L'UOMO CHE NACQUE MORENDO

 


Al Bar Costituzionale mi ero affezionato. Mi sentivo bene e sereno con me stesso, ma la mia famiglia, in quel mese di ottobre del 1994, era rimasta a Milano, perciò nella cittadina della Lunigiana, dove mi avevano spedito in missione, ero pur sempre solo. La solitudine non è sempre una bella compagnia. Non a tutte l'ore per lo meno. Così, con qualche collega e con qualche conoscenza coltivata sul posto, spesso passavo le mie serate a giocare a briscola chiamata in quel bar di piazza Matteotti. La compagnia s'era poi allargata e qualche volta riuscivamo a formare due tavoli. C'era la televisione. Non potevamo perderci i Tg e neppure le partite di calcio. La solitudine poteva andare a farsi fottere. 

Quando non giocavamo a carte, si stendeva un paio di copie del Secolo XIX sui tavoli e, accanto a un bicchiere di birra o di vino dei Colli di Luni, dopo cena si parlava di sport o di politica. Discorsi da bar, beninteso. Ma ci aiutavano ad ammazzare il tempo come se fossimo in una commissione bicamerale. "Certo che i liguri sono tosti" mi dicevo "Se da un lato sanno fronteggiare al meglio le avversità, Assuetus malo Ligur, come anche Virgilio aveva constatato, è altrettanto vero che il ligure non si assoggetti tanto facilmente".

Nelle dispute verbali, nessuno cambiava idea e nei bar le rigidità mentali sono più diffuse! Cosicché, quando vi erano delle divergenze di opinione, si inscenavano degli scontri animati che mi premuravo di smorzare non appena avessi sentore che stessero degenerando. Per loro io ero il bancario milanese. Anche se l'epiteto non era così lusinghiero, tutto sommato mi stava bene, perché a un bancario un ligure porta un po' d'invidia, ma anche una certo deferenza. Il mio parere contava più del mio contributo a carte: a briscola li lasciavo sfogare. E quando a briscola sbagliavo una giocata, spesso volava il solito ritornello pronunciato con freddezza dal mo compagno di turno: "Un banchiere è uno che ti presta l'ombrello quando c'è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere". A me sembrava più un transfer sulle abitudini comportamentali dei liguri, ma non ci badavo. Al di fuori del tavolo da gioco, il rispetto l'avevo e tanto mi bastava. 

Spesso sul giornale s'incontravano degli articoli inerenti a Erich Priebke, il capitano tedesco che, agli ordini di Herbert Kappler aveva partecipato all'eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944. A guerra finita era riuscito a fuggire dal campo di detenzione inglese di Rimini e a far perdere le proprie tracce. A distanza di cinquant'anni, nel maggio di quel 1994, Priebke fu individuato a San Carlos de Bariloche, in Argentina, dove viveva, pacifico e indisturbato. Ora i giornali ne parlavano spesso perché l'Italia aveva chiesto l'estradizione dell'ex capitano delle SS, per processarlo. Ma sino a quel momento Priebke era rimasto nello stato sudamericano. 

Una sera, dopo aver letto l'ultimo pezzo del Secolo XIX, spianato sul tavolo tra due mazzi di carte in attesa, si animò una inevitabile discussione, che montava ad ogni minuto. Si erano divisi in due gruppi contrapposti, a mio parere parimenti superficiali. C'erano quelli che s'infuriavano perché, secondo loro, i tedeschi sono tutti nazisti, compreso l'allora cancelliere Helmut Kohl, tutti da condannare e, se fosse possibile, da cancellare sulla faccia della Terra. E c'erano gli altri che invece sostenevano che bisognasse farla finita con nazismo e fascismo perché erano in essere, in tutto il mondo, problemi ben più gravi a cui pensare che minacciavano le democrazie. 

Da parte mia decisi questa volta di non intervenire, straniero in terra sconsacrata. Non vedevo le cose così tragicamente. In generale la democrazia va difesa, ma in fin dei conti è riconducibile a un criterio di compromesso per assegnare le decisioni a chi è in maggioranza, anche se non è sempre vero che a un maggior numero corrisponda la ragione. Galileo Galilei docet. E fior di personaggi storici hanno preso a sberleffi il significato di democrazia. Benjamin Franklin l'assimilava a due lupi e ad un agnello che mettono ai voti cosa avere per pranzo e paragonava la libertà a un agnello ben armato che contesta il voto. Per Oscar Wilde la democrazia non era altro che far bastonare il popolo dal popolo per il bene del popolo. Il filosofo Blaise Pascal sosteneva che non potendo ottenere che ciò che è giusto fosse forte, si è fatto sì che ciò che è forte fosse giusto. Per altri la democrazia è l'adorazione degli sciacalli da parte dei somari. Comunque sia, non ho mai pensato che esistano alternative per la convivenza di un popolo. 

