APPENDICE
La spoliazione dei beni della Chiesa
 

La caduta della Repubblica di Venezia della quale il territorio bresciano fu parte importante dal 1427 al 1797, comportò gravi conseguenze anche economiche per la Chiesa bresciana e quindi anche per la nostra parrocchia.
A Brescia fu costituito un governo provvisorio (dal 18 marzo al 19 novembre 1797) che emise vari decreti tra cui quello di Libertà, Uguaglianza e Fraternità. In nome di quegli ideali, l'autonomia della Chiesa e la pratica religiosa furono pesantemente messe in discussione. Quelle nuove norme vietarono qualsiasi manifestazione: nessuna processione, compresi i funerali, i defunti venivano portati in chiesa senza corteo e sacerdoti; ai “cittadini preti” impedito di portare il Viatico agli infermi e imposto in pubblico l’abito secolare; limitato l’uso delle campane che prima scandivano ogni momento della vita religiosa e civile.
Il Governo Provvisorio in nome del Sovrano Popolo Bresciano il giorno 9 vendemmiaio, anno secondo della Libera Italia, vale a dire il 30 settembre 1797, inviò a tutti i sindaci della provincia di Brescia il decreto n. 691 con il quale fu notificata la soppressione pressoché totale degli ordini religiosi, la chiusura dei conventi, la confisca di molti beni ecclesiastici e la requisizione degli argenti appartenenti alle chiese. Nel caso di Cellatica la chiesa venne privata di una casa e di un appezzamento di terreno.
Fu così disperso nel Bresciano un enorme patrimonio anche storico e documentario.
La contemporanea messa in vendita delle proprietà dei conventi e delle istituzioni religiose fece sì che alcune famiglie potessero aggiudicarsi a prezzi irrisori ingenti proprietà (basti pensare ai beni del millenario convento di Santa Giulia, fondato da Desiderio, re dei Longobardi).
Con il consolidamento del potere di Napoleone, imperatore dei Francesi, venne introdotto anche nel nostro territorio, in data 23 marzo 1806 e decorrenza 25 aprile 1806, il Codice di Napoleone il Grande. Fu ordinata la soppressione di tutte le confraternite esistenti, salvo quelle del Santissimo Sacramento e della Dottrina Cristiana, il controllo statale sull’insegnamento nei seminari, sul numero delle ordinazioni sacerdotali e l’istituzione in ogni parrocchia di una Fabbriceria, retta da cittadini laici di nomina prefettizia, con il compito di curare la
gestione delle entrate, la conservazione degli edifici sacri e le spese di culto.
La restaurazione austriaca restituì alla Chiesa quanto possibile, ma la pose sotto pesante tutela; i parroci furono incaricati di fungere anche da Ufficiale di Stato Civile e di tenere i registri anagrafici (nascita, morte, matrimonio, stato di famiglia) fino a quando nel 1866 il nuovo Regno d’Italia decise di incaricarne le Amministrazioni Comunali.
Ciò che non riuscì completamente a Napoleone fu completato da Vittorio Emanuele II, Re d’Italia per grazia di Dio e Volontà della Nazione, che il 7 luglio 1866 emanò il regio decreto n. 3036 per la soppressione delle Corporazioni religiose composto da 38 articoli. L’art. 1 di questo decreto recita testualmente: “Non sono più riconosciuti nello Stato gli Ordini, le Corporazioni e le Congregazioni religiose regolari e secolari, ed i Conservatorii e Ritiri, i quali importino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico. Le case e gli stabilimenti appartenenti agli ordini, alle Corporazioni, alle Congregazioni ed ai Conservatorii e Ritiri anzidetti sono soppressi.”
In questo modo il Demanio confiscò le proprietà ecclesiastiche: nel caso di Cellatica quelle delle confraternite, degli altari e delle fondazioni, prima chiamate Commissarie e quindi Pii Luoghi Elemosinieri, costituite da vari benefattori per disposizione testamentaria.
Il nuovo Regno d’Italia, di tendenza decisamente massone ed anticattolica, aveva tuttavia qualche giustificazione. Le prime due guerre d’indipendenza e la partecipazione alla spedizione in Crimea avevano lasciato l’allora Regno di Sardegna in una situazione finanziaria a dir poco disastrosa. La conquista del Regno delle Due Sicilie che disponeva di sostanziose riserve auree (si parla di 32 milioni di lire oro) rappresentò una boccata d’ossigeno per le finanze del nuovo Regno sull’orlo della bancarotta. La terza guerra d’indipendenza del 1866, dalla quale il Regno d’Italia uscì sconfitto pur ottenendo dalla Prussia il Veneto, comportò un debito di 700 milioni a cui si fece fronte confiscando i beni di chi non poteva reagire.
La presa di Roma nel 1870 non fece che aggravare la situazione di conflitto tra Stato e Chiesa e Vittorio Emanuele II fu scomunicato da papa Pio IX.

Cesare Bertulli - Fiorenza Marchesani Tonoli

 

 

(continua)


 

 

 

 

 

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