LE CONSEGUENZE DEL PASSATO
Un ragazzo come lui sentiva il freddo della
solitudine come un scricciolo indifeso. Si accompagnava allo
studio, sommerso fino alla nausea da innumerevoli beni
materiali. Abiti da sera, abbigliamento griffato, ordini da
rispettare, ma, soprattutto, libri da studiare, gli unici
compagni, questi ultimi, che sinora non lo avevano mai lasciato.
Ma, per un giovane inglese di diciassette anni, il bisogno di
affetto era struggente. Circondato dal benessere, il suo
patrigno William Dowson aveva di recente acquistato una villa
nell'amata Costa Azzurra, a Cannes, in Avenue de l'Estérel,
sulla collina che ammira il mare, con tanto di
torretta-portineria al cancello d'ingresso. La sua azienda
andava a gonfie vele a quell'epoca e Dowson, che ne era
l'amministratore delegato unico, se ne faceva il vanto da cui
scaturiva tutta la sua superbia. Aveva creato lui quella realtà
per la produzione di sistemi per la stampa, con un colpo di
genio che lo aveva portato a una situazione di monopolio sul
mercato. I guadagni erano alti e il lusso non gli poteva
mancare, come non gli poteva mancare una giovane aitante al suo
fianco. Cosicché, individuata tra i suoi dipendenti Elisabeth,
una trentacinquenne bella come l'arcobaleno, l'aveva scelta e
sposata tre anni addietro in un gelido giorno dell'inverno
londinese. Poca importanza aveva il fatto che si trattasse di
una ragazza madre, di umili origini, con un figlio
quattordicenne da mantenere. Paul poteva convivere con loro,
bastava che non rompesse troppo le scatole e avrebbe avuto i
suoi benefici facendosi invidiare da tutta la scuola.
E così Paul ebbe anche il cognome del padre che lo riconobbe
come proprio. Elisabeth aveva sino ad allora condotto una vita
problematica, senza mai dimostrare a Paul quello sviscerato
affetto che di solito le ragazze madri sanno conferire al loro
figliolo, per rinfrancare con amore due anime sole. Ma le donne
belle spesso sono eccezioni ed Elisabeth si era applicata per
salire la scala sociale, passando con leggerezza da un uomo
all'altro purché di uno stato sociale abbiente con prospettive
economiche che la impalmassero come una nobile contessa che si
gode la vita per mestiere. Fino all'incontro riuscito con
William Dowson, un sessantenne pieno di sé, ma anche generoso.
Il rapporto tra Paul e Dowson era pressoché latitante e il
magnate dei sistemi di stampa si ricordava del figlio acquisito
soltanto in occasione delle cerimonie e delle feste che di tanto
in tanto si celebravano nell'alta società.
Il 25 maggio di quell'anno, festa nazionale della primavera,
cadeva di venerdì. Quale occasione più propizia per trascorrere
qualche giorno nella nuova villa di Cannes?
Sbarcarono all'aeroporto di Nizza dove il custode della villa li
attendeva. Salirono su di una Citroen che li portò a Dowson
Village, così come il patrigno aveva battezzato la sua
proprietà. All'ingresso, William fece fermare il conducente ed
entrò nella torretta da cui riuscì poco dopo trascinandosi a
mano una bicicletta da corsa nuova di zecca. "Guarda, Paul!"
esclamò "Ti ho fatto comprare questa perché quassù in collina il
percorso a piedi per il mare è impegnativo, per cui è tua. La
userai per i tuoi spostamenti in autonomia. Non c'era amore
nella sua voce, ma Paul riconobbe in quel dono una bici da
apprezzare nel senso descrittogli. "Ringrazialo!" gli disse la
madre. "Ti sono riconoscente, William, è proprio quello che mi
ci voleva".
"Bene sei libero di andare e venire a tuo piacimento. Basta che
non mi rompi le balle, all right?".
"All right, thank's, William".
L'indomani Paul s'alzò di buon ora, inforcò la sua bici e se ne
andò per le vie di Cannes. Di notte un temporale fugace aveva
rinfrescato e quel mattino l'aria tersa restituiva una
fotografia nitida delle bellezze naturali della Costa Azzurra.
Paul si rendeva vagamente conto di quanto tutto ciò avvenisse a
vantaggio suo e della sua famiglia. Era un paradiso privilegiato
questa città bianca sul mare, in cui era libero di muoversi
perché, grazie al matrimonio di sua madre era diventato ricco
sebbene la sua serenità interiore non fosse per questo appagata.
Era sensibile e romantico, senza mai aver avuto un rapporto con
una ragazza da amare, che lo capisse. Non aveva mai fatto nulla
con l'altro sesso, era ancora in attesa di un primo bacio,
mentre al sesso vero e proprio non si sentiva ancora di
accampare pretese benché lo desiderasse. Era timido e modesto e
inesperto. Acerbo e sognatore. Quando si guardava allo specchio
non gli dispiaceva il suo ciuffo biondo ricco di capelli né la
sua altezza allampanata che non passava inosservata e che ne
faceva più un longilineo dinoccolato che un giovane
insignificante. Ma Paul di questo non si accorgeva. Gli stava a
cuore la questione dell'amore nella notte, sotto la luna. Era un
sogno vago e piacevole, qualcosa che un giorno avrebbe dovuto
succedergli, di unico e incomparabile. Era una speranza, mista a
eccitazione e al tempo stesso quasi spirituale, ben distante da
quella che sua madre aveva inseguito per tutta la vita.