Mentre mi stavo rinfrescando il cervello con queste elucubrazioni, ecco che la discussione si accese ancor di più e, tra un belin e una bagascia, i toni si alzarono a tal punto che temetti una rissa. Finché un provvidenziale tal Basilico, dalla parte di coloro che non volevano che si facesse di tutta l'erba un fascio, propose di uscire a leggere la scritta commemorativa che avrebbe dato una risposta alla contesa. Si trovava su di bassorilievo che la città, anni addietro, aveva collocato in piazza Martiri della Libertà su una colonna dell'ex Albergo La Laurina, edificio storico che era stato adibito a caserma fascista durante la guerra. Era lì che dovevamo andare. Chi più, chi meno, i sarzanesi sapevano di aver dedicato questa lapide all'ufficiale tedesco, ma ben pochi si erano degnati di leggerne il testo. 

Dopo qualche reticenza, una dozzina di persone, me compreso, s'infilò i cappotti o le giacche a vento e uscì dal Bar Costituzionale per incamminarsi verso la menzionata scritta. 

Si stava avvicinando una ricorrenza importante per gli abitanti di Sarzana, il cinquantesimo anniversario di un episodio coraggioso, quanto funesto, che la discussione aveva inglobato. 

Una volta usciti all'aria fresca della sera, gli animi si placarono e la discussione si abbassò a fraseggi di normale amministrazione, come se l'uscire all'aperto avesse fatto da anestetico per un dente dolorante. 

Dieci minuti di cammino ed eccolo il bassorilievo, bianco come il marmo di Carrara, raffigurante un uomo che infilza una piovra ai suoi piedi, applicato dal Comune sulla terza colonna del portico del La Laurina. Più in basso la lapide, illuminata a stento da un lampione, testimone di parsimonia. Lessi, nitida, la data di posa: 29 novembre 1953. 

Basilico, che stava in testa, come a guidare il gruppo, vi si arrestò a piedi uniti e, voltandosi verso gli altri, disse in tono perentorio: "Ora state zitti, leggerò io per tutti ad alta voce!". Un altro aspetto della democrazia? 

Basilico, si levò di tasca gli occhiali, se li pose sul grosso naso stagionato e si atteggiò a un attore di teatro impegnato in un monologo, ma senza leggio, e nel marmo lesse quest'epigrafe: Illuminato dalla Dea Giustizia - riscattato dalla soggezione al bestiale furore teutonico - non defezione - ma eroica rivolta - portò il capitano della Marina Germanica - Rudolf Jacobs - primo nelle file dei partigiani sarzanesi - ad immolarsi per l'Italia - per la Libertà - Patria Ideale - Il 3 novembre 1944 - La civica Amministrazione - questo marmo vuole - nel luogo del sacrificio". 

Dunque una lapide insolitamente dedicata a un ufficiale tedesco. "Non credo che abbia riscontro altrove in Italia" mi azzardai a supporre. 

Dopo la lettura, che era stata ascoltata da tutti con silenziosa attenzione, Basilico riprese le redini del discorso e disse: "Capite? Non è vero che tutti i tedeschi fossero dei nazisti. Ma anche se il solo non nazista fosse stato il capitano Rudolf Jacobs, lui varrebbe per tutti gli altri messi insieme!". 

Il gruppo, con la discussione nel bar, sfogato si era sfogato, appariva un po' intirizzito e desideroso di andarsene a dormire. Finì col dargli ragione, salvo confermare che Priebke dovesse tornare in Italia al più presto. 

La serata si era conclusa, ma la vicenda di Jacobs mi aveva incuriosito. L'indomani mattino, prima di recarmi in filiale, passai dal giornalaio e chiesi se esistessero delle guide turistiche su Sarzana. "Come no?" e me ne indicò tre, tra le quali scelsi quella che mi parve meno fotografica e più culturale. 

