciò a fare la spola tra Cellatica e Brescia per portare sacchetti di svanziche (monete austriache) e bottiglie del vino migliore ai secondini affinché risparmiassero al giovane trasferimenti in prigioni straniere o, peggio, l’inserimento in liste di condannati a morte.
Fortunatamente il 22 agosto 1849, compleanno dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, per strategie politiche opportunistiche fu proclamata una rara amnistia per prigionieri politici e Giovanni potè tornare a Cellatica con grande gioia dell'affezionato Bernardino e della famiglia.
Ancor oggi si vede in cantina la sua immagine in un affresco, fatto dipingere dai tre fratelli riconoscenti, mentre tiene in mano un boccale di vino e una chiave, segno di una custodia ben più importante della cantina, quella dei tre giovani, sempre amorevolmente protetti.
Nel 1851 Giovanni sposò la giovanissima Maria Elisa Novelli, orfana di madre, con la quale si dedicò agli affari di famiglia gestendo i terreni, la cantina e la filanda. Nel locale sopra la cantina, ripristinò per i figli il vecchio teatrino privato, che insieme ai fratelli aveva allestito per motivi patriottici, così descritto dalla signora Elettra nel suo quaderno di ricordi familiari: (...) era un vero piccolo teatro dotato di palcoscenico, boccascena, quinte, sipario, illuminazione a lanterne, camerini per gli artisti e platea per il pubblico. Giovanni ed Elisa lo rimisero in ordine per i figlioli e chiamarono un certo Orazio Savallo, un anziano attore a riposo, come istruttore e... regista, si direbbe oggi. E fu uno spasso intelligente e simpatico per parecchi anni, non soltanto per Arnaldo e Cesare, ma anche per tutti i coetanei del paese che venivano a recitare con loro (...).
Nel 1860 Giovanni ricevette da re Vittorio Emanuele II la nomina a Sindaco di Cellatica, in data 12 luglio, per i tre anni successivi e, in seguito, il rinnovo per un altro triennio.
Svolse il suo ruolo con impegno, mettendo a disposizione del Consiglio comunale il salone, al primo piano della sua casa di via Attico, non essendoci ancora il municipio che venne costruito solo nel 1883.
In un foglio senza data, conservato dalla pronipote Lucia Maggi, si legge un accorato appello del giovane sindaco a Vittorio Emanuele II per chiedere la sospensione delle pubbliche imposte gravosissime in un paese al limite dell’indigenza, dove l’unica risorsa, data dalla vite, era in grave difficoltà per le malattie che ne limitavano la resa e per la mancanza di irrigazione dei terreni, il tutto gravato dal fatto che non si potesse contare su altre risorse, essendo l’economia di Cellatica prettamente basata sulla coltivazione della vite.
Non si conosce l’esito della perorazione, da quello scritto, però, si capisce chiaramente in quale situazione si trovasse il paese. Dopo la perdita dei primi figli in tenerissima età, Giovanni ed Elisa ebbero nel 1861 Arnaldo, che divenne ingegnere e si distinse tra i principali rappresentanti dello stile Liberty in Italia, realizzando progetti importanti di architettura e di ingegneria civile in campo idraulico e urbanistico.
Nel 1864 nacque l’altro figlio, Cesare, morto in giovane età per problemi cardiaci, lasciando la moglie Elvira Fiorini e i tre figli Lucia, Giovanni (caduto nella prima guerra mondiale) e Andrea, avvocato, morto a Gusen in Austria nel 1945 dove era stato deportato dai Tedeschi per il suo importante ruolo di coordinatore nelle attività della Resistenza.
 

Cesare Bertulli - Fiorenza Marchesani Tonoli

 

 

(continua)

 


 

 

 

 

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piazzascala.it -  marzo 2017