C'era a Cannes un'atmosfera di amore tutto intorno a lui o,
almeno così, Paul la percepiva. Mentre stava passeggiando sul
lungomare alle nove di sera, quando le stelle erano abbastanza
chiare da competere col chiarore dei lampioni, percepiva l'amore
da ogni lato. Dai caffè all'aperto, sfavillanti per i vestiti
appena giunti da Parigi, veniva un odore pungente di fiori e di
lavanda, di caffè nero fumante e di sigarette. Ma, mescolato a
tutti questi profumi, Paul ne coglieva un altro: il misterioso
elettrizzante profumo dell'amore. Sull'altro lato del boulevard,
amanti meno alla moda, giovani francesi che lavoravano nei
negozi di Cannes, passeggiavano con le fidanzate soffermandosi
sotto gli angoli bui. Paul cominciava a sentirsi davvero
infelice. Quei pochi giorni di maggio stavano passando e lui non
aveva ancora trovato un modo per dare un senso a quelle tiepide
sere di primavera. Le ragazze della sua età, che aveva avuto
modo di conoscere sulla spiaggia, avevano qualche
accompagnatrice attenta tra l'imbrunire e l'ora di tornare a
casa, incuranti del suo atteggiamento romantico.
Nel terzo pomeriggio di soggiorno aveva trovato un ragazzo
francese con cui giocare a tennis sino alle sette di sera.
Perciò erano passate le otto quando in bici da corsa era giunto
sulla collina dove scintillava la facciata di villa Dowson. La
luce gialla dei fari anticiparono la Citroen con i suoi che
stava per uscire. Elisabeth abbassò il finestrino e gli chiese
"Come mai sei così in ritardo stasera, siamo a cena su uno yacht
e saresti dovuto venire anche tu".
"Quale yacht?".
"Di americani".
"Mi sbrigo a cambiarmi, mamma".
"Non è possibile" allungò il collo verso il finestrino William
Dowson, impazientito "Siamo già in ritardo. Mi dispiace".
"Però puoi raggiungerci" aggiunse la mamma.
"Sì. A pensarci bene è meglio che tu venga" confermò William
"Vieni dopo cena. Sono due gli yacht in rada, il Nantucket e il
Dolphin, non sappiamo bene quale dei due sia, ma il barcaiolo
che fa servizio si chiama Nicolas e aspetta gli invitati sul
molo, accanto ai battelli che fanno servizio per l'Ile
Saint-Honorat. Lui sa dove portarci, ti è chiaro?".
"Va bene, aspettatemi".
"Dovrai venire su quello più allegro, suppongo" concluse la
madre.
Nel porto di Cannes era buio, ma in cielo la luna piena era
ancora coperta da una nuvola. Paul si era rinfrescato e vestito
di tutto punto con un abito completamente nero e una camicia di
seta cremisi con un ampio colletto slacciato. Sulla banchina
pochi deboli fanali rischiaravano appena le innumerevoli barche
ammassate come conchiglie sulla spiaggia. In prossimità del
molo, Paul assicurò la sua bici a un lampione. Proseguì a piedi
incedendo verso i lastroni della banchina, scendendo i gradini
inciampò in un barcaiolo assopito che teneva in braccio una
bottiglia di Châteauneuf mezza vuota.
"Nicolas?" chiese Paul.
"Oui, Monsieur" rispose. Si alzò, sapeva già che Paul sarebbe
arrivato e gli fece cenno di seguirlo.
Camminarono insieme lungo il molo. Poi Nicolas liberò la cima
dalla bitta e lo invitò a salire su una barca a motore di circa
dieci metri.
"Sa quale sia lo yacht della festa?".
"Oui, il Dolphin, Monsieur".
Accese le luci di segnalazione verdi e rosse, poi il motore e
salpò lentamente verso l'uscita del porto. Procedeva in
silenzio, concentrato sulla sua manovra.
La corrente d'argento si muoveva ondeggiando verso la luna come
un'ampia ciocca di capelli ricci. Paul ammirava le soavi luci
romantiche di Cannes e l'irresistibile ineffabile carezza
dell'aria e pensò che, essendo solo, tutto ciò sarebbe andato
sprecato per sempre. Dopo il prolungato sogno ad occhi aperti
del suo desiderio, erano entrati in un buio vellutato e avevano
percorso mezzo miglio. Nicolas rallentò. Paul lesse le lettere
d'ottone sulla scafo sopra la sua testa: Nantucket. Lo yacht era
silenzioso come una nave fantasma.
"Il Dolphin è più in là" Nicolas stava per allontanarsi.
"Aspetti, non vada via!".
Paul trasalì. La voce bassa e soave era piovuta giù
dall'oscurità verso di lui.
"Che fretta avete?" disse la voce soave "Che delusione, avevo
pensato che qualcuno fosse venuto a trovarmi".
Il barcaiolo stava per ripartire, ma osservò Paul esitare.
"Arrivederci" disse la voce "Ritorni quando potrà restare più a
lungo".
"Ma ho intenzione di restare adesso" rispose Paul tutto d'un
fiato. E diede ordine a Nicolas di ormeggiarsi alla base della
scaletta. La barca si fermò sotto il chiaro di luna.
