A MILANO LA 90 FA PAURA

 

 

Quella pioggia insistente ci infastidiva ancor di più. In piedi ad aspettare, alla fermata Stradivari della circonvallazione: quella della filovia numero 90. Da oltre venti minuti non se ne vedeva arrivare una. Ero in compagnia dell'amico e collega Giancarlo che aveva gli occhiali appannati come lo specchio del bagno dopo la doccia e indossava un k-way rosso, una nota di colore in quella giornata grigia. 

Era un giovedì di marzo ed entrambi eravamo di turno di pomeriggio. Da quattro giorni quella shower all'inglese non dava tregua. 

La gente si era ammonticchiata sullo stretto marciapiede, imbrigliata dagli ombrelli che scolavano dappertutto. Erano quasi le due. Saremmo arrivati in ritardo, senza dubbio. E infreddoliti. 

Quand'ecco in lontananza apparire la sagoma gialla della 90. Inconfondibile. Attese il semaforo di piazza Argentina, poi, al verde, attraversò il crocevia e accostò. Finalmente! Aprì le porte anteriori da cui uscirono parecchie persone, chi azionando l'apertura a scatto degli ombrelli, chi alzandosi il bavero o sistemandosi il cappello. Ma non aprì la porta posteriore dove noi ci eravamo accalcati, convinti ovviamente di salire. Anzi, poco dopo chiuse anche le uscite anteriori. 

Una ventina di persone urlava e bussava con veemenza contro la porta a soffietto. Intravidi all'interno, in piedi sul retro della filovia, un sacerdote e una suora che ci osservavano, indifferenti, dai finestrini offuscati. Stavo pensando di chiedere un aiuto a loro quando il conducente ripartì verso il semaforo di viale Abruzzi.

Ero pieno di collera, zuppo fradicio, con l'ombrello che si era afflosciato per la calca. Guardai in faccia Giancarlo e gli dissi: "Io la rincorro, non può prenderci in giro così!".

"Ma, come, a piedi? Non ce la farai mai!".

"Ci provo!" gli risposi, mentre mi chiudevo l'ombrello nella stessa mano della valigetta e mi stringevo per bene la cinta dell'impermeabile. 

Fu così che mi misi a correre come un disperato all'inseguimento della 90, sotto la pioggia e in mezzo alla strada. Attraversammo viale Abruzzi. Ero a dieci metri. Imboccammo la corsia centrale di viale Gran Sasso. Correvo come uno struzzo bagnato, al massimo delle mie possibilità, tenendo conto di avere anche una valigetta e un ombrello da portarmi al seguito. La mie scarpe erano fradice, ma non importava. Ero adirato per quell'atto di arroganza nei confronti di noi lavoratori in attesa da venti minuti di un mezzo per raggiungere il nostro posto di lavoro. 

Ancora cento metri circa e ci sarebbe stato un semaforo, all'incrocio con via Garofalo. Era verde. Se la 90 fosse passata, non l'avrei più raggiunta. Capivo che, se fosse scattato il rosso, avrei messo a buon frutto le mie forze residue e allora ce l'avrei fatta. 

Rosso! Il mio sprint finale sarebbe stato vincente. Affannato, raggiunsi la parte posteriore della filovia. Mi avvicinai ai due avvolgitori circolari delle funi collegate al troller. Ne presi una, la tirai verso il basso e staccai un'asta dalla presa di corrente aerea. La filovia si arrestò, l'asta volteggiava libera come una libellula. Alzai la testa e intravidi i volti del sacerdote e della suora che mi scrutavano meravigliati. Lo sguardo della suora era ridente e melanconico, aveva dell'angelo e del demonio. Ma non m'interessava di cosa avrebbero pensato i vari passeggeri. Per me era stato un affronto e questo mi bastava! 

Azionando la batteria a tampone, l'autista aprì le due porte anteriori, a cui mi accostai. "Dovete tutti scendere, la filovia è guasta!" urlò, seccato.

"No, non è guasta!" replicai io dal basso con lo stesso tenore di voce, sebbene molto più affannata "Sono stato io che ho staccare il troller, basta rimetterlo a posto!". 

