Venne poi il giorno della decisione di
rimpatriare, non tanto perché non mi trovassi bene dove lavoravo, ma
soprattutto perché sentivo il bisogno di mettere piede nella mia terra.
Feci una domandina alla Banca Commerciale Italiana di Milano e,
fortunato anche questa volta, fui invitato per un colloquio al quale
seguì un’immediata assunzione: lasciata la Svizzera di sabato, già il
lunedì successivo presi posto all’ufficio estero-merci della Comit, in
piazza della Scala ove, fra una filiale e l’altra di tutto il territorio
nazionale, da Milano a Roma, da Milano a Torino, da Venezia di nuovo in
Direzione Centrale di Milano, San Donà di Piave ed altre filiali minori,
lavorai per 36 anni.
E qui venne il bello!
Iniziai il primo agosto del 1957 in un comparto che allora era
considerato l’università della banca: trattavo gli scambi
internazionali, grazie anche alla mia discreta conoscenza delle lingue.
E’ stata un’esperienza favolosa che mi è servita e continua a essermi
utile anche ora in quanto da lì pareva di essere in un osservatorio in
cui si poteva capire da vicino la situazione economica italiana. Se poi
aggiungo che allora i miei capi erano i Cuccia ed i Mattioli, allora si
possono capire tante altre cose e cioè che c’era un altro modo di
gestire la finanza rispetto ad ora, periodo questo in cui il sistema
bancario naviga a vista in una grande e pericolosa confusione.
Poi vennero i vari trasferimenti in alcune filiali italiane: il primo,
da me richiesto, per dare una mano alla mia famiglia, fu a Venezia,
trasferimento che mi concessero con qualche difficoltà. Mi parve un
sogno l’essermi avvicinato a casa dopo le peripezie della Svizzera e di
Milano, ma il mio temperamento desideroso sempre di fare esperienze
nuove e di conseguire qualche risultato professionale, ben presto
cedettero alla tentazione di imbarcarmi in una importante, per quanto
sofferta, possibilità offertami dalla Direzione Centrale di Milano:
intorno agli anni 64-65 infatti mi chiesero se volevo, previa
preparazione di qualche anno, andar a dirigere delle compartecipazioni
bancarie in Africa, e precisamente nel Cameroun, nel Dahomay, nella
Costa d’Avorio ove si stavano aprendo dei grandi mercati verso l’Europa.
Risposi di sì, invero poco convinto, ma sempre con la speranza che
questo progetto… non andasse in porto e di portare così a casa una
esperienza di elevato spessore professionale acquisita negli uffici
degli amministratori delegati della Banca Commerciale Italiana. Ma ben
presto dovetti ricredermi. Infatti, dopo circa tre anni di preparazione
in Direzione Centrale di Milano, ove nel frattempo ero stato
ri-trasferito lasciando Venezia, un Direttore Centrale, il dr. Antonio
Monti, mi chiama e mi dice: “Caro De Porti, domani vada a Parigi ove si
incontrerà con il Direttore di Sudameris, il dr. Capechiacci, col quale
prenderà accordi per andare a…. Montevideo, in Uruguay, per ulteriore
preparazione prima di raggiungere il Cameroun. Credevo di svenire, ma
ressi, chiedendo una settimana di tempo giustificandomi con questa
pseudo-bugia, anche se in cuore avevo maturato una risposta negativa o
quasi: “devo sposarmi a breve e quindi devo prendere accordi anche con
la mia futura sposa che abita a Venezia”. Il dott. Monti, mi disse ok ed
aggiunse: “Benissimo, se si sposa, farà un bellissimo viaggio di nozze a
spese della Banca “.
A quel punto, lo ricordo come fosse ora, mi mancò la saliva e tossii
dalla tensione nervosa. Qualche giorno appresso tornai da Monti e gli
raccontai una balla: “Le cose sono cambiate nel frattempo per cui non
posso più andare in Africa”. Monti non fece una piega e mi disse va
bene. Ma dopo un paio di settimane mi ritrovai però nella filiale dalla
quale ero partito e, per punizione, dopo il gran rifiuto alla Celestino
V, dovetti ricominciare da capo la mia carriera, ritardandola di almeno
dieci anni.
Non è stato bello ricominciare da capo. Ero invaso da una sofferenza
interiore continua; immaginate infatti cosa significhi passare da un
posto di comando al massimo livello e cioè dagli uffici degli
amministratori delegati di una banca nazionale ad un ufficio di
periferia a gestire i conti correnti…di una filiale. Tenni duro perché
nel frattempo mi ero sposato e sentivo il peso della responsabilità, ma
il fisico stava disgregandosi sempre più e, di questa tragedia
professionale, neanche mia moglie capiva più di tanto... e gli umori
diventavano sempre più difficili da gestire. In cuor mio pensavo che,
con una esperienza direzionale come quella che avevo maturato in una
Direzione Centrale, non potevo certo continuare a fare l’impiegato dei
conti correnti.
Arnaldo De Porti (Feltre)