IL MIO TEOREMA

 

Era d'estate, nel 1992. Mentre la notte volgeva al mattino, in direzione Genova guidavo la mia auto. Alle nove sarebbe iniziato un incontro di lavoro presso un cliente importante. L'autostrada era tranquilla, l'alba si affacciava investendo il cielo di rosa, la campagna sarebbe rimasta ancora per poco in penombra. In compagnia dei miei pensieri, viaggiavo tranquillo, in orario per essere puntuale. Sentiamo qualcosa alla radio, mi dissi, e accesi. Scelsi un canale rilassante, di solo musica italiana. Una ragazza in due, una vecchia canzone anni '60, era in onda, interpretata da I Giganti. Ascoltai. Ormai ama me e, se verrà, le parlerò accarezzandola, certo che il mio amor capirà e poi mi dirà che ci sta. Mai le dirò che muoio per lei, la tratterò male e mi amerà

Già, due comportamenti opposti! Quale di essi avrebbe scelto la ragazza? Mi domandai. Ma le altre parole della canzone non mi avrebbero dato la risposta. 

L'ascolto fu interrotto da qualche annuncio pubblicitario e dalle previsioni meteo che per me erano del tutto inutili avendo sott'occhio, sul campo, la bella giornata che stava per aprirsi. Poi, mentre passavo il casello di Serravalle, la musica riprese. Un voce di donna la presentò con queste parole: "Ascoltiamo ora, dall'album Schiavo senza Catene di Marco Ferradini, Teorema, una canzone che fa pensare... ". 

L'avevo già sentita in passato, ma, dato che si annunciava come una canzone che dà da pensare, questa volta l'ascoltai con maggiore attenzione. 

Prendi una donna, dille che l'ami, scrivile canzoni d'amore. Mandale rose e poesie, dalle anche spremute di cuore. Falla sempre sentire importante, dalle il meglio del meglio che hai, cerca di essere un tenero amante, sii sempre presente, risolvile i guai. E stai sicuro che ti lascerà, chi è troppo amato amore non dà. E stai sicuro che ti lascerà, chi meno ama è più forte, si sa

Non male l'esordio. Molto vera quest'ultima affermazione. Chi meno ama è più forte, prima o poi se ne andrà via. Lo sapevo bene, purtroppo. Proprio così. Sospirai. 

Prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ore. Non farti vivo e quando la chiami fallo come fosse un favore. Fa sentire che è poco importante, dosa bene amore e crudeltà. Cerca di essere un tenero amante, ma fuori del letto nessuna pietà. E allora sì, vedrai che t'amerà, chi è meno amato più amore ti dà. E allora sì vedrai che t'amerà. Chi è meno amato è più forte si sa. 

E' così davvero? Continuai con me stesso. Chi è meno amato più amore ti dà e verrà mal ricambiato? Insomma bisognerebbe amare alla pari perché il rapporto sia duraturo. Dedussi. 

La canzone proseguiva, ma già non l'ascoltavo più. Mi aveva riportato a riflettere sul mio passato sentimentale, un comportamento da giovane maledetto. 

Qualche anno della mia gioventù passò in modo goliardico e disimpegnato. Il lato positivo di quella modalità di vita mi dava modo con continuità di allontanare un primo amore che non avevo mai davvero dimenticato, essendo io quello che amava di più, ma la schiera di ragazze che, in seguito, ero andato macinando, senza mai sentirmi innamorato, mi aiutava senza dubbio a distrarmi. 

Quando guardavo il bel viso o il bel corpo della mia compagna di turno, non riuscivo a provare quel trasporto, quel cardiopalma che veniva dall’anima, che solo il mio precedente amore mi aveva fatto provare. Queste ragazze avevano in comune il trattamento che riservavo loro, esente da espressioni sentimentali. Tutt’al più mi slanciavo in qualche luogo comune o in qualche imposizione che tradiva la mia indifferenza: “Come sei bella”, “Fammi godere”, “Sei la mia Venere, il rifugio per il mio cazzo”. Insomma, c’era del sesso, e soltanto quello, c’era la fierezza di farmi vedere in giro con ragazze carine, ma nessuna sdolcinatezza per il mio cuore speculativo. 

Quando pensavo a una nuova conquista, il mio cervello aveva in mente solo l'aspetto fisico mentre, al contrario, nel mio “oggetto del desiderio” di turno spesso avvertivo un desiderio di continuità. Perché questo maltrattamento utilitaristico funzionava nei confronti delle ragazze? Forse, per talune, c'era bisogno di masochismo? 

Si manifestava un braccio di ferro tra le giovani donne che mi accoglievano e il mio ego. La ricerca di un rapporto continuativo da un lato e un discontinuo accoppiamento rinnovabile e sostituibile con una nuova partner dall’altro. Tanto ero indotto a questo atteggiamento da un forte bisogno di ricerca del diverso, in quanto era la novità che alla fine mi appagava. Una condizione che restava così sino a quando, poco tempo dopo, sentendomi vincolato, portava all’esaurimento della novità e al disinteresse, alla paura di intraprendere una storia seria che non volevo, che mi spaventava e mi induceva, con ingratitudine, a chiudere. Non poteva esistere una donna in grado di programmare il mio futuro! 

