CAPITOLO DECIMO   
 

I funerali furono celebrali nella chiesa di Don Orione.
Erano presenti tutte quelle persone che aveva conosciuto in tanti anni, solo più vecchi di quanto Fiore li aveva lasciati quattro anni prima in occasione del funerale di zia Maria.
Solo che allora, essendo la zia deceduta in ospedale, era stata lasciata per un giorno e una notte nella camera mortuaria e la messa era stata celebrata nella cappella dell’ospedale stesso.
Fiore si ricordava come era bella la zia Maria.
Anche se non più giovanissima aveva mantenuto i lineamenti delicati e la pelle liscia.
Quando lui era piccolino e la zia giovane, si sentiva importante quando le dava la mano per andare ai Giardini Pubblici di Corso Venezia.
Gli uomini si giravano al loro passaggio.
Si voltavano tutti a guardare quella bella donna alta, dai lineamenti perfetti, dalle labbra appena colorate di rossetto, carnose, dai capelli raccolti sotto un cappellino civettuolo, la gonna larga che lasciava scoperte - dalle ginocchia in giù - due gambe perfette.
“La Lollobrigida ” la chiamavano, e lei sapeva di essere piacente ma di ciò non se ne faceva vanto.
Quando la domenica mattina erano in tre ad andare a passeggio, lo zio Saverio la prendeva sotto il braccio destro lasciando Fiore alla sua sinistra.
Non aveva macchina allora, e poche se ne vedevano in giro.
Era un lusso per gente ricca. Il papà dell’amico Massimo ce l’aveva. Percorrevano tutti e tre insieme, mano nella mano, via Sardegna salendo per Piazza Piemonte dove avrebbero preso il tram per andare in Duomo.
La domenica avevano appuntamento alle undici in punto al bar Zucca col cugino Barone Franco Caruso che, Fiore, doveva chiamare zio Franco.
Al bar Zucca in Duomo i grandi consumavano l’aperitivo, mentre al piccolo - vestito con gli abiti della domenica - gli veniva servito un bicchiere di latte di mandorla e una pizzetta.
Lo zio Franco era ricco e perciò si poteva permettere di guidare una scintillante Ford americana che posteggiava sempre nel piazzale dietro l’Arengario dove, pochi metri più avanti in un palazzone moderno, aveva gli uffici.
Ogni domenica era il Barone Caruso ad invitarli in un ristorante caratteristico appena fuori porta dove si poteva gustare la cucina tipica siciliana.
Era certamente cliente affezionato questo cugino ricco perché appena metteva piede nel locale veniva ossequiato dal proprietario e dai camerieri neanche fosse il “Papa”.
Al tavolo riservato - quello posto vicino al camino che nei mesi invernali veniva usato per arrostire le carni - gli uomini sedevano uno affianco all’altro, mentre la zia Maria prendeva posto vicino al bambino.
Per Fiore c’era sempre pronto galletto arrosto con patatine fritte, o cotoletta alla milanese rigidamente con osso che andava servita fredda.
Ai grandi invece era il proprietario in prima persona a consigliare il menù del giorno che veniva immancabilmente accompagnato da vini di ottima qualità.
Il pranzo del piccolino era assai veloce perché aveva da giocare con i gattini, uno bianco e uno grigio, che sapeva di trovare nel giardino appena dietro il ristorante.
I discorsi dei grandi non lo interessavano. Li lasciava dunque discorrere di questo e di quello, sapendo che poi la discussione fra i cugini si sarebbe accesa appena avessero toccato il tasto “politico”. Fiore non sapeva nulla di politica.
Sapeva che uno era democristiano e che l’altro simpatizzava per la estrema destra.
Fra i due la zia Maria si manteneva neutrale.
II gioco con i mici durava non meno di una oretta e quando si era stancato e faceva rientro nel ristorante c’era ormai poca gente seduta ai tavoli.
Come sempre trovava la zia sola soletta seduta sulla poltrona rivestita di stoffa a grandi fiori situata nella accogliente anticamera che si attraversava appena si entrava nel locale.
Stava tranquilla a leggere qualche rivista, o a scambiare quattro chiacchiere con la signora Fernanda moglie del proprietario.
Gli zii Franco e Saverio non c’erano. Ad ogni dopo pasto andavano a giocare a carte con altri clienti nel salottino riservato.



(continua)

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piazzascala.it - dicembre 2016