UN GELATO ALLA FRAGOLA
Di
cognome faceva Prete e mai cognome fu meno
appropriato.
Aveva l'aria da 'tombeur de femmes' con la sua
andatura caracollante, bilanciata da un piede
all'altro. Sulla cinquantina, capelli nerissimi,
forse troppo, e due occhi accesi che, quando si
posavano su di me, mi dicevano cose che allora
trovavo imbarazzanti, lui passava ogni mattina lungo
il mio ufficio per raggiungere il suo.
Dietro di se' lasciava il fumo della Nazionale
puzzolente che teneva sempre fra le labbra. Ma il
suo tratto distintivo era l'abbigliamento.
Lavoravamo nella stessa banca ed eravamo circondati
da perfette camicie bianche o azzurrine, cravatte
anonime e completi in ogni sfumatura di grigio. Lui
portava giacche a quadri che sembravano rubate ai
domatori di cagnolini delle fiere paesane, pantaloni
attillati quando tutti gli altri erano a zampa di
elefante e cravatte improbabili che soltanto molti
anni dopo avrei visto sfoggiare da Renzo Arbore.
L'estate era la stagione in cui il suo estro
cromatico dava il meglio di se'.
Una mattina di luglio arrivo' con una camicia rosa
shocking su dei pantaloni color lampone, una macchia
allegra in mezzo al solito grigiume dei bancari.
Gli sorrisi con simpatia e mi venne spontaneo dirgli:
'Signor Prete, stamattina sembra un gelato alla
fragola'.
'Alura ca'm berlica!' mi rispose sornione.
Mentre tutti ridevano, io avrei voluto sprofondare.
Erina Scannerini