Anni dopo, però, mi sentii addosso, per la prima volta con consapevolezza, la colpa dei lussuriosi, "i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento", secondo l’”Inferno” di Dante: la colpa di non aver vissuto la passione come un sentimento accompagnato dal desiderio di donare la felicità. Come nelle canzoni ascoltate alla radio, rendevo schiava senza catene chi mi amava di più. A tal punto che quelle parole di Teorema avrei potuto scriverle anch'io. 

Che c’era dentro me? Il rancore? Il desiderio di rivalsa per essere stato una volta “scaricato” con mio intenso dispiacere? Non sapevo distinguere tra morale e melassa? 

Col passar del tempo però, quell’incedere della mia vita giovanile aveva generato in me due stati d’animo contrapposti e conviventi: da un lato questa leggerezza avvalorata dalle facili conquiste, che alla fine mi aveva portato a noia questi rapporti privi di un sentimento di fondo, dall’altro un desiderio nuovo, serio, verso quell’accoppiamento stabile e duraturo che, sino a poco prima, avevo con fermezza ricusato. Stavo maturando? Forse, tutto stava nel trovare la ragazza giusta, anche se, purtroppo, mi rendevo conto che nessuna di quelle che avevo sino ad allora frequentato possedesse i requisiti che ora andavo ricercando. 

In una notte insonne, mi ritrovai, dinanzi a un bicchiere di whisky, a riflettere sul mio status, sui miei trascorsi, e, per la prima volta, non mi sentii di vantarmi dei miei successi, anzi, considerato che nelle mani mi restavano solo ricordi per il passato e un pugno di mosche per il presente, sentivo affiorare in me un po’ di sconforto, di amara tristezza. 

Seguirono giorni demotivanti, senza che mi prodigassi per cercare nuove compagne. Forse mi rendevo conto che il mio recente passato era stato prodigo di fiori che io avevo colto senza vederli? 

Trascorsi alcuni mesi di tormentosa inerzia, in un limbo di inedia e di attesa, combattuto dal bisogno di superare l’isolamento alla soglia di una forma psicologica depressa che mi riconduceva al pessimismo soprattutto di notte. E quando, di notte, rimani solo, afflitto dai tuoi pensieri, il tempo si allunga come l’ombra di un albero al tramonto…

Si trattava di una sorta di crisi d’identità e mi rendevo conto che quel mio stato di insoddisfazione era derivazione del fatto che non avevo saputo o voluto coltivare amore e che, per superare quell’impasse, mi erano necessari un riscatto, una svolta, su cui concentrare la mia forza d’animo … 

Finché avvenne l’imprevedibile in un giorno dopo il quale, come in un tunnel, dove non si vede la luce sino agli ultimi metri, ritrovai un altro me stesso e un cielo più azzurro e sereno sullo scenario della mia vita. Dalla palude al torrente: avevo conosciuto Ludovica. 

Era molto carina, ma senza esserne montata, era gentile e dolce, spiritosa e acculturata, era portata per i bambini, cui insegnava, e ne sapeva parecchio di psicologia. Aveva un sorriso accattivante e una voce un po’ roca e sensuale. E mi attrasse. Di certo capii che non si trattava, questa volta, di aggiungere uno svalutato “più uno” alla schiera di ragazze che l’avevano preceduta. 

Pochi istanti prima del nostro primo bacio, nella mia nuova auto, percepii in me quel “cardiopalma del timido”, del tutto assente con le altre, motivato dal timore che non mi contraccambiasse. Ero io nella parte di chi amava di più? Ebbi la fortuna di essere condiviso e compresi come quel primo bacio fosse straordinario. Come mai? Era maturato, al momento più propizio, l’incontro con la ragazza giusta? 

Non era sufficiente lasciarsi guidare dal battito del cuore e, difatti, sentivo il bisogno di Ludovica, di rivederla e la pensavo di giorno, la desideravo di notte, mi concentravo su di lei dimenticando il resto del mondo, mi premevano il suo benessere, la sua felicità. Ludovica era tutto per me. Aveva inoltre qualità impagabili: era riservata, controllata quanto basta, rispettosa della mia privacy e disinteressata al mio passato che non mi aveva mai chiesto di approfondire. Era invece proiettata nel futuro, con piacere partecipava alle mie proposte su come passare il prossimo week end insieme o dove andare a Capodanno, piuttosto che a Carnevale. Non mi stancavo di ascoltarla e desideravo che non smettesse di parlarmi, tanto restavo catturato dalla sua piacevole voce e dal contenuto delle nostre conversazioni, mai banali, che spaziavano sui vari argomenti di attualità. 

