UBI MAJOR, MINOR CESSAT
ossia può andare al vespasiano!!


Per quanto un Capo servizio amministrativo possa essere scorbutico, parziale, miope nei riguardi del lavoro, dei servizi, delle incombenze, dei meriti, delle ferie, il cambiarlo è sempre una equazione con una incognita che non sempre termina con la soluzione prospettata e soddisfacente. Molto spesso il risultato è una frazione che non raggiunge l’unità: gli manca cioè qualcosa che prima c’era, o meglio, per la regola dei compensi, ha qualcosa di diverso in meno e qualcosa di diverso in più, peggiorativamente, del suo predecessore. Non è la generalità ed è anche logico che ciascuno abbia una sua personalità e voglia imprimere al suo lavoro la sua impronta, ma, vivendo in mezzo ad altra gente sottoposta, il principale suo dovere è capire le persone e prenderle per il loro verso, e per capire le persone ed il loro verso ci vuole tempo o, come dicevano i nostri vecchi, « bisogna mangiarci assieme ».
Come però capitava, di tanto in tanto, per trasferimenti e promozioni, così si seppe un giorno che sarebbe arrivato un nuovo giovane, potente Capo Servizio Amministrativo.
Non si fece attendere e quando arrivò in Filiale era l’uomo più sicuro del mondo: sapeva tirare una linea diritta fra una supposizione ed una conclusione preconcetta, estraniando l’esperienza e le consuetudini locali senza battere ciglio.
Le circolari, le istruzioni, i grafici di lavoro erano più che chiari nella sua mente, fresca di studio, fresca di esame di promozione, gonfia di desiderio di superare il passato nella conquista dell’avvenire.
In effetti era tutt’altro che stupido o presuntuoso, ma aveva l’occhio indirizzato ad una sola direzione, vedeva la luna dalla sola parte illuminata, era un prodotto di serie.
Vi è invece una legge che insegna ad essere umili, non tanto per non essere evangelicamente fatti alzare e spostare in fondo alla tavola, quanto per avere comunque considerazione per gli altri come per se stesso. In particolare è sempre buona cosa non considerare fatto male o nullo il lavoro degli altri ed intuitivo, originale, sconvolgente, il proprio.
Vi è già da parte di tutti un certo grado di scetticismo, di ragionevole dubbio, specialmente se il personale è, come sempre, insufficiente alla bisogna, verso tutto quanto sa di nuovo e di diverso.
Dall’altra parte del tavolo il nuovo Capo sa che per dare la sua impronta vi sono abitudini da cambiare, competenze da eliminare o ridimensionare in colleghi più anziani, irretiti dalla consuetudine, che si sono fermati ai tempi dei loro anni quaranta ed ora soggiacciono alle disposizioni, al pungolo, alle osservazioni del giovane dottore che, tra l’altro, viene da una Regione, pure anch’essa italiana, ma non fraternamente gradita.
Viene poi con una gran voglia di fare che è tutta una stonatura con la stanchezza che il lavoro assiduo, metodico, logorante ha portato nell’animo di ogni bancario che, spesso, di un lavoro che non gli servirà a nulla o ben poco per la carriera, se ne frega assai.
Non per ischerzo si poteva dire che bancario ottimista era quello che si puliva gli occhiali prima di lavorare e bancario pessimista quello che prima di lavorare aveva già lavorato un quarto d’ora.
Il nuovo capo era persona decisa e tenace, due doti che tutti apprezzano perchè la grandissima maggioranza è lieta se altri comandano e prendono decisioni in modo da non avere responsabilità diretta.
Così ogni giorno un servizio era smontato nelle sue componenti e rimontato ex novo: solo che, mentre negli orologi si avanza sempre qualche vite o pezzo tanto da desiderare di stnon tarne tanti per averne forse alla fine uno in più, qui si avanzava
qualche lavoro, del resto non strettamente urgente, che si poteva perciò considerare in seguito nel quadro generale dell’organizzazione funzionale di tutta la Filiale (parole sante!!).
Così ogni giorno ci voleva un po’ più di tempo a fare lo stesso lavoro, almeno fino a quando se ne fosse presa la mano e la cadenza, anche perchè la tattica dell’innovatore consiste nel farvi sembrar complicata una cosa che vi pareva semplice, ed acquistare importanza, farne sfoggio di erudizione ed imporla d’autorità e che gli altri andassero pure... al vespasiano.
Quando qualcuno azzardava un commento, una critica, un suggerimento, si sentiva rispondere da Abramo Lincoln, attraverso la voce del nuovo Capo: « Ha diritto di criticare chi ha voglia d’aiutare!! »
Solo che la critica non veniva nemmeno ascoltata o era corrisposta da un gesto o da una muta espressione di vivo disappunto, anche se veniva proprio da quell’impiegato che quel lavoro lo faceva da anni ed avrebbe potuto suggerire le modifiche effettivamente efficienti che occorrevano.
Capitava invece di essere zittito e quasi incolpato di lesa maestà, di ostruzionismo o di voluto disfattismo.
Vi era dunque fermento, movimento, agitazione, facce più serie, più nervose, più concentrate, talvolta occhi fissi nel vuoto, non si sa bene se nell’ignoto o nel passato.
Talvolta c’era pure ribellione, c’era quel continuare a bella posta col sistema di prima, più di prima, peggio di prima, anche se le circolari che il Capo aveva mostrato parlavano chiaro, perchè erano disposizioni che si adattavano molto bene alle grandi sedi ma che nelle piccole erano semplicemente illogiche ed anche perchè qualcuno non voleva andare al vespasiano.
Talvolta c’era la discussione, la presa di posizione, il broncio che perduravano per giorni diversi, intristendo la vita comunitaria con quei caratteristici borbottìi informi fatti a testa bassa che invogliavano, ad un certo momento, a dire sottomessi un « piantala che tanto non risolvi niente! ! »
Si finiva poi per lavorare freneticamente per annegare la rabbia ed il dispiacere: perchè è propria questa sorda indifferenza a problemi ed a opinioni personali da far tanta rabbia da far lavorare il doppio!!
Il tempo galantuomo metteva a posto tutto, ci si cominciava a conoscere e talvolta anche ad apprezzare e si formavano inevitabilmente le due correnti, quella dei novizi che tutto trovavano consono alle necessità dell’ora e quella dei conservatori che stimavano buone e razionali solo le impostazioni passate di lavoro, magnificando quel buon tempo antico che doveva la sua bontà in gran parte alla loro cattiva memoria.
Così se qualcuno fosse passato quel giorno per caso vicino ad Amilcare ed Andrea mentre stavano uscendo di Banca a fine giornata, avrebbe udito press’a poco questi commenti:
« Il nuovo Capo mi piace, nessuno prima di lui aveva organizzato i servizi in questo modo! ! » ed era naturalmente il giovane a dirlo, cui poteva rispondere il più anziano: « Lo penso anch’io, benché ci siano andati molto vicino quand’ero a militare... »
 

GERARCHIA
La Francia ha sempre avuto dei grandi scrittori. Sono latini anche essi, molto vicini a noi come spirito ed anche come umorismo. Anche come definizioni. Leggete questa per convincervi.
— Chi sa, lavora.
— Chi non sa lavorare, coordina.
— Chi non sa coordinare, dirige.
— Chi non sa dirigere, presiede!!


Virginio Inzaghi

 

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piazzascala.it - agosto 2016