Paul era stato sorpreso da una curiosità trepidante. Qualcuno di
giovane, qualcuno in un indistinto abito bianco, qualcuno con
una bella voce bassa, l'aveva davvero chiamato dal buio
vellutato.
Scalata la biscaglina e raggiunto il pozzetto, la vide. Era
snella, quasi fragile, con un vestito che nella sua candida
fragilità ne accentuava la giovinezza.
"Sono inglese" disse Paul allo stesso modo in cui avrebbe potuto
annunciare di essere un arcangelo.
"Io americana, di Plymouth, Massachusetts".
Poi Paul guardò giù e si rivolse a Nicholas "Mi fermo qui per un
po', lei stia in barca e si faccia un bel sonnellino".
"D'accordo, ne ho bisogno, ma faccia presto, ho altri
andirivieni da sbrigare poi, per l'altro yacht".
"Per tutto il giorno," proseguì Paul fissandola negli occhi, per
scorgerne dalla penombra il colore "per tutta la primavera, ho
sognato di innamorarmi in una notte come questa e ora il destino
mi ha mandato da te...".
"Un momento!" disse lei tradendo l'emozione "Adesso sono sicura
che questa visita è uno sbaglio":
"Ti chiedo scusa" la guardò Paul sconcertato, inconsapevole di
aver dato troppo per scontato. Ho fatto un errore. Le auguro la
buona notte" e già aveva impugnato la battagliola in
corrispondenza della biscaglina.
"Non te ne andare" disse lei, spostando dagli occhi una ciocca
di capelli "Non mi sono espressa come avrei dovuto.
Ripensandoci, puoi dire qualunque assurdità a patto che rimanga.
Sono infelice e non voglio essere lasciata sola".
Paul esitava. Aveva dato per scontato che una ragazza che
chiamava un estraneo nella notte, anche se sul ponte di uno
yacht, fosse nello spirito giusto per un incontro romantico. Poi
si ricordò del Dolphin. "La festa è su un'altra barca" le disse.
"Ah, sì, sul Dolphin, ci sarei andata anch'io se avessi
immaginato che ci fosse stato qualcuno sotto i cinquanta".
"Invece hai preferito restare qui a sognare sotto la luna".
"Stavo pensando ai miei sbagli".
Si sedettero vicini su due sedie di tela sul ponte.
"E' un tema dei più avvincenti il tema degli sbagli" proseguì
lei "Le donne rimuginano sugli sbagli molto di rado: sono più
desiderose di dimenticare degli uomini. Ma quando si mettono a
rimuginare...".
"Hai fatto un grosso sbaglio?" le chiese Paul.
Annuì.
"E' qualcosa a cui puoi rimediare?".
"Non lo so. Era quello che stavo valutando quando sei arrivato".
"Forse posso aiutarti, forse il tuo sbaglio non è irreparabile".
"Non puoi, perciò non pensarci. Parliamo di cose allegre, di ciò
che accade a Cannes stanotte".
Insieme lanciarono uno sguardo verso riva alla sfilza di luci
misteriose e allettanti.
"Che cosa staranno facendo, dietro quelle luci?".
"Qualcuno dormirà, qualcuno si sentirà solo, qualcuno si amerà"
rispose Paul.
"Si amano? Allora voglio tornare in America, voglio tornare a
casa domani".
"Capisco. Hai problemi con l'amore. E' triste che noi due ci
troviamo in un luogo incantevole in una notte così incantevole e
non abbiamo... niente" e Paul le si fece vicino.
Le si stava avvicinando assorto, con un ispirato e casto
romanticismo negli occhi. E lei si scostò.
"Tu sei molto giovane, vero?" gli chiese.
"Sono molto più vecchio di quel che sembro" rispose Paul con
freddezza.
"Quanti anni avresti?".
"Ventuno" mentì.
Lei rise.
"Che assurdità, non hai più di diciannove anni".
Il risentimento di Paul fu così evidente che lei si affrettò a
rassicurarlo con un sorriso: "Non prendertela, io ho solo
diciassette anni".
C'era qualcosa di disarmante nel fatto che avessero la stessa
età, ma Paul era sicuro, senza una ragione, ma per una sorta di
istinto, che gli decantava trionfante nella mente, che a breve,
tra un minuto o tra un'ora, sarebbe stato iniziato alla vita
romantica. "Sei bella!" disse all'improvviso.
"Come fai a dirlo?".
"Perché un viso di donna al chiaro di luna non mente mai".
"Sono carina al chiaro di luna?".
"Sei la ragazza più adorabile che abbia incontrato".
"Oh" ci pensò su "Non ero tenuta a farti salire a bordo. Avrei
dovuto immaginare di cosa avremmo parlato con questa luna".
All'improvviso entrambi si accorsero di una musica che era lì a
portata di orecchio, una musica che sembrava uscire dall'acqua a
non più di un quarto di miglio.
"Ascolta!" esclamò lei "Viene dal Dolphin. Hanno finito di
cenare".
Quella musica, per Paul, pareva accompagnare la luce lattea
delle stelle e pensò che la musica avrebbe potuto portare a
termine ciò che la luna aveva iniziato.
