E' un bell'aggettivo, 'piccante'; e' qualcosa che stimola
il palato e la fantasia, che solletica i sensi e, attraverso
questi, invia squillanti messaggi alla mente e, perche' no,
al cuore.
Il piccante, pero', e' un gusto forte, da dosare con
sapienza e misura, e da assaporare senza lasciarsi
sopraffare.
Come nella miglior cucina, in questi racconti il piccante
c'e', eccome, ma non e' fine a se stesso. Come nelle
pietanze piu' gustose e' dosato, amalgamato, armonizzato con
gli altri ingredienti per creare quell'equilibrio che rende
piacevole il cibo cosi' come la lettura.
Gustiamocelo pure, l'aroma piccante che si diffonde dalle
pagine di questa raccolta. Gli ingredienti sono quelli
giusti: l'infedelta', l'avventura, l'incontro occasionale.
Pero' non fermiamoci: ci sono altri gusti, magari meno forti
ma altrettanto interessanti, che il piccante introduce e
valorizza: l'amaro dell'umana miseria, il salato della
sconfitta, il dolce dell'affetto, a volte perduto, a volte
ritrovato.
Vale per i singoli racconti e vale per la raccolta nel suo
insieme, che si apre gia' con una situazione boccaccesca, se
vogliamo, ma con un background di malinconia, se non di
disperazione, e un intervento del Fato che richiama alla
mente il Deus ex machina delle tragedie classiche. Procede
poi destreggiandosi tra generi differenti, che l'aroma
piccante accomuna e amalgama. Passiamo dalla commedia,
brillante o tendente al nero, al dramma di un incontro
mercenario che, se per l'uno e' solo un'eccitante parentesi,
per l'altro diviene un evento mortalmente devastante (per
dirla con Guccini: quante volte per altri e' vita quello che
per noi e' un minuto), alla poesia dell'amore romantico,
incorniciato in una soffitta della vecchia Milano, come a
quella che nasce dove non te l'aspetti, tra i reietti che
dormono in stazione, a ricordarci una volta di piu' che e'
dal letame, non dai diamanti, che nascono i fiori. E non
manca un paio di tuffi nella Storia, tra cui un'accattivante
ipotesi (piccante, naturalmente) sulla nascita di un mito.
E poi, come in un vero pranzo gourmet, a un certo punto si
fa una pausa.
Gia', perche' a un certo punto si nota un mutamento.
Piccolo, pero' evidente.
A un certo punto i titoli diventano in corsivo.
Nel giornalismo, qualcuno ricordera', il termine 'corsivo'
ha un significato preciso: indica l'articolo di fondo, il
pezzo d'opinione; e' il momento in cui dalla cronaca si
passa alla riflessione, lo spazio che il cronista riserva a
se stesso, alle sue idee, al suo pensiero (alla sua anima?).
E' cosi' anche i corsivi di questa raccolta, le riflessioni
in cui l'autore parla di se', del suo rapporto con la
scrittura, in cui racconta emozioni piu' intime, idee e
opinioni sul mondo e sulla vita.
Riflessioni piccanti? Si', certo, almeno in parte (gustoso
il parallelismo tra la pulsione erotica e l'impulso di
scrivere), ma di un piccante non piu' troppo acuto, un
piccante che si addolcisce preparandosi (rassegnandosi?) a
dissolversi, e ci accompagna verso il finale della raccolta:
due racconti che sono anche riflessioni, pur senza corsivo.
Riflessioni sulla provvisorieta' delle cose, degli affetti,
di tutto cio' che troppo spesso diamo per scontato.
Riflessioni, direbbe un buddhista, sull'Impermanenza, ma
anche sul valore dei ricordi che vanno oltre l'umana
caducita'. Riflessioni, in una parola, sul comune destino di
tutti noi.
Antonio Charge'