Un uomo grasso, dai capelli scuri e dall'accento siciliano inveì contro di me: "Lei dovrà pagare una multa di otto euro per ogni minuto di fermo!".

"Vedremo! Intanto lei si prenderà una bella denuncia per non aver aperto le porta a quei poveretti che da venti minuti aspettavano un mezzo sotto la pioggia! E ho anche i testimoni" replicai, pensando a Giancarlo, e salii, fradicio, sulla filovia della vergogna. Era semivuota. Mi accomodai sul primo sedile e notai, là in fondo, il sacerdote e la suora che parlavano in fretta, quasi che le parole bruciassero loro la bocca e dovessero rinfrescarsi con la saliva. 

L'autista mi guardò con un'espressione che era allo stesso tempo esitante e imbarazzata, poi scese di corsa con un uno straccio sporco di unto e si affrettò a raggiungere la coda della filovia mentre l'asta che avevo smollato ancora si agitava. Con una faccia da funerale prese la fune libera, l'abbassò e mirò verso l'alto per rimetterla in sede. 

Risalì umidiccio mentre io me la godevo, seppure molto più bagnato di lui. Mi disse: "Minchia, quest'oggi ero molto in ritardo, per via del traffico. Sapevo che ci sarebbe stata subito dopo un'altra filovia e ho pensato di guadagnar tempo ripartendo subito".

"Già, così noi avremmo preso ancor più acqua... e poi abbiamo bussato alla sua porta posteriore con vigore e imprecato verso di lei".

"Lo so, lo so, non se ne parli più".

"E va bene, non parliamone più, ma non ci faccia più questi scherzi".

Fece finta di non capire e ripartì. 

Esaminai l'interno della vettura, c'erano tre o quattro persone intente a telefonare o a leggere il giornale. Poi spostai lo sguardo verso il fondo e intravidi una seconda 90 appiccicata alla coda della mia filovia. Vi sarà sicuramente salito Giancarlo. "Quasi quasi vado sulla piattaforma posteriore a verificare se c'è" mi dissi. E, in quel mentre vidi, con mia sorpresa, il prete e la suora che si abbracciavano. "Sarà per non scivolare visto che ora stiamo girando verso viale Romagna" m'immaginai. Ma, mentre mi avvicinavo, i due si baciarono con trasporto. I due abiti talari, entrambi neri, diventarono un tutt'uno tanto da sembrarmi uno di quei personaggi di Barbapapà: quello scuro come un carbonaio.

Si stavano baciando per davvero, perbacco!

Quel pomeriggio ne stavano succedendo di tutti i colori.

A effusioni terminate, guardai in faccia i due religiosi e mi accorsi che erano abbastanza giovani. Sarà che la filovia sia da considerare un limbo ove i seminaristi possono dimenticare le loro mission

Alla prima fermata, decisi di scendere e di raggiungere il mio amico Giancarlo sulla filovia successiva. 

Prima di salirvi mi accorsi del k-way rosso. Giancarlo era proprio lì, in piedi accanto al conducente della seconda 90 a commentare la mia bravata.

"Sei stato, forte, Max!" mi disse "Lo racconterò in ufficio".

E l'autista: "Il mio collega ha sbagliato! Anche se siamo in ritardo e rischiamo delle ammonizioni, come si fa nel calcio, non possiamo fornire un disservizio a discapito degli utenti!".

"Ben detto!" gli risposi, osservando quanto mi fossi inzuppato in quella folle quanto indignata rincorsa. 

Seguì una pausa. Poi chiesi a Giancarlo se avesse notato quel prete e quella suora in fondo alla prima filovia".

"Sì, li ho visti" mi disse.

"Lo sai che si stavano baciando?".

"Come no? Me ne sono accorto" proseguì il mio amico senza un minimo cenno di dissenso e, alla mia espressione di stupore, aggiunse: "Si vede che ti sei del tutto scordato che oggi è giovedì grasso!".
 

 

 

Massimo Messa

 

 

 

 

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piazzascala.it - agosto 2016