L'idea
della sfida fra scapoli e ammogliati nacque dai vulcanici
cervelli dei Consiglieri del Circolo i quali, una sera, in
seduta plenaria, ne considerarono la necessità quale incentivo e
attrazione alle periodiche gite campestri.
I contendenti non solo accolsero l’idea con entusiasmo ma ne
fecero addirittura una questione di onore. Entrambi dicevano:
Vittoria o morte!
Degli ammogliati chi non era sottoposto a una troppo severa
sorveglianza muliebre, ogni mattina, all’alba, andava in
campagna a fare del footing, gli altri si limitavano ad
allenarsi salendo e scendendo le scale della Sede con il
pretesto di recapitare documenti.
Gli scapoli, invece, andavano a nanna presto preoccupando non
poco le madri, aduse a vedere il figliolo rientrare alle prime
ore del mattino con gli occhi annebbiati dalle follie.
In verità, quella fatidica domenica in cui le squadre scesero in
campo, si notò che tutti, dopo una breve corsetta, sbuffavano
come asmatici. Comunque, come Dio volle, appena gli arbitri,
dalle sgargianti divise (maglia a righe tipo galeotto oppure
pullover grigio tipo funerale di terza classe) dettero il « la »
col loro fischietto, tutti scattarono come dannati.
Il nonno Lusvardi, (quarant’anni suonati) correva come una
gazzella in amore; Rossi folleggiava facendo ballonzolare la sua
pancia avanti e indietro tanto da far venire il mal di mare;
Garofalo, solitamente compassato, con i denti alla vampiro,
scarmigliato, scuro in volto, inveiva con parole non cfèl tutto
ortodosse; Piola (novello Frossi) dopo qualche breve salto,
carponi, col naso a terra come un cane da tartufi, cercava le
proprie lenti cadute chissà dove; il buon Losa (ex portiere
dello Spezia... dice lui) si sbracciava e blaterava
continuamente, tanto da assomigliare più che altro al portiere
di casa mia (con la sola differenza che Losa non ha baffi);
Carbone, invece, riusciva, nelle sue serpentine, a scartarsi da
solo. Ma non privo di emozione era il vedere Tagliati gridare: "Uccideteli senza pietà
” con tanta foga da sembrare il Generale Custer alla testa del
suo Settimo Lancieri. Anche il Picetti brillava in campo ma, più
che altro, per i riflessi della sua... folta capigliatura.
Anche gli spettatori, in verità, si davano da fare. Ai lati del
campo, seduti per terra, sui sassi, sulle spalle degli altri,
gridavano, sventolavano bandiere, cartelli. Ogni tanto qualcuno
di essi chiedeva: « Chi è che vince? ». Finita la partita
(specialmente le donne), magari ai vinti, chiedeva: «Scusi ha
vinto lei?». Ma non avevano tutti i torti: anche qualche
giocatore non sapeva chi avesse vinto.
Comunque, sono state tre belle partite combattutissime (5-4 per
gli ammogliati alla prima, 5-4 per gli scapoli alla seconda e
5-2 per gli scapoli alla «bella») e con spunti tecnici
veramente migliori di certe partite viste a Marassi.
Ora, la storia è finita. Nessuno ci pensa più: nè vincitori, nè
vinti. Siamo tutti ritornati amici ma, ogni tanto, quando due o
tre atleti (ma sì, chiamiamoli pure atleti) si ritrovano ed
assistono, insieme, ad un incontro di calcio, si sente dire:
Però... noi scapoli (o noi ammogliati) giocavamo meglio!
Vedete, è facile fare della retorica, ma non è retorica,
sentirsi quasi orgogliosi di aver fatto parte di queste squadre
che hanno giocato a Fontaniorda o a Borbera.
Ora le squadre si sono sciolte. Qualche scapolo ha cambiato...
bandiera; altri la cambieranno (gli ammogliati, poveretti, non
possono); forse non si faranno più incontri del genere ma... se
si facessero, venite a vederli o, se sapete giocare, giocate.
Potrete anche voi, un giorno, dire ai vostri figli : « Cero
anch’io... ».
Il compito del cronista finisce qui, forse con un nodo alla gola
perchè è facile rimpiangere il passato e le giornate belle e
spensierate, ma anche con una certa soddisfazione perchè è
proprio uno di quelli che potrà dire: «Io cero». Ciao amici.
Arnaldo Rossi (Comit Genova)
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