Le sedie di tela scricchiolarono, quando, all'improvviso, per
un'onda anomala s'inclinarono. Paul aprì le braccia per
bilanciarsi e le richiuse in un abbraccio su di lei. Si
baciarono, con spontaneità, più volte, con lei che gli teneva
una mano sulla nuca e lo costringeva a baciarla ancora. Eccitato
e felice, Paul non percepì in lei elementi di passione sfrenata,
bensì di conforto e ne ebbe la prova quando, una volta
allontanate le labbra, e tenendola per mano colse in lei delle
lacrime copiose lavare il suo viso, lacrime consumate nel mare
che vestivano il suo amore di una strana poesia. Era stato
questo il primo bacio per Paul, nella sua pienezza, nella sua
perfezione.
"Che cosa c'è? Perché piangi ora?".
"Non voglio che mi dimentichi" disse lei "Potranno passare gli
anni, ma tu non dimenticarmi".
"Prometto di ricordarti per sempre, come potrei scordare il mio
primo amore? Farò sempre il confronto con te, non finirà mai
questa notte".
"Oh, ha più significato per me che per te, molto di più".
Paul le stava così vicino che sentiva il suo giovane alito caldo
sulla faccia. Ondeggiarono di nuovo insieme e si baciarono
ancora. L'ultimo bacio. E' il bacio giusto, pensò Paul, il bacio
perfetto che andavo ricercando, non troppo né troppo poco.
Poi lei uscì con un singhiozzo e gli disse, "Devi sapere... devi
sapere che io... sono sposata. Da tre mesi. Siamo qui in Costa
Azzurra per festeggiare le nozze. Questo e soltanto questo era
lo sbaglio a cui stavo pensando quando la luna ti ha portato
qui".
Paul rimase attonito, senza saper smozzicare nulla. Spalancò gli
occhi e, quando lei stava per dirgli: "Io mi chiamo...", i
capelli fini e bianchi e la faccia vissuta di un uomo sui
sessant'anni apparvero sopra il livello del ponte. "Vieni a
dormire, cara?" le disse quell'uomo e Paul si sentì ingelosire
da quell'essere così inadeguato a contendere il suo primo amore.
La compagna fedele di quella notte sul mare, la luna,
quell'usignolo muto, si era spenta dietro al promontorio. Una
luna senza nome aveva illuminato l'intimità dei baci tra due
sconosciuti giovani romantici.
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Che nel suo futuro a breve ci fosse la miseria più bieca, Paul
non se lo sarebbe mai aspettato. La politica aziendale di
William Dowson non si era adeguata al cambiamento del mercato
del quale stavano prendendo possesso con particolare successo le
aziende giapponesi. Dowson non si dimostrò all'altezza di tenere
il passo coi tempi, essendo troppo conservatore, mal consigliato
e probabilmente anche troppo vecchio. Nel giro di pochi mesi,
complice la sua miopia, la società precipitò in un baratro
irreversibile. Uscivano sul mercato, a cominciare dall'industria
giapponese, prodotti paritetici, semplificati e a basso costo: i
clienti si erano via via defilati. Prima ancora che Dowson
potesse pensare a qualche azione di ripiego, la società era
collassata. Ne derivò una lunga procedura di gestione
fallimentare per la copertura dei creditori privilegiati, tra
cui i vecchi dipendenti, e delle insolvenze. Dowson fu costretto
a vendere tutti i suoi averi, compreso Dowson Village a Cannes.
Ma, come se non bastasse, in quegli stessi anni la moglie
Elisabeth morì di cancro a soli quarantadue anni. Cosicché Paul
fece appena in tempo a terminare gli studi, ma non a trovare un
lavoro adeguato ai suoi studi. Il patrigno lo spedì con pochi
soldi a New York per cercarsi un lavoro in qualche azienda
finanziaria, quindi si ritirò, in compagnia di una sorella
nubile, in una casetta a Falmouth, in Cornovaglia: quella
proprietà gli era rimasta. Dowson aveva più di settant'anni e lì
avrebbe passato l'ultimo periodo della sua vita, dimenticandosi
del mondo. In realtà non era l'ultimo quel piccolo immobile di
Falmouth. Aveva potuto conservare anche la torretta portineria
della villa di Cannes, essendo il nuovo acquirente interessato a
ricostruire la cortina muraria che cingeva l'edifico da cui,
forse per motivi di costo, quella torretta era stata esclusa.
Cosicché il patrigno si degnò un giorno di telefonare a Paul a
New York per avvertirlo che, se avesse voluto quella proprietà,
essa sarebbe stata sua e si sarebbe potuta chiamare Paul's Tower:
ammezzato e due piani superiori con bagno e riscaldamento
autonomo. "A piano terra c'è ancora la tua bicicletta da corsa,
ricordi Paul?" gli chiese. "Come no?, William, sono passati otto
anni ma non posso dimenticare la mia compagna di viaggio di
Cannes". Ascoltando la voce tremolante del patrigno, colse una
lacrima sgorgare in quell'istante sul suo viso non tanto perché
gli volesse bene, ma perché ogni volta che pensava lui si
ricordava del sorriso un po' austero di sua madre che nel bene e
nel male lo aveva cresciuto come aveva saputo fare.
Gli chiese: "William, e tu come te la cavi a Falmouth?".
"Oh, la gente adora le navi che affondano" rispose, trasparente
all'amarezza, e lo salutò.
