RITORNO DALLE FERIE


« Tre settimane di ferie? come sarebbe a dire se hai solo 10 giorni di ferie? »
L’interpellato sorrise al collega del suo ufficio che si apprestava alla partenza.
« Vedi, quando tu vai in ferie, cioè quando torno io fra quindici giorni, ci va anche per la sua ultima settimana il Capo Contabile... ».
L’affermazione e tutto quanto in essa vi era sottinteso, vale a dire che tornando non avrebbe avuto l’assillo del padrone e la scocciatura di dovergli riferire l’andazzo di ogni lavoro in corso, rimase però solo una battuta di spirito.
Quando tornò aitante e giulivo dopo 14 giorni di mare effettivi che dieci giornate lavorative di ferie gli permettevano; la sua gioia di avere un ufficio da amministrare una buona volta secondo il suo talento e la sua iniziativa (e senza la supervisione di un Capo Contabile assai pignolo) svanirono dopo meno di un’ora.
Ogni pratica astrusa, ogni lavoro che esigeva un approfondimento o diverse concatenazioni di scartoffie, coi visti di merito e di controllo e l’esame dei conti e relativi sviluppi, era stato trattato con la nota formula del sistema « barani » di non fare oggi quello che un altro può fare domani o secondo quell’altro che dice che non vale la pena di correre che tanto il tempo sistema tutto.
Ora, se da una parte si sentiva lusingato di rappresentare il tempo incommensurabile che doveva mettere a posto tutto, dall’altro lo stizzava il fatto che il lavoro, che normalmente da lui era svolto, non era stato nemmeno toccato ma messo in bell’ordine nella sua cartella mentre un’altra ben visibile, su cui era stato scritto « Pratiche da ultimare », vi era stata collegata con l’ausilio di un lungo elastico che, senza sciuparle, le riuniva.
In tal modo gli era difficile contraccambiare la partita e dire:
« Toh, non l’avevo vista!! ».
Il Procuratore era subito corso da lui per ricordargli il favore di perfezionargli con sollecitudine una certa pratica e gli aveva detto sorridendo: « Ora è lei il Capo, faccia vedere quello che sa fare! È il momento della sua affermazione! » Solo che quella frase che lui vicecapo, aveva spesso pronunziato per vedere di stuzzicare un suo avanzamento per capacità, gli si ritorceva oggi contro.
Non che non fosse giusta, ma non ne valeva la pena di sprecarne l’effetto per soli cinque giorni di sprint.
« Quasi tutti gli uomini possono far fronte alle avversità, ma se volete mettere alla prova il carattere di una persona dategli il potere!! » (Abramo Lincoln).
Bellissimo! Lui il potere l’aveva ora si, ma solo per sgobbare il doppio, per un lavoro che nessuno avrebbe poi considerato; mentre la avversità rimaneva ineluttabile, gravosa, stomachevole. In quei cinque giorni egli avrebbe dovuto fare ‘tutto’ e purtroppo passavano tanto in fretta che sarebbe arrivato senza accorgersene il momento in cui il suo capo rientrando, gli avrebbe chiesto del lavoro, avrebbe voluto vedere la situazione ed avrebbe preso buona nota di quanto rimaneva da fare anche se, perdiana, erano ancora sue vecchie pratiche che il solo fatto di avergliele consegnate andando via, non lo esimevano dalla proprietà.
Ma la vita è così: una volta consegnate diventavano proprietà altrui. Allora sarebbe andato da superiore a dire: « Vede, anche se manco per pochi giorni, quando torno c’è sempre un sacco di arretrato!! »
E non poteva forse dirla lui adesso questa frase e mostrare che l’arretrato c’era già e non era per causa sua? Si! poteva, ma perduravano due difficoltà: la prima era che il Capo Contabile era in ferie e recarsi dal Procuratore o in Direzione era fiato sprecato perchè non conoscevano quel tipo di lavoro... ed infine vi era anche il secondo motivo che sembrava di voler screditare gli assenti per farsi bello alle loro spalle o peggio ancora per denigrare e sminuire il lavoro degli altri, e questo non era simpatico.
