Il
satellite YET 45 non era molto lontano dalla terra ed aveva il
vantaggio di essere al punto d’incontro di molte rotte
interplanetarie facenti capo alla terra.
Era quindi una delle più importanti e grandi basi spaziali e la
più frequentata, in quanto i viaggiatori in partenza o in arrivo
dalla terra si fermavano per una sosta di riposo e per
effettuare cambio di valuta.
Quella mattina il Rag. Perlati si svegliò di malumore, con un
peso allo stomaco. « Sarà stata l’insalata artificiale — pensò
—. E’ inutile, non la digerisco ».
Schiacciò il pulsante dell' oblò che si aprì per lasciar vedere,
oltre la cupola del satellite, il cielo infinito e scuro. La
terra non era che un piccolo disco rossastro. Una leggera
nostalgia lo prese. Ancora un mese avrebbe dovuto attendere
prima di avere i due mesi di ferie che gli spettavano. Pazienza
! sospirò.
Ingollò 2 pillole energetiche, si infilò nell’elettrodetersore e
ne uscì trenta secondi dopo ben lavato e sbarbato. Si infilò la
tuta antimagnetica e balzato sul turboscooter si diresse in
ufficio. La Banca presso cui lavorava il rag. Perlati, la
INTERPLANETARY BANK CO., era quasi all’altro lato del satellite
per cui, anche col turboscooter, ci volevano cinque minuti buoni
per arrivarci. Ma era in orario.
Il suo lavoro, suddiviso in due turni di un’ora e trenta,
consisteva, per tutti i cinque giorni della settimana, nel
controllare la macchina selettiva per l'accettazione dei
versamenti, la macchina dei pagamenti e la macchina emissione
assegni circolari. Quest’ultima era quella che dava più
preoccupazioni in quanto era difettosa. Introducendo i valori e
dicendo nel microfono i dati voluti, dalla apposita fessura
sarebbero dovuti uscire gli assegni, ma spesso accadeva che la
valvola mnemonica si incantava per cui, pur introducendo valori
falsi non si accendeva la spia di allarme.
Quella mattina fatale il Rag. Perlati decise di accertarsi se il
guasto dipendeva esclusivamente dalla valvola mnemonica primaria
o da un contatto nel doppio circuito elettronico.
Infatti gli impiegati, che seguivano speciali corsi, erano
istruiti, prima dell’assunzione, sull’uso di tester,
oscillometri, contatori geiger ecc. per individuare i guasti
alle macchine poste sotto il loro controllo onde permettere ai
tecnici specialisti rapide riparazioni.
La disgrazia avvenne improvvisa. Il rag. Perlati non ebbe
neppure il tempo di rendersene conto. Il pesante condensatore si
staccò dal supporto e, cadendo sulla cassa di piombo della pila
a uranio ne fece sprigionare come una piccola fiammata
biancastra che atomizzò la mano del Perlati.
Fortuna che tutto il sistema di allarme e protettivo funzionò
perfettamente. La centrale macchine mise subito in circuito
l’onda- urto che assorbì tutte le radiazioni sprigionate e in
breve non rimase che da praticare la cura di emergenza alla mano
del Perlati in attesa che giungesse la « fotanza » (
ambulanza-razzo a fotoni) per il trasporto sulla terra
dell’infortunato.
Poiché il rag. Perlati era di Genova, la fotanza partì a tutti
fotoni verso la terra, atterrando dopo 120 minuti al razziscalo
di Milano. Di lì, l’infortunato, in 6 minuti con un razzocar fu
portato a Genova-Sestri sul costruendo aereoporto. Da Sestri in
soli 30 minuti fu portato con un aliante all'aliscalo di De
Ferrari e di lì in soli 46 minuti fu portato col 44 in corso
Gastaldi alla sede dell’INAM.
— Lei che cosa desiderate tu? — gli disse l’usciere fermandolo
con una mano.
— Devo essere ricevuto d'urgenza per infortunio da radioattività
alla mano.
— Aspette un moment — Lei la dimand l’hai fatte?
— Veramente...
— Eh, eh, eh, giuvinotte mie ! Nun lo sai che dovete fare la
dimand? Ecche quà il module 8009.
— Grazie ma con questa mano...
— Ih! pé la Maielle, e io cume faccie? Ci ho tante da fare —
disse rammaricato l’usciere spiegando il giornale e accingendosi
a leggere.
— Mi dispiace — avanzò timidamente il Perlati — avrei pagato il
disturbo.
— Figlie mie, la mane ti fa male? Potevi dirle subbite che non
potete scrivere. Dammi quà. E il librette?
— Ma... veramente... ecco... forse... l’ho dimenticato...
— Benedetto figghie, come facciame adesse?
— Se potessi, pagando..,
— Eh, stai tranquille. Adesse vede io che si può fare. Ripassa
domani.
— Ma...
— Si domani, domani adesse no, ormai sono le 6 e deve chiudere.
Fu così che il giorno dopo si lesse sui giornali la breve
notizia. « Un impiegato di banca, certo Perlati, avendo
trascurato una ferita, è deceduto per collasso cardiaco ». Il
giornale coglie sempre l’occasione per ricordare che prevenire
un infortunio significa onorare se stessi, ma curarsi significa
onorare la società tutta.
Giuseppe Biasi |