Paul, che non era riuscito a trovare un straccio di lavoro
decente a New York, prese allora in considerazione l'idea di
trasferirsi a Cannes. Era il mese di marzo. Una buona stagione
per viaggiare, pensò.
Così fece. L'avventura newyorkese era stata un fiasco e Paul non
aveva mai dimenticato la luna senza nome sopra il Nantucket: il
suo primo bacio scambiato con una ragazza di cui non conosceva
il nome e che non conosceva il suo.
Poche settimane dopo, Paul era intento a sistemare la sua
torretta ed ebbe la buona idea di servirsi di un'impresa di
pulizie per dare una rassettata ai tre pianerottoli. Vi trovò,
con suo compiacimento anche dell'arredo: una camera da letto
matrimoniale, un tavolo con delle sedie e persino una cucina a
gas funzionante. Si interessò per riaprire la fornitura del gas
e della luce e da solo diede un'imbiancatura a tutte le pareti
interne. Gli rimanevano alcune sistemazioni: le tegole del
tetto, un'infiltrazione dovuta alla rottura di un pluviale,
delle persiane da sistemare e poco altro. La torretta si era
conservata bene e dava il suo contributo estetico all'Avenue de
l'Estérel. Su una trave che attraversava il soffitto della
camera da letto, Paul vi incise I'll never forget my first kiss
under Cannes moonlight.
Nel giro di poco tempo, Paul la sistemò nel migliore dei modi
che gli fosse stato consentito e incominciò a cercare lavoro. Lo
trovò prima come barista, poi come taxista. Infine, nel giro di
un anno, riuscì a trovare una buona collocazione in una banca
inglese con una piccola filiale a Cannes.
Ora viveva da singolo appetibile, ma girava sempre in bicicletta
e, per la verità non aveva legato molto con i locali, sebbene se
la cavasse bene con il francese.
Si era accordato con Justine, una placida signora sulla
cinquantina che gestiva un'osteria casalinga, La Palme d'Or, per
avere la cena a basso prezzo alcune sere alla settimana. E vi si
era affezionato.
La sera, al risveglio immutabile della magia delle luci, non si
stancava di passeggiare sul lungomare e, quando la luna era
presente, ricordava quella notte del primo amore e si
rammaricava di non sapere il nome di quella ragazza sposata e
che nemmeno lei conoscesse il suo. Beveva adagio un bicchiere di
birra in un caffè e andava a letto presto. Lo invitavano di rado
perché la gente pensava che la sua faccia triste, assorta, fosse
deprimente e comunque lui non accettava mai.
Gli anni erano passati: il tempo scivola come barche alla
deriva. Paul, benché ancora giovane, non aveva avuto rapporti
durevoli con l'altro sesso, ma soltanto flirt senza seguito.
Viveva in solitudine e riempiva la sua torretta di libri d'ogni
genere.
Finché una sera d'estate, mentre si ingollava una paillard da
Madame Justine, sentì dire al tavolo di alcuni marinai che
l'indomani sarebbe arrivato quello yacht della vedova americana
e che avrebbero dovuto provvedere ai rifornimenti.
Paul infilò in bocca l'ultimo boccone e chiese a quegli uomini
il nome della barca in discussione.
"E' il Nantucket", gli risposero "D'inverno viene ormeggiato a
Saint Florant, ma dans l'été parfois il arrive ici".
"La vedova? Il suo primo amore? Con tutta probabilità sì". Aveva
dedotto Paul.
"A che ora arriverà a Cannes?" domandò ancora.
"Oh, non lo sappiamo, apré midi, probablement".
Paul si sentì rimestato dall'emozione, non doveva vederla, non
lui, un fallito con un nome che era ormai l'ombra del passato.
Ma un'altra emozione si impossessò di lui, meno intensa, ma
altrettanto degna di essere considerata: l'emozione della
curiosità. L'indomani, a fine lavoro, Paul perlustrò il mare. In
lontananza era ormeggiato un veliero. Introdusse una moneta in
uno dei tanti cannocchiali pubblici che attendono i turisti e lo
puntò dritto sulla barca. Era il Nantucket, senza ombra di
dubbio. Si recò alla capitaneria di porto dove chiese se fosse
già sceso a terra qualcuno dell'equipaggio. "Non ancora" gli
risposero "ma è probabile che la Signora Ford sbarchi per la
cena, come fa di solito qui a Cannes. Con pazienza, Paul attese
e infine vide un gommone entrare nel molo e ormeggiare in uno
spazio libero. Si spostò in quella direzione e la vide. Una
ragazza graziosa, abbronzata, con occhiali da sole, un
cappellino di paglia e un copricostume a fiori stava guadagnando
lo zerbino tenendo gli zoccoli in mano e una borsa bianca a
tracolla.
Era accompagnata soltanto da un marinaio. Le si fece incontro e
le disse "Ti ricordi di me?".
Lei si arrestò, si tolse gli occhiali e lo scrutò dall'alto in
basso.
"Certo, tu sei il ragazzo che non mi doveva dimenticare, il
ragazzo che ho incontrato ben oltre dieci anni fa!".
"Proprio così, mi chiamo Paul".
"Paul, Paul... Oh quante volte mi sono domandata come avresti
potuto chiamarti. George? James? Edward? Paul, sì meglio Paul,
ti sta meglio".
