Il collega e amico Arnaldo De Porti ha stuzzicato i miei ricordi di gioventù scrivendo della sua Lambretta degli anni '60 che mi pare possieda tuttora. Non solo i miei ricordi, ma la mia struggente invidia, non cattiva però. Proverò a rendergli pan per focaccia.
Ne ho possedute tre. La prima si chiamava "Lambretta C", aveva un motore centrale, come tutte le Lambrette, a differenza della Vespa che lo aveva sul lato sinistro della ruota posteriore in una carenatura ovale, simmetrica al bauletto sistemato sul lato opposto. Il motore a due tempi aveva una cilindrata di 125 cc.. La comprai con i proventi del mio primo lavoro, quello di agente di vendita di macchine contabili Burroughs, e mi servì anche per raggiungere i clienti della mia zona di competenza, le quattro province occidentali dell'Emilia Romagna. Quando uscì sul mercato, spiazzò per un certo periodo di tempo la concorrente della Piaggio per il prezzo molto competitivo e per le migliori prestazioni. La Vespa aveva una struttura a lamiera portante mentre la Lambretta montava un robusto telaio tubolare.
La mia seconda Lambretta, stessa cilindrata, era ancora più economica, troppo forse, a causa di certe soluzioni semplici, come ad esempio la sostituzione dell'avviamento a pedale con la maniglia a strappo, come quella degli attuali tosaerba. La tenni solo per un anno a mezzo, poi la cambiai con un modello più potente, di 160 cc., che superava i 100 kilometri all'ora..
Andavo a caccia con un amico che possedeva una "Lambretta B", modello precedente molto robusto, e ci arrampicavamo su impervie strade di montagna, con i nostri cani accucciati sulla pedana, prima dell'alba. Capitò perfino che il mio amico non avesse il permesso di utilizzare il suo mezzo e quella volta partimmo in due sulla mia Lambretta con un cane sulla pedana e un altro in braccio al mio amico, fucili a tracolla e zaini sulle spalle. E capitò più volte di viaggiare sotto una pioggia torrenziale o nella nebbia.
Arnaldo scrive dei passi dolomitici e anch'io il giro delle Dolomiti lo feci un paio di volte, il Pordoi, il Sella, il Falzarego. La Liguria era a portata di gite in giornata, ma una volta mi spinsi fino a Montecarlo, Nizza e Cannes, dove vidi il primo striptease, allora non ancora giunto dalle mie parti.
Ovviamente si andava a ballare nelle balere della nostra provincia o di quelle limitrofe e il possesso di una Lambretta o di una Vespa ci dava un certo vantaggio rispetto ai concorrenti appiedati. Le automobili erano rare e i ragazzi della nostra età non le possedevano certo. Perciò lo status simbol era rappresentato dalle due ruote, anche quelle di diametro piccolo come le nostre. Le ragazze non si facevano pregare a fare un giretto. Non portavano ancora i pantaloni ed erano costrette a sedersi di traverso sulla sella posteriore. Una volta ne persi una per strada e la ritrovai al ritorno felicemente assisa sulla Vespa di un mio amico..
Eravamo cinque o sei, fra Lambrette e Vespe, sempre impegnati in discussioni campanilistiche. La Vespa era indubbiamente più bella, con la sua carenatura argentea metallizzata, ma la nostra Lambretta la batteva in velocità, ripresa e stabilità, quest'ultima dovuta al motore centrale, ma se pioveva noi ci bagnavamo di più. La mia ragazza (che poi divenne mia moglie) non amava viaggiare in Lambretta. Giustamente odiava la pioggia e il vento, ma io insinuavo che non volesse rovinarsi l'acconciatura.
Ebbi un unico incidente: viaggiavo di notte nella nebbia sulla via Emilia, quando mi si parò dinanzi un ubriaco pencolante in mezzo alla strada. Non potei evitarlo e lo urtai con una spalla mandandolo a gambe all'aria. Si rialzò piangendo ma illeso. Caddi a mia volta e mi portai appresso il mal di schiena per molti mesi.
L'ultima Lambretta la vendetti quando comprai la prima macchina, una Bianchina 500, verso la fine degli anni'50 .La rimpiango tuttora a calde lacrime.

Giacomo Morandi (gennaio 2016)
 

 

 

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piazzascala.it - gennaio 2016