UN CONTRIBUTO AL RISORGIMENTO DAI FRATELLI TREBESCHI
Nel
libro
Le storie di casa nostra, pubblicato 2004 dalla
famiglia di Eletra Trebeschi Maggi ' (1887-1977) per raccogliere
i suoi ricordi annotati in quaderno negli anni Cinquanta, si
trovano zie riguardanti una famiglia giunta a Cellatica da
Gussago agli inizi dell’Ottocento. Si tratta di Andrea Trebeschi,
bisnonno di Eletra, che aveva ereditato dal nobile Camillo Sala,
presso cui lavorava, case e terreni “per segno di riconoscenza
del prezioso aiuto e consiglio avuto”, come è scritto nel
testamento di Camillo Sala pubblicato nel 1809. Andrea si dedicò
all'amministrazione della nuova proprietà, ampliando la casa di
via Attico creandovi una ben attrezzata cantina con dodici
mastodontici tini monolitici e molte botti di rovere per una
capacità complessiva di circa 2000 ettolitri di vino. Nel 1859 rimase vedovo della giovane moglie Angela Pedeni (sposata nel 1851) che aveva contratto il tifo nell’assistere i reduci della battaglia di San Martino e Solferino. Lasciò tre figlie in tenera età che trovarono a Cellatica nella zia Elisa, moglie di Giovanni Maria, una seconda mamma. Pietro trovò conforto anche nella lettura e nello scrivere prose e poesie che ha lasciato in manoscritto e in stampa. Il fratello Giuseppe, dopo le Dieci Giornate di Brescia, nel 1849 si recò in America, viaggiando clandestinamente su un veliero per raggiungere Garibaldi. In un avviso murale dell’epoca, firmato da un consigliere del governo austriaco, il suo nome appare tra coloro che sono illegalmente all’estero e che vengono sollecitati al rientro in città, pena il sequestro dei beni, minaccia che tuttavia non lo fece desistere dal combattere per i suoi ideali. Egli rientrò, al seguito di Garibaldi, anni dopo e nel 1866 partecipò come volontario alle battaglie in Val Sabbia e in Trentino nella terza guerra d’indipendenza. Trascorreva ogni estate nella casa di Cellatica con il fratello Giovanni Maria e la cognata Elisa per la quale nutriva un rispettoso e profondo affetto. D’inverno si trasferiva a Brescia, in via Battaglie, nell’appartamento al piano superiore della casa occupata dal fratello Pietro. Il più giovane dei fratelli Giovanni Maria frequentò con il fratello Giuseppe il liceo di Lodi avendo dovuto abbandonare quello di Brescia per ‘condotta poco lodevole’, riferita agli atteggiamenti patriottici di ostilità verso il governo austriaco. Più tardi gli fu impedito, come al fratello Pietro, di frequentare le Università dell'Imperial Regio Governo, perciò qualche anno dopo l’amico e compagno della Facoltà di Giurisprudenza, il bresciano Giuseppe Zanardelli (1826-1903), futuro ministro dei Lavori pubblici e della Giustizia, poi presidente del Consiglio dal 1901 al 1903, lo aiutò passandogli di nascosto le dispense delle lezioni che non poteva frequentare. Come è ricordato in un articolo del Giornale di Brescia sui fratelli Trebeschi, amici di Tito Speri (1825-1853), firmato da Ugo Vaglia il 12 maggio 1949, nel centenario delle Dieci Giornate di Brescia, Giovanni nel 1849 rifornì di armi gli insorti del curato di Serie, don Boifava, e i contadini arruolati a Cellatica nella colonna Camozzi giunta da Bergamo per soccorrere la città ormai oppressa da preponderanti forze nemiche. Durante le Dieci Giornate li troviamo sulla barricata di via Torrelunga fra i più ardenti sostenitori del patrio risorgimento(...).Riparò poi in Svizzera con il fratello Pietro, passando per Polaveno dove furono nascosti e rifocillati in casa della balia di Tito Speri. La presenza di Cellatichesi tra quegli arruolati risulta anche nella memoria storica locale, infatti molti anziani ricordano ancor oggi di aver sentito raccontare dai loro nonni e bisnonni, quindi vissuti a metà Ottocento, di gente di Cellatica coinvolta nelle X Giornate del 1849. Una lapide apposta nel 1879 ad una casa, demolita nel 1977, in via Chiusure a Brescia, è da allora esposta davanti al nuovo edificio, sede di una banca, per ricordare il sacrificio dei patrioti della colonna Camozzi, sorpresi e trucidati dagli Austria proprio in quel luogo, il 1° aprile 1849, quando anche Brescia, dopo Milano, dovette cedere agli Austriaci. Nel ricordo di quelle dieci giornate di strenua resistenza dei Bresciani, barricati a Porta Torrelunga (ora via Magenta), il poeta Aleardo Aleardi, veronese trasferitosi a Brescia, dedicò nella sua raccolta di poesie del 1857, Canti patrii, alcune parole alla su città d’adozione, nominandola appunto Leonessa d’Italia. Giosuè Carducci, nel 1877 riprese quell’immagine di Brescia, furiosamente intenta a respingere l’assalto degli Austriaci e, nella sua ode ‘Tra le rovine del tempio Vespasiano in Brescia’, inneggiò al coraggio della città che l’ospitava, concludendo: ”Lieta del fato Brescia raccolsemi, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia Leonessa d’Italia, beverata del sangue nemico”. È così che la città, premiata come Benemerita del Risorgimento nazionale con medaglia d’oro da Umberto I nel 1898, viene ancora oggi ricordata. I fratelli Trebeschi, allontanatisi
da Brescia,dopo le Dieci Giornate perchè ricercati, con promessa
di taglia per chi li avesse segnalati, necessitavano di denaro e
per questo Giovanni tornava periodicamente, di nascosto, a
Cellatica oltre che per rivedere casa e amici, per fare
rifornimenti. Il fidato Bernardino Frassine sapeva e temeva i
suoi arrivi per le spie sempre in agguato, perciò lasciava
l'anta del poggiolo del primo piano accostata in modo che il
giovane, attraverso di essa, potesse entrare furtivamente nella
camera che fu dei genitori e riposare nel loro comodo enorme
letto. Bernardino sapeva di trovarlo là e andava ad avvertirlo
di eventuali improvvisate della polizia per nasconderlo poi, in
caso di pericolo, dietro una finta parete. Cesare Bertulli - Fiorenza Marchesani Tonoli
(continua)
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piazzascala.it - marzo 2017