"Quindi anche tu non ti sei dimenticata di me?".
"Come avrei potuto scordarmi di un tenero ragazzino che mi
baciava con tanto trasporto sulla barca di mio marito sotto la
luna di maggio?":
"Mi fa piacere di non essere passato come una nullità. E tu come
ti chiami?".
"Non te l'avevo detto? Kate, Kate Ford. Ma se non hai da fare
questa sera potremmo cenare insieme, sono sola e pensavo di
andare da Fouquez, ma forse non conviene, è troppo di lusso.
Conosci tu qualche bel posticino?
Impreparato a questa richiesta, che improvvisamente lo rendeva
felice, Paul non seppe far altro che rispondere che di solito
lui cenava all'Osteria La Palme d'Or.
"Benissimo, Paul, andiamo lì allora. Si raggiunge a piedi?".
"Direi di sì, in un quarto d'ora".
"Bene, sono già le sette, incamminiamoci. Lo prese sottobraccio
e si diressero verso Boulevar de la Croisette. Costeggiarono il
mare. Kate volle farsi raccontare da Paul cosa avesse fatto in
questi dieci anni e non si meravigliò di sapere del fallimento
dell'azienda del patrigno, della morte della madre e dello
stentato turn over che aveva sostenuto nell'ambito lavorativo.
Paul percepiva la felicità di quell'incontro, la voglia di
vivere negli occhi di lei.
L'osteria piacque molto a Kate, che non era abituata ad ambienti
semplici, familiari.
"E di te?" volle sapere Paul, mente sgranocchiava un trancio di
pesce spada.
Kate appoggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le mani agitandole
davanti alla bocca come per dare maggior risalto alle frasi.
"Che vuoi che ti dica, Paul? Lo puoi immaginare anche tu. Mi
sono sposata un milionario di sessantadue anni, ho dovuto
sopportarlo sessualmente per un po', ma prima o poi sarebbe
schiattato, no? E io sarei diventata un'ereditiera libera di
cercarmi un nuovo compagno".
"E l'hai trovato?".
"Ti confesso che c'è la coda sullo zerbino di casa mia, ma,
tranne qualche breve avventura, giusto per togliermi finalmente
lo sfizio di far l'amore come si deve, sono ancora vedova, casta
e pura".
La cena si stava avviando al termine quando Kate chiese a Madame
Justine dove abitasse questo baldo giovane.
"Oh, Paul abita in una torre in collina, è un castellano" le
rispose, maneggiando dei bicchieri dietro il bancone del bar.
"Bello e romantico, la voglio vedere subito questa torre, come
ci si arriva, Paul?".
"Beh, a piedi ci vorranno venti minuti, sai la strada è in
salita. Io di solito la faccio in bici".
"Cosa credi che possano essere venti minuti di cammino in
salita? Ci servirà per smaltire bene quello che abbiamo
mangiato".
"Pago io" disse, Kate.
"No, Signora, ho l'abbonamento, non ce n'è bisogno".
"Va bene, allora pagherò qualcos'altro, andiamo".
Intrapresero il boulevard dalla parte del mare quando Kate si
piegò appoggiando i gomiti sulla balaustra e disse "Ecco, vedi,
laggiù, a occidente dell'Ile di Saint-Honorat, è lì che tu mi
hai baciato e ribaciato sulla mia barca".
"Un momento, tu mi hai invitato a salire e anche tu mi hai
baciato".
"Forse ti ho invitato a salire proprio perché ti volevo baciare.
Poi mi dicesti che per te io incarnavo l'amore romantico, il
primo bacio della tua vita e io, allora, ti chiesi di non
dimenticarmi mai... E poi ti dirò il perché".
Ripresero il cammino. Quando incominciò la salita, Paul,
protetto dalla penombra, provò a far scivolare il braccio
intorno alle sue spalle. Lei, con un rapido movimento, lo
costrinse a prendere, invece, la sua mano. E si tennero stretti
sino all'arrivo alla torretta che, per Kate, fu un abbaglio.
"Oh, bellissima!" esclamò con entusiasmo "Un nido d'amore
eccellente".
In effetti, dopo le sistemazioni apportate, la torretta svettava
sullo sfondo di pini di mare e bouganvillee fiorite. Era isolata
dalla strada e dalle altre abitazioni, di forma rettangolare con
mattoni rossi in vista. Non mostrava gli oltre cento anni che
aveva.
Entrarono. Paul gliela face visitare da cima a fondo e Kate se
ne innamorò subito e aggiunse: "E' molto romantico qui, dovresti
avere il letto pieno di giovani prede. Mancherebbero soltanto i
gerani alle finestre e poi sarebbe un gioiellino!".
Poi si fermarono su un divano giallognolo al primo piano. Kate
lanciò il cappello su una poltrona e si accovacciò con i piedi
al fianco delle natiche.
"Vuoi una sigaretta, Paul?" gli chiese.
"No, grazie, io non fumo, vuoi che ti prepari un caffè?".
"Dopo, semmai, ora mi accendo una Gitane".
Fece scoccare l'accendino che estrasse dalla borsetta e
incominciò ad aspirare con avidità.
Rimasero seduti sul divano per alcuni minuti, ognuno sopraffatto
dalla presenza dell'altro, stimolati da frammenti di parole
gentili. Poi, con aria naturale, Kate gli chiese: "Perché non ci
facciamo un bella doccia?".