Quella sera bigiai il bar, raggiunsi il mio alberghetto, che si chiamava A casa di Alice, salii in camera mia, mi tolsi le scarpe, presi una mela dal canestro che stava sul comodino e mi misi a sgranocchiarla seduto sul letto appoggiato alla spalliera. Avevo il libro di Sarzana in mano, saltai le pagine generiche e iniziai il capitolo sul capitano tedesco che s'intitolava: L'uomo che nacque morendo

Assimilavo mela e lettura. La guida così riportava il fatto:

Rudolf Jacobs, nato a Brema il 26 aprile 1914, caduto a Sarzana il 3 novembre 1944. Capitano della Marina da guerra germanica, il giovane ufficiale aveva partecipato alla campagna d'Africa e ad altre operazioni tedesche. Nel 1943 prestava servizio in Italia, dove gli era stato affidato il comando di una batteria che, situata tra Punta Bianca e Bocca di Magra, era in grado di controllare la costa sino a Viareggio. Di sentimenti democratici, dopo l'8 settembre il capitano Jacobs si studiò di rendere concreta la sua avversione al regime hitleriano e, con il caporalmaggiore Johann Fritz, decise di passare con i partigiani italiani, che cominciavano ad operare in Val Magra. Presi accordi con un patriota spezzino in contatto con la Resistenza, Jacobs e Fritz caricarono un autocarro di fusti di benzina e di armi e, una sera sul finire di settembre, abbandonarono la batteria. A bordo dell'automezzo raggiunsero il ponte sul Magra, dove li attendevano alcuni uomini della Brigata Garibaldi Muccini, ai quali disse: "Sono pronto a dare la mia vita purché si abbrevi anche di un solo minuto questa guerra insensata". I due militari tedeschi, accolti nella formazione, parteciparono attivamente per oltre un anno alla lotta partigiana. Jacobs assunse il nome di battaglia. "Primo". Il 3 novembre 1944, appena scesa l’oscurità, l'ufficiale tedesco decise di guidare un'azione contro le brigate nere di Sarzana, mettendosi alla testa di dodici partigiani, Jacobs, Fritz, tre russi e sette italiani ai quali aveva fatto indossare le divise della Wehrmacht. Che storia era quella? Tedeschi che assaltavano fascisti! Attaccarono l'hotel "La Laurina", nel quale erano acquartierati settanta uomini delle brigate nere. Forse confidavano sulla soggezione che, normalmente, i repubblichini dimostravano nei confronti degli ufficiali tedeschi. Fatto è che Jacobs si presentò con il suo drappello e intimò la resa al comandante fascista; appena il portone si dischiuse, puntò la machinenpistole, uccidendo il piantone. S'accese una mischia furiosa, con perdite sanguinose da entrambe le parti. Jacobs si gettò oltre la soglia, ma al secondo colpo la sua arma smise di sparare. Innumerevoli colpi delle brigate nere lo raggiunsero, senza che le sventagliate di mitra del soldato che lo affiancava potessero nulla. Ora è sepolto nel cimitero di Sarzana.

Su questo episodio L'Unità ha pubblicato il romanzo di Luigi Monardo Faccini, "L'uomo che nacque morendo". Un libro acuto, pieno di domande intelligenti. Faccini interroga Tacito, Lutero, Goethe, Heine e Wagner, per comprendere la follia tedesca, e costruisce con Rudolf Jacobs un personaggio di esemplare problematicità, che si riscatta da una abiezione collettiva ormai insopportabile. 

Sul comodino era avanzato un torsolo di mela. Mi preparai per la notte e mi stesi sul letto. A luce spenta ripensai a come, in effetti, l'ufficiale tedesco si fosse riscattato, abbandonando uno schieramento ideologico scellerato per mettersi dalla parte di chi questa ideologia stava contrastando con tanto coraggio. La sua morte emblematica aveva riscattato il suo passato. Perciò il titolo del romanzo non avrebbe potuto essere più calzante. 

Pochi giorni dopo, il 3 novembre 1994, si celebrava a Sarzana il cinquantesimo anniversario della morte di Jacobs. Era un giovedì. Nel corso della mattinata uscii per una mezz'ora dalla banca per unirmi ai cittadini sarzanesi ad osservare gli animi accorati che riconoscevano in questo ufficiale chi aveva saputo realizzare un ideale valido a perseguire la pace tra i popoli.


 

Massimo Messa

 

 

 

 

 

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piazzascala.it - luglio 2016