UNA UMILIAZIONE SALUTARE


Quel giorno se lo sarebbe ricordato per tutta la vita: il giorno in cui era giunto in ufficio un collega e gli era stato messo al fianco, in sostituzione di un altro chiamato ad essere funzionario in una piccola Filiale di Provincia.
Era il suo, l’ufficio Segreteria della Sede Centrale, cioè un Ufficio con dei tavoloni interminabili ai quali erano seduti diecine di anonimi segretari che quasi non si conoscevano per nome, che tendevano agli studi ed alle pratiche più varie, ciascuno nel suo piccolo mondo di ricerche, di moduli, di valutazioni.
Molto spesso si vedevano facce nuove, alcune delle quali rimanevano per un tempo relativamente breve, quello cioè sufficiente ad avere una infarinatura del lavoro oppure per seguire fino in fondo una sola, particolare, onerosa pratica.
Gli aitanti commessi facevano la spola tra il bancone dei lavoratori e gli uffici dei Funzionari che predisponevano i piani di ricerca sulla condizione delle ditte dei vari settori, sia locali che delle Filiali sparse in tutta la penisola, per controllare, suggerire, indirizzare, richiamare, precludere.
Le cartelle venivano portate al bancone e suddivise ad hoc dai segretari. C’era una certa distanza tra l’uno e l’altro degli impiegati per permettere l’allargamento dei fogli delle pratiche, dei testi di consultazione, ov’era necessario, delle misure catastali e roba consimile. Ognuno aveva i suoi attrezzi in un largo cassetto: era come se ognuno avesse avuto una sua scrivania, solo che eran tutte attaccate, per guadagnare, si vede, tempo e spazio.
In certi periodi di scivolosità economica o di nazionale congiuntura i controlli venivano intensificati e nulla doveva sfuggire all’occhio vigile, anche se il lavoro diventava un po’ ossessivo o
quanto meno congestionato per questi poveri segretari. Era un lavoro che richiedeva tempo, concentrazione, meticolosità, studio, deduzione, corrispondenza per evitare o prevenire quei fallimenti, chiusure o riduzioni di lavoro di aziende apparentemente stabili ed evitare all’Istituto di essere preso in contropiede con notevoli perdite economiche.
In queste occasioni le ore passavano tanto veloci che occorrevano sempre due ore in più per tentare di stare al passo con la crisi economica. Le pagavano, si, queste ore, ma pesavano: un po’ andava bene ed il sempre storpiava e d’altra parte non portare a termine uno studio accampando solo la giustificazione di essere usciti prima, cioè all’orario giusto, era farsi una cattiva reputazione.
C’erano poi quelli più svelti che, in genere, venivano gratificati di maggior onere col miraggio di solleticanti speranze che, talvolta, avevano effettivamente seguito, stimolando così l’ansia degli altri e spronandoli ad un sempre maggior rendimento. Fungevano cioè da esca.
Or dunque, quel giorno in cui si sedette accanto si fecero quelle brevi presentazioni di prammatica, in cui naturalmente gli sfuggì il nome del collega, detto poi a mezza voce, ma che doveva essere semplice e breve. I rumori locali e contingenti del prelavoro l’avevano coperto ed inghiottito in quel parlottare confuso e cacofonico di tante persone che cercano di scaricare le loro scoperte quotidiane nella mente recettiva dei colleghi.
« Dov’era stato prima? »
Era stato nel salone là in fondo, reparto visure e stime, studi vari...
« Ah, si? Interessante... » (lo si diceva sempre per dimostrare al collega che faceva un lavoro altamente considerato). « Io di visure e stime però ne faccio pochissime, perchè non mi vanno... »
L’ora del lavoro arrivò subito, come del resto arrivava sempre subito quando ci si metteva a fare due chiacchiere distensive.
Si era stabilita l’usanza nel grande Ufficio, che, quando le pratiche erano finite od avviate, si dovevano mettere avanti sul tavolo, scrivendo in alto a destra sulla cartella che conteneva i documenti il nome del Funzionario interessato ad avere quelle scartoffie, oppure per non lordare la cartelletta stessa, gli si graffettava un cartoncino con la indicazione necessaria.
Il commesso passava, le accumulava, le ritirava a sera sul suo tavolo e le divideva nell’apposita interspaziera per recapitarle il mattino appresso agli interessati.
La fine della giornata giungeva sempre dopo otto o nove ore di penosa attesa lavorativa.
« Già finito? » chiese con voce meravigliata il nuovo venuto osservando il collega, che, allo scadere delle ore prescritte dal contratto nazionale di lavoro, si accingeva a lasciare posto e colleghi.
« Si » — rispose quello — e sorrise.
Il nuovo meditò sul fatto di avere la netta impressione che a lui venissero sempre inviate pratiche in soprannumero o anche pratiche abbastanza complesse, qualunque posto occupasse ed in qualunque salone si trasferisse di quei tremendi uffici, e quasi sempre con abbondanti visure e stime, e ne rimase sconcertato.
Scosse dunque la testa fra il meravigliato ed il seccato. Come primo giorno non poteva dirsi a suo agio e soddisfatto: era come sempre poteva essere un bancario.
Ebbe il dubbio che dipendesse da lui; anche se gli sembrava di fare abbastanza sveltamente e del suo meglio con quella pratica che, volente o nolente, aveva acquisito in parecchio tempo in cui vagava in quelle carte, sempre nell’ambito di quel settore di lavoro in attesa del fantomatico riconoscimento. Azzardò allora una domanda all’amico: « Ma come fa a finire il suo lavoro così in fretta? È forse un suo segreto professionale? »
L’altro rinnovò il suo sorriso. « Semplicissimo! Conosce lei tutti i colleghi di questo immenso Ufficio? »
L’interrogante rimase piuttosto sconcertato da questa ridomanda che, gli pareva, esulava completamente dal lavoro d’ufficio.
« No di certo. E poi cambiano così spesso... » « Vede? — rispose lieto della scoperta fatta, ed abbassò la voce a fargli una confidenza piuttosto privata — io faccio tutto quello che posso, diligentemente, ma vi sono delle pratiche che esigono dei lavori noiosi e lunghi. Allora io le lascio a quel punto, le metto lì sul tavolo e spillo alla cartella un biglietto con su scritto ‘Alla attenzione del Signor Bianchi’... non ne ritornano mai!! »
Attimi di silenzio.
« Già — disse l’altro con voce seccata ed aspra facendosi assai serio in viso — capisco ora molte cose... il signor Bianchi sono io!! »
Fu uno shoc fulminante e determinante di tutta una vita, di come quando l’onesto che compie piccoli furti, viene poi preso sul fatto e vorrebbe poter sprofondare nell’imo della terra.
Fu un’esperienza ed una umiliazione scottante, che però trasformò un uomo.
La vista gli si appannò, quasi svenne.
Naturalmente non potè nè ebbe più il coraggio di inviare le sue mezze pratiche all’attenzione di qualcuno, e gli fu giocoforza organizzarsi.
Fu dura. « Mi farò un ben deciso programma — disse a se stesso — e non mi lascierò scoraggiare dal fatto che forse non riuscirò a seguirlo fedelmente: cercherò di vincere le due cose che più ritardano e guastano il mio lavoro e cioè la indecisione e la fretta ».
Pensieri santi. Su queste basi commoventemente sante costruì la sua carriera e, quando si accorsero di lui, divenne anche Funzionario.
 

 

Virginio Inzaghi

 

 

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piazzascala.it - luglio 2016