"Falla pure, sai dove si trova".
"No, Paul, la facciamo insieme, vuoi?".
Paul non riuscì a evitare di arrossire, poi si ricompose. Vide
Kate che aveva gettato la sigaretta dalla finestra, si era
levata il vestito ed era rimasta in bikini. "Beh, cosa fai lì
impalato? Spogliati anche tu, sbrigati. Dopo la doccia saremo
pronti per far meglio l'amore, non ti pare?".
"Non avevo messo in programma questa possibilità" smozzicò Paul.
"Bene, metticela ora... e preparati".
Fare l'amore con Kate fu appagante sia sul piano fisico, sia su
quello psicologico. Paul non aveva mai posseduto una donna così
attraente e disinibita che gli insegnasse i trucchi per
accoppiarsi meglio, per provare il massimo piacere. Dopo un
breve intervallo e un'altra Gitane non mancò il bis e, a notte
inoltrata, dopo un caffè corroborante, venne la terza
prestazione. Paul era sfinito. Si addormentarono rannicchiati
come due cuccioli sazi del latte materno.
Verso le dieci del mattino, Kate si svegliò per prima e
picchiando con la punta delle dita su una spalla di Paul disse:
"Svegliati, Paul, mi rimane poco tempo per salutarti".
Paul strizzò gli occhi, poi li riaprì e assimilò quella frase.
"Già devi partire, Kate?".
"Certo, domattina, se i miei marinai avranno provveduto ai
rifornimenti necessari".
"E quando ci rivedremo allora, Kate?" domandò con ansia Paul,
mentre le accarezzava il viso con una mano.
"Mai più, credo, devi sapere che ho venduto la barca a un
appassionato di Marsiglia che me la pagherà bene. Gliela devo
portare a domicilio". Poi ritornerò in America, dove ho i mie
affari e i mie legami. Ormai l'estate è agli sgoccioli".
"Ma tu... non provi alcun sentimento per me, Kate? Mi stai
parlando come se fossimo in ufficio".
"Paul, svegliati, cosa credevi, sei carino, mi hai avuto, hai
completato così il tuo primo bacio, non ti basta?".
"L'amore per gli uomini non mi convince. Chi ti rende la più
felice al mondo e chi ti rende la più triste al mondo sono la
stessa persona. Così ho fatto in modo di sbarazzarmi di quello
sbaglio, di quel vecchio che avevo come marito. Ho ereditato
decine e decine di immobili, un'azienda ben avviata e tanti
uomini che lavorano per me...".
"Che cosa intendi dire con Ho fatto in modo di sbarazzarmi ...
?".
"D'accordo, posso raccontarti tutto, poi me ne vado, mentre mi
vesto puoi farmi ancora un po' di caffè, Paul?".
"Certo, ho anche dei biscotti".
Kate li apprezzò, si riaccese una sigaretta e riprese il
discorso.
"Come potrai immaginare, Paul, il mio matrimonio con Jack Ford
era solo di convenienza per entrambi: un vecchio solo, ricco
fino al midollo che si scopa una ragazzina che ha quarantacinque
anni meno di lui. Il benessere è l'afrodisiaco supremo. E'
lampante, no? E' stato come ragionare col cervello che ho in
mezzo alle gambe... Certo mi ha fatto divertire, ho preso la
patente nautica e ora so pilotare un veliero in perfetta
autonomia. La mia permanenza con lui è stato un viaggio
ininterrotto, mi ha aiutato a cambiare opinioni e pregiudizi, ma
poi mi era venuto a nausea, pensavo che col tempo il suo sesso
si sarebbe assopito, invece oggi, grazie a certe pastigliette
azzurre, la vitalità si è allungata. Non ce la facevo più a
riceverlo dentro di me e poi, avevo bisogno di staccarmi da lui,
di riprendere la mia libertà che avevo interrotto a diciassette
anni!".
"Sei spietata, Kate, bella e spietata! Come ti sei liberata di
lui?".
"Un giorno eravamo in navigazione con il Nantucket al largo di
Cape Cod. Faceva caldo, calma di vento, era una mattina
assolata. Gli dissi: Jack, facciamo un bel bagno qui, in mezzo
al mare, così ci rinfrescheremo come si deve. Esitò. Ma l'acqua
è gelida, mi rispose. Jack, ammaina le vele e getta l'ancora!
Così fece. Scendemmo dalla scaletta e ci immergemmo in
quell'acqua deliziosa, gelata proprio come aveva bisogno per
qualche minuto la nostra pelle. Facemmo qualche bracciata.
Eravamo soli, nell'oceano, al largo di Chatam, nessuno a
disturbarci, a controllarci, nessun'altra imbarcazione
all'orizzonte. Io fui la prima a risalire a bordo. Jack, più
lento era rimasto un po' indietro. Allora alzai la scaletta.
Levai l'ancora, accesi il motore e ripartii".
"E Jack, l'hai lasciato solo in mezzo al mare?".
"Jack, urlava, ma durò poco, quando ripresi la navigazione lo
vidi annaspare e già la sua testa stava per restare sott'acqua".
"Così morì, senza alcuna possibilità di salvezza...".
