IL PENSIONATO
« Può vedere se c’è la mia pensione? »
La richiesta era stata fatta con voce sommessa, delicata,
urbana, educata.
« Le pensioni si pagano soltanto dal giorno tredici di ogni
mese! »
« Ma io sono un pensionato dell’Istituto! »
« Ed allora dovrebbe sapere che le pensioni dell’Istituto sono
in pagamento dal 5 in avanti e non dal 2 del mese!! »
« Lo so, ma oggi è Venerdì, cioè il giorno prima e di solito
sono già disponibili. Dovrei assentarmi qualche giorno e mi
farebbe piacere averli. Non può vedere, per cortesia, se è
possibile farmeli dare? »
Erano in due stati d’animo diverso. Il giovane riscontrista lo
aveva squadrato con occhio indagatore ed ora lo odiava con tutto
il subcosciente perchè quel pensionato dall’abito dimesso,
dall’aria implorante, era lo specchio di come lui sarebbe
diventato allo scadere dei sessant’anni fatidici: un relitto!!
Quell’altro, che sapeva che la cosa era possibile perchè a suo
tempo ne aveva fatte pagare parecchie e che vedeva tristemente
come la nuova generazione sdegnasse chi, col proprio sudore,
aveva mantenuto l’Istituto efficiente e prospero, era rimasto
veramente male alle risposte scontrose.
Il giovane invece di interessarsene stava ai fatti contingenti e
pensava che sti pensionati era gente che aveva studiato, che
sapeva che se non c’erano i mandati di pagamento non si poteva
dar niente e che invece venivano lì a vedere, a disturbare, a
discutere, era gente da Mathausen. Roba da dirgli, come nel
classico discorso elettorale tenuto alla buona gente di campagna
dall’intraprendente propagandista che voleva usare un linguaggio
a loro comprensibile e famigliare... gnorante, bifolco e
cavalante, nato per fare la barba ai fossi, testa cotta al
sole... e quel che segue.
Forse non era solo questa la ragione per cui il pensionato
veniva in Banca: era per respirare quell’aria di lavoro
concitato, quell’andare rapido, quello scrivere chino, che
faceva dimenticare perfino la gente allo sportello.
Era quel portare avanti un lavoro che doveva essere
necessariamente finito in giornata, ambito traguardo d’arrivo,
per poi deporre la biro nel cassetto, chiudendolo a chiave per
prudenza, e sospirare soddisfatti di essere riusciti a compiere
tutto il lavoro.
Era nostalgia, sentimento inconcepibile dalla gioventù, alito di
grandezza passata, nella senilità.
Il pensionato comunque sapeva che i mandati erano in segreteria
e bastava un colpo di telefono interno per averli senza che
nulla accadesse per quei pochi giorni d’anticipo, ma con alto
segno di distinzione e stima come ai suoi tempi egli aveva fatto
per i pensionati di un certo riguardo.
Lo sguardo che corrispose alla sua ‘pretesa’ fu di ghiaccio, la
risposta una disprezzata smorfia e l’impiegato addetto,
afferrata una scartoffia, per evitare uno scatto irrequieto o
una risposta non certamente educata, era scomparso nel dedalo
delle pratiche... dietro una robusta colonna a commentare con
l’aiuto portafoglista l’incontro di pugilato trasmesso la sera
prima dalla Rai-TV nel secondo canale.
Era la legge inesorabile della convenienza che faceva
accantonare l’inservibile pensionato nel ruolo del comune
cittadino che doveva dipendere e non più servire, e che perciò
doveva soggiacere alla voluttà di chi ancora non aveva per
l’Istituto quell’attaccamento che esauriva lo scopo di tutta una
esistenza.
Il pensionato soffriva intimamente.
Anche il cassiere, che poi non era più tanto giovane, gli aveva
diminuito il riguardo: solo pochi anni prima gli dava dei
soldi assolutamente nuovi, bellissimi, inusati, ora invece
faceva una rapida cernita fra i biglietti accumulati nel
cassetto che però risultavano di qualità assai inferiore, pieni
di pieghe, coi numeri scritti sulla parte bianca della
filigrana.
Quando altri pensionati prima di lui gli avevano detto che era
entrato nella categoria dei diseredati e dei sopportati non ci
aveva creduto: ora invece toccava con mano, ma forse molto
dipendeva dal fatto che questi giovani non sapevano chi era
stato lui.
Oppure sapevano fin troppo che era stato un esigente pignolo non
mai soddisfatto di nulla, che guardava con occhio arrabbiato chi
non regalava tempo ed energie per quell’opinabile ‘futuro
bancario’... Ora lui s’accorgeva del fatto che, al di fuori
dell’Istituto, non aveva avuto più una vita propria, una
entrance con la società, col mondo, con la comunità.
Ora che queste mura, per lui sacre, non lo ospitavano più
l’aridità di una vita buttata al solo scopo di una effimera
carriera gli dava la percezione di un grado di singolare
egoismo, scopriva una verità sempre intimamente contestata e
rifiutata, che ora lo toglieva fuori dal pulsare di una vita
ancora attiva, di una meta assai più lontana degli anni
sessanta, assai più alta perchè ai confini dell’anima, del
cuore, dell’amore del prossimo, di una trascurata famiglia...
Si sentiva vuoto.
Che giova all’uomo conquistare tutto il mondo se poi...
Avrebbe fatto volentieri un qualsiasi lavoro collaterale, di
informazioni, di visure, qualunque cosa pur di sfuggire questo
senso di colpa, pur di riempire, entro o presso quelle mura, le
sue ore di solitudine.
Ed era ancora, anche questo, egoismo...
Quand’era in ansia, quando le cose non andavano per il verso
giusto, quando si riceveva un cicchetto aveva sognato la
pensione, come simbolo di svincolo e di libertà. Perchè ora
questa libertà gli si levava contro?
Fatti non foste a viver come bruti... già quel Dante... oppure
quel Chesterton: della vita conta lasciare qualcosa che duri più
della vita stessa...
Ora capiva che quando aveva lasciato l’Istituto aveva fatto la
gioia soltanto di chi prendeva il suo posto, che la sua
matricola, una volta cancellata dall’attivo, era passata al
conto del Fondo Pensioni, uno tra tanti, anonimo; incasellato.
Ora capiva, o lui meschino, che fino all’ultimo momento
l’avevano preso per il sedere, proprio fino a quando,
salutandolo nell’ultima malinconica sera di lavoro, il Capo
aveva esclamato:
« Beato lei ragioniere, che va in pensione! Purtroppo non so
come faremo lunedì a fare senza di lei, ma ci proveremo... »
* * *
*
Allo sportello dell’Ufficio Estero una giovane francesina si
intratteneva con l’impiegato spiegando che era alla sua prima
venuta in Italia e desiderava conoscere un po’ le abitudini.
« A me piacciono le lumache » disse ad un certo punto la ragazza
«Ve ne sono anche qui? »
« Oh si — disse l’impiegato guardandosi in giro — sono
travestite da commessi! »
Virginio Inzaghi
I bancari vil razza dannata:
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