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ratatouille

CAPITOLO SESTO


Erano passate le quattro del pomeriggio quando rincasò.
Ad aspettarlo trovò ancora la vecchia Angelina seduta in salotto intenta a guardare un programma televisivo.
“Angelina, la vecchia Angelina... Era mai stata giovane Angelina?” si chiese.
Lui l’ha sempre vista così come la vede ora: con i lunghi capelli bianchi raccolti alla nuca, i piccoli occhi neri lucenti come due tizzoni di carbone, un sorriso leale.
Era piccola di statura, e le gonne che portava, lunghe fino ai piedi, la rimpicciolivano più di quello che era.
“Vi ho aspettata Professore per dirvi che questa sera, se restate a casa, vi ho messo qualcosa di pronto in frigo. Basta riscaldarlo. Ho fatto una peperonatina, e melanzane alla parmigiana, lo, adesso, se non avete più bisogno di me vado a casa.
Mio marito, Rocco - se lo ricorda “a” Rocco? - sta poco bene e devo andare a vedere se ha preso le medicine...E’ come un bambino capriccioso, non vuole prendere le medicine e fa finta di inghiottirle; poi le trovo alla mattina tutte sotto il letto!...
E’ proprio vero che più s’invecchia e più si diventa... coglioni!
Mi scusi Professore...Naturalmente esclusi i presenti...!”
Ad Andrea sentire parlare Angelina così, senza peli sulla lingua, scappò da ridere; una volta non avrebbe osato dire certe parole. “Sei un fenomeno, Angelina!” esclamò, e accompagnandola alla porta la baciò sulla fronte.
“Ci vediamo domani?” chiese
“Domani, Professore, certo...Vengo a pulire e a farvi la camera...Poi vi preparo il pranzo...se volete” rispose ossequiosa. “Per il pranzo non ti preoccupare, mi sono messo d’accordo con “Peppe”, quello della trattoria sulla spiaggia.
Vado da lui.
Abbiamo preso accordi: mi fa un piatto di pasta e mi prepara un secondo. Vino acqua e caffè per ventimila lire, tutti i giorni, esclusi i sabato e le domeniche che è alla carta..
Mi è sembrata un’ottima combinazione!”
Una volta rimasto solo in quella enorme casa, s’infilò in camera sua per disfare la valigia.
I mobili non erano più quelli di quando era bambino.
Questi erano mobili in noce, massicci, antichi.
II letto era posto con la testata appoggiata alla parete fronte alla porta d’ingresso.
Ai lati due comodini erano sormontati da due lampade di cristallo verdi. A sinistra del letto - sotto la finestra - c’era una scrivania pesante con cassetti e cassettini sia a destra che a sinistra e nel mezzo - aperto per infilarci le gambe - una sedia ricoperta di velluto verde come le lampade.
A destra, appoggiato alla parete, un armadio a due ante, possente, e capiente quel tanto per metterci le camicie e la biancheria intima (nei cassetti sul lato destro), e appendere pantaloni e giacche agli ometti nel centro.
“Chissà chi ci ha dormito quando me ne sono andato?” si domandò mentre sistemava le pantofole ai piedi del letto sopra il tappeto sardo.
Si mise in libertà: pantaloncini corti e canotta bianca.
Si accese il secondo sigaro della giornata - il primo se lo gustò assieme al caffè e al Mirto ghiacciato alla fine del pranzo al ristorante “Da Peppe”.
Tutto intorno era silenzio.
Anche troppo per i suoi gusti, dato che si era abituato al frastuono “amico” della grande città.
Ultimamente dormiva poco la notte, e così verso le quattro, le cinque di ogni mattina si trovava ad ascoltare tutti i rumori che provenivano dalla strada.
Più che ascoltare, quasi li “rubava” dopo averli attesi impaziente: il fischio del venditore di ghiaccio che passava dal lattaio appena aveva alzato la serranda del negozio.
11 tram che faceva la sua prima corsa e scivolava sferragliando lungo le rotaie..
La voce del garzone del forno che,inforcata la bicicletta, cantando ad alta voce pedalava veloce per le consegne.
La voce roca della solita “barbona” mentre litigava col suo ultimo cliente che chiedeva lo sconto sul..."servizio”.
“Ma vai a fare in culo! Tu...
Ti ho fatto un pompino?...E allora mi paghi...capito?”
Ora, in quella casa così grande e vuota, doveva farci l’abitudine al silenzio.
E così pensando e fumando, ripassò ad una ad una tutte le camere, bagni e cucina compresi, aprendo e chiudendo i rubinetti dell’acqua, accendendo e spegnendo tutti gli interruttori.
Si meravigliò che tutto funzionasse a meraviglia!
Pareva che la casa fosse stata abitata da sempre. Eppure gli anni erano passati, e tanti!
Dopo la morte della mamma (al suo funerale non c’era perché in America) la villa aveva iniziato a spopolarsi di tutti i suoi componenti.
Prima della mamma era morta la zia Elena, e il figlio Ludovico a sua volta aveva fatto la valigia per trasferirsi in Belgio.
Due anni dopo la scomparsa della sorella, era morta di cancro la zia Teresa, madre del cugino Luca, anche lui scomparso nel nulla dopo che si era imbarcato su una nave da crociera battente bandiera inglese.
Ultima ad andarsene fu la dolcissima zia Gabriella la quale, dopo che il figlio Massimiliano ne aveva combinata un’altra delle sue mascalzonate, era rimasta sola con la vecchia Angelina.
Quando anche Angelina si trasferì a vivere nella propria casa col marito Rocco, fu lei a chiudere la villa e a consegnare le chiavi di casa.
Disse che andava a Roma da una lontana cugina del marito, e da allora non se ne seppe più nulla.
Andrea, quando si trasferì a Roma, la cercò per qualche tempo, ma tutto fu inutile, era come se si fosse dileguata nel nulla!
Povera zia Gabriella, quante volte si era trovata a proteggere e a giustificare le malefatte del figlio?
Non saprebbe raccontarle tutte!
All’età di otto anni, era scappato di casa perché voleva raggiungere l’Isola di San Pietro in barca. Buon per lui che certi pescatori lo trovarono in mezzo al mare in balia delle onde, alla deriva, senza poter più governare la barca (rubata al molo) in quanto aveva perso un remo.
Ai cugini, soprattutto ad Andrea, faceva gli scherzi più cattivi.
Ad Andrea, lui ancora se lo ricorda, una notte mise una cacca secca di cavallo tra le coperte del letto, così che quando si coricò s’insozzò tutto.
Luca, una mattina, lo appese con la cinghia dei pantaloni ad un ramo di ulivo in aperta campagna e ce lo lasciò fino all’imbrunire quando lo andarono a cercare.
Quella volta il padre di Andrea si sfilò lui la cinghia dei pantaloni per dargli una sonora lezione!
Ma per il cugino Massimiliano - “Lucifero” era uno dei tanti appellativi che si era meritato - questi erano scherzi da ragazzi, giochetti innocenti. Era come se non avesse coscienza del bene e del male.
Eppure a vederlo pareva un angioletto; biondo, gli occhi azzurri, un viso pulito.
A 15 anni frequentando le scuole superiori di Cagliari divenne ben presto il bello che tutte le ragazze avrebbero desiderato come “fidanzato”.
Peccato che non amasse frequentarle le aule di quella scuola preferendo vagare per la città in cerca di altre emozioni.
 

 

(fine sesta puntata - continua)

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