Paul la guardava con occhi attoniti. Era spaventato, un ragazzo
così sensibile come lui non aveva mai ricevuto in presa diretta
una simile confidenza. Ma era anche affascinato dalla bellezza
sfrontata di Kate.
"Le indagini iniziarono subito, io fui subito inquisita,
considerato che ero la sua erede e che l'avevo sposato pur
essendo di così tanti anni più giovane di lui. Avevo un movente,
capisci? Il cadavere fu trovato una settimana dopo nei pressi di
Oak Bluffs, sulla costa di Martha's Vineyard Island. Affermai,
nella mia deposizione, che stavamo facendo il bagno e, a un
certo punto, Jack era scomparso sotto la superficie.
Procedettero con l'autopsia: era morto annegato. Proseguirono a
tartassarmi per un paio di mesi, poi furono costretti ad
archiviare il caso come incidente. Iniziarono poi i cavilli
burocratici con assicurazioni, notai e avvocati. L'eredità era
pesante, ma io mi feci affiancare da un pool di esperti
amministrativi che hanno pensato a tutto compreso, farmi vivere
su un piatto dorato".
"Ma è allucinante, non ti sei pentita di quello che hai fatto?".
"Non credo, provenivo da una famiglia misera, non avrei mai
avuto modo di emergere senza Jack che conobbi casualmente in un
bar di Washington Square dove facevo la cameriera. Mi dispiace
per lui, ma penso che ormai avesse vissuto abbastanza".
"Sei spietata, mi riesce difficile crederti".
Kate aspirò una lunga boccata di fumo misto a nicotina.
"Non hai neppure timore di raccontare in giro tutto questo? E se
io parlassi, se andassi alla polizia?".
"Non racconto in giro questa storia, ma solo a te. Io sono stata
il tuo primo amore. L'hai detto tu. Stanotte hai finalmente
completato ciò che avevi iniziato anni fa... e con gli
interessi. Non potrai mai tradirmi. Avresti solo delle grane e
non potresti dimostrare niente. Potrei sempre dire di essermi
inventata tutto e riconfermare che Jack è morto per via di un
malore mentre faceva il bagno nel mare di Cape Cod".
"E' così allora... o è stato un omicidio, dimmelo!".
"Non alzare la voce con me, Paul, non te lo puoi permettere.
Certo che non è stato un omicidio, ti ho solo voluto provocare,
completare il capolavoro di questa notte mettendoci una firma
indelebile. Hai avuto due tipi di eccitazione, non sei
contento?".
"Non so cosa dire, Kate" disse Paul, chiudendo gli occhi e
scuotendo la testa "non mi sarei mai aspettato un racconto così
speculare, freddo e crudele".
"Era proprio quello che volevo che recepissi, il mio modo di
ringraziarti, il mio ultimo saluto. La vita non è aspettare che
passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia."
"Non so ballare neppure nelle giornate di sole, Kate".
"Su, voglio l'ultimo bacio ora, dobbiamo sdoganare il nostro
capolavoro di questa notte". Gli prese le guance tra le mani e
lo attirò a sé.
Si baciarono. Poi Kate si ricompose, si mise il cappello in
testa, gli allungò una mano sulla spalla e gli disse: "Sono
fiera di te, Paul, sei un ragazzo splendido, hai un'alcova
perfetta e vivi in un posto tra i più belli al mondo. Quanto a
noi, ricordati che ci sono tanti tipi di amore, ma mai lo stesso
amore due volte".
"Ti accompagno!" si risolse Paul, dopo la pausa necessaria ad
assorbire quelle parole.
"No, meglio di no, meglio ricordarci qui, dentro la tua bella
torretta, di questo si dovranno ricordare le nostre menti".
"Come vuoi, addio allora".
"Addio, Paul, buona fortuna".
Kate aprì la porta, scese i pochi gradini e scappò via verso la
discesa.
All'indomani di quel giorno di settembre, Paul si alzò presto.
Aveva dormito male, sapeva che il suo bagaglio di vita si era
arricchito con un episodio nel bene e nel male indimenticabile.
Kate lo aveva trattato con interesse, con incoraggiamento, con
cattiveria, con indifferenza. Forse gli aveva raccontato quella
storia come per vendicarsi per aver provato dei sentimenti per
lui. Lo aveva attratto a sé, gli aveva sbadigliato in faccia e
lo aveva attratto di nuovo a sé. Gli aveva portato una felicità
estatica e un'intollerabile angoscia. "Dannazione!" si disse
Paul, torturandosi "Viviamo in un'epoca in cui le persone si
nascondono dietro a scritte digitali, dove si ostentano risate
mentre si piange, dove si raccontano vite spericolate
nascondendo giornate noiose, dove si dice amore senza sentire
niente... Dove qualcuno si crea una vita perfetta agli occhi
degli altri, ma quando nessuno lo vede, spera in qualcosa di
vero". Ma Paul sapeva anche che gli amori impossibili durano per
sempre.
Si mise in piedi sul letto, impugnando un coltellino, e riuscì a
cambiare la parola kiss con la più matura love.
Aprì le persiane della sua camera e vide il cielo albeggiare. La
luna era ancora presente, nitida, affacciata verso occidente in
direzione Marsiglia. Nel mare uno yacht d'altura si stava
allontanando in tutta tranquillità dalla rada. Inesorabile come
l'ago di una bussola. Era il Nantucket.
Massimo Messa |