AL SUPERMERCATO
 


 

Ho letto l’altro ieri sul giornale

due righe di un lettore che mi hanno fatto male.

Parlava di un uomo di età indefinita

che indossava jeans sdruciti bassi in vita.

Aveva capelli bianchi ed occhi tristi e neri

e si capiva  ch’era sommerso da mille suoi pensieri.

Quasi timido e con fare vergognoso

fermava il passante e con tono lamentoso

diceva: “Ho pesce fresco appena  adesso l’ho pescato

lo vendo a buono prezzo, meno caro del mercato”.

Lo sguardo è basso non fissa ogni passante

mentre lo implora, e il suo fare non è mai assillante.

La gente corre, ha fretta, non ha tempo di fermarsi ad ascoltare

lo guarda appena, sbuffa, e qualcuno impreca pure.

Quanta gente, mi chiedo, avrà fermato le mattine

sperando di vendere triglie ed oratine,

ma di cento che ne avrà fermato

sulla porta di quel supermercato

solo il tipo  che scrive al giornale é stato

perché  a fondo ieri l’ha guardato

bene negli occhi e con fatica l’ha riconosciuto:

sono  stati compagni da ragazzi d’Istituto.

Sulle prime l’ha fissato credendo fosse, ma non era

un barbone di strada, di quelli che la sera

quello che hanno guadagnato

se lo bevono in vino cartonato.

Prosegue  poi a scrivere il lettore

che l’uomo sopradetto fu colto da malore

e fu trovato sopra una panca di un giardino

con accanto uno scritto, un bigliettino.

“Avevo una moglie, quattro figli, un cane e un gattino

“che un giudice mi ha obbligato un bel mattino

“di abbandonare perché aveva stabilito

“ch’ero un cattivo padre e un pessimo marito.

“E così in ventiquattrore mi son trovato

“senza lavoro solo e abbandonato.

“Non posso così conciato andare avanti

“ogni giorno che scorre con passi stanchi

“cerco di arrabattarmi, di non essere un barbone

“ma la vita di adesso mi pesa sul groppone.

“Non mi resta, cari miei, di porre fine alla mia vita

“tanta è la vergogna che mi assale

“da quando ieri un mio compagno della Commerciale

“ha fatto finta di non sapere ch’io fossi stato

“e nelle mani cinque euro mi ha donato”.

“Caro direttore – adesso  a parlare è il buon lettore –

“mi vergogno di me stesso e a tutti voglio dire

“che dobbiamo avere pietà dell’altrui vita

“e avere tempo, anche se ci fugge tra le dita,

“di fermarci a guardare chi non è stato fortunato

“e chiede, non  solo  soldi, ma di essere aiutato”.

 

Antonio Annunziata
 

 

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piazzascala.it - luglio 2016