Era interessata alla lettura sia nel campo della saggistica di ordine psicologico, sia nell’ambito dei buoni testi di scrittori d’essai come Simone de Beauvoir, Oriana Fallaci, Giuseppe Berto, Carlo Cassola e altri contemporanei. E le donne che hanno buon gusto in lettura hanno sempre avuto la mia ammirazione. 

Avevo chiesto a Ludovica perché prediligesse quegli autori.

“Perché mi piacciono questi autori? Perché sono spiriti liberi, nella vita e nella scrittura” mi rispose con spontaneità, come se fosse una motivazione più che evidente. 

Dunque l’ammiravo anche per questo e per quella padronanza dell’italiano che aveva consolidato proprio con le buone letture e per quella predisposizione alla perspicacia che le consentiva di analizzare con profondità una situazione umana o un episodio di cronaca, nonché di capire, senza bisogno che mi esprimessi a parole, da una mia espressione o da un mio gesto, il mio stato d’animo, seppur non conoscendomi ancora a fondo. Come pure ammiravo il suo corpo bilanciato, le sue spalle ben impostate, la sua schiena da modella, le gambe da ragazza sportiva, il seno, sodo e ben fatto e, infine, il viso incorniciato da lunghi capelli biondi e lisci, impreziosito da due labbra ampie e carnose e da due profondi occhi grigi, da cerbiatta. E quello sguardo aveva aperto la porta del mio cuore. 

I segnali che scaturivano dalla nostra intesa mi dicevano che non avevo da temere, almeno per il momento, e che quella complicità indispensabile per affermare un amore di coppia era viva, robusta e accorata. Sussistevano le premesse perché il nostro fosse un amore completo, empatico. E, più ancora, ne era comprova la sua marcata gelosia, nei miei confronti, che Ludovica era portata ad applicare anche a un mio minimo contatto di natura femminile, fosse esso costituito da una frase in più fuoriuscita, senza malizia, in occasione di un incontro casuale con una collega di lavoro piuttosto che con la commessa di un negozio di scarpe. 

Finché, in un giorno d’estate, la mia bocca e il mio cervello si fecero scappare, impreparati, per la prima volta nella mia vita, mentre osservavo le sue belle labbra, la frase più alta: “Ti amo, Ludovica” … e nessuno, meglio di un ex peccator carnale come me, poteva sapere quanto peso sentimentale e quanta verità ci fossero in quelle parole. Capii che quel momento rappresentava la sintesi solenne della nostra intesa, una comunicazione viva, corrisposta, integrata e complementare, sentimentale e ideologica, che si precisava nei gesti, nello sguardo, nel sorriso, nel corpo della donna che amavo. 

Insomma, Ludovica, era divenuta una ragione di vita. Quando le chiesi di sposarmi, le sue lacrime risposero per lei. 

A volte accade che due vite, già con le loro scelte, le loro radici, si sfiorino riconoscendo nell’altro quei valori complementari che da tempo rincorrevano e che stavano per archiviare come remote speranze. Quando accade, la tua mente inizia a volare, i pezzi mancanti di un mosaico ideale, che si ritenevano sopiti, annegati nel tuo passato, si collocano al loro posto, tra i tuoi sentimenti pregiati. Sono gli amori eterei che non conoscono distanze, che colmano i vuoti della tua psiche, ne soddisfano i tuoi desideri agognati e ti rimettono in gioco con rinnovato vigore. D’improvviso, voli dietro il profumo del tuo partner e provi quel senso di leggerezza che solo i sentimenti riescono a trasmetterti, ti muovi nei suoi sogni, ti unisci ai suoi pensieri, percepisci la felicità... 

Non bastavano questi concetti per descrivere ciò che mi era accaduto con Ludovica. Ma era amore. Per entrambi, amore! 

Stabilimmo di sposarci nel mese di maggio, in un giorno che, per puro caso, veniva a coincidere con quello del Referendum sul Divorzio: il 13 maggio 1974. 

Erano quasi le otto. Stavo per raggiungere il casello di uscita. Il sole splendeva sul mare di Genova. Ero pronto per incontrare il mio cliente pregiato. Spensi la radio. Più che cercare una risposta al quesito che ponevano le due canzoni che avevo ascoltato, mi ero infilato in un excursus sentimentale che mi aveva tenuto compagnia durante il viaggio. Avevo evocato una stagione sopra la quale la mia memoria si era forse allargata col proposito di sommergerla. Chi è meno amato più amore ti dà e verrà mal ricambiato. E' indubbiamente vero! Potevo confermare quanto sia necessario amare alla pari, con stima e rispetto reciproci, perché il rapporto possa essere duraturo così come lo è stato per me. 

Oggi mi considero un uomo fortunato e sereno con se stesso. Potrei morire domattina e morirei contento!

 

Massimo Messa

 

 

 

 

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piazzascala.it - dicembre 2016