Morale, abbassò la testa e sgobbò, con la mente lontana alquanto che andava sull’ali dorate, con pensieri che però si scontravano, si dibattevano, gli facevano sbagliare le somme, i moduli, perfino quei nomi che aveva scritto tante volte da averne la nausea, mentre sentiva nel suo cuore velleità di battaglia, una fretta dell’affermazione personale.
Così aveva coltivato la tentazionaccia di realizzare in proprio le idee che talvolta aveva manifestato o suggerito, di cambiare cioè la impostazione di quel lavoro, con giudizio autonomo. Vi si buttò a spada sguainata, come ufficiale del settimo cavalleggeri, scartò le circolari indicatrici ed applicò le sue teorie. Tendenzialmente esse erano giuste, pratiche, logiche ma, nella fretta, nella eccitazione sbagliò forma e conteggio e così segnò se così si può dire, la sua fine, perchè fu considerato solo l'errore e non le cause che l'avevano prodotto, e non il sistema applicato che aveva notevoli pregi e valeva la pena di studiarlo e quand’anche farlo presente all’Ufficio organizzativo centrale. Il fatto poi di aver sbagliato manualmente, banalmente, non doveva essere poi una colpa così grave!!
Tristezza di Chopin!! Una sola volta che aveva voluto fare secondo le sue idee, meglio ancora secondo una logica logica, si era ricevuto una strigliata coi fiocchi. Non solo ma in futuro, ormai lo sapeva, ogni tanto l’avrebbero tirata in ballo per smorzare ogni sua velleità d’indipendenza, per ricordargli che era stato ed avrebbe pericolosamente ancora potuto essere un ‘deviazionista’, insofferente dell’ordine di lavoro stabilito dagli appositi Uffici della D.C. (Leggasi Direzione Centrale e non Democrazia Cristiana, anche se non vi sono da escludere in certi casi degli identichismi).
Per quella volta era stato paternalisticamente graziato, ma non era detto che alla prima ricaduta avesse a scontare anche la pena condonata. Un delinquente in tribunale forse non avrebbe sentito parole così severe!!
Si, è vero: alla stretta luce dei fatti e delle disposizioni aveva avuto torto ma era strano che nessuno si ricordasse di lui per tutte le volte che aveva avuto ragione e nessuno si dimenticasse di lui per una sola volta che aveva avuto torto...
L’unica cosa che poteva dire era che gli sembrava d’essere sulla riva degli schiavoni (e non quella veneta!) ove la riva era il tavolo e loro tutti gli schiavoni cui potevasi dire, se si alzava un attimo la testa: « Tre frustate allo schiavo che non lavora!! »
Naturalmente non era per tutti così: c’era chi non lavorava ma aveva un intuito speciale per accorgersi in tempo del pericolo, aveva il dono di quella vocina intima che gli suggeriva come un sesto senso che qualcuno lo stava osservando...
Al ritorno delle ferie del suo capo, egli lo ragguagliò sulla sua disavventura, ed il Capo gli chiese: « Con tutta sincerità, le piace questo posto? »
« Il posto si — rispose il giovane con una convinzione del tutto nuova — ma è il lavoro che non mi piace!! Che non mi piace
più!! » (corresse).
E non era che volesse significare esattamente quello che aveva detto, ma voleva essere una conferma dei suoi dubbi e delle perplessità che risvegliava in lui lo svolgersi di quel lavoro, monotono perchè non vi entrava l’anima personale, la gioia di una realizzazione propria, il sapore di una conquista, la considerazione di un valore personale.
Fu tutto qui. Due mesi dopo il giovane si era trovato un altro impiego...


Virginio Inzaghi

 

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piazzascala.it - agosto 2016