LE ASSEMBLEE DEI LAVORATORI
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Per quanto ne fossero state fatte parecchie, era pur sempre una
cosa che destava una certa qual curiosità in tutti. La si era
tentata nelle ore lavorative, non tanto per un dispetto o per
una dichiarazione di un diritto acquisito legalmente, ma per non
perdere tempo libero, tempo di vita vissuto senza un obbligo
impegnativo. Lo si capiva quando qualsiasi impiegato usciva di
Banca: varcata quella porta, posto il piede sul marciapiede
pubblico, il busto si ergeva, l’occhio sfavillava, un sospiro
soddisfatto o quasi usciva spontaneo dalla bocca, respirante a
pieni polmoni l’aura della libertà.
Si vide anche che i buggerati, quando l’assemblea era nelle ore
d’ufficio, erano sempre gli impiegati stessi che dovevano fare
poi il volatone per recuperare il tempo occupato o perduto nelle
assemblee, perchè il lavoro doveva essere comunque terminato ed
i conti dovevano necessariamente quadrare.
A parte il fatto che, quando uno era preoccupato per il lavoro
in sospeso che lo attendeva, porgeva poco orecchio alle
disquisizioni sindacali.
Il bello però era osservare le espressioni dei protagonisti:
seria, composta, convinta la faccia del rappresentante
sindacale, mente delle agitazioni, ponzatore delle situazioni,
portavoce ufficiale del Sindacato Centrale, alquanto tollerato
diremmo quasi compatito dalle superiori autorità locali.
Gli estremisti inarcavano la loro grinta più dura, significando
la volontà di difendere e di lottare per il bene dei lavoratori,
non esclusi se stessi posti dinnanzi agli altri, e che, forse,
per una promozione anche modesta, avrebbero cambiato seduta
stante il loro atteggiamento estremista.
I delusi si avviavano con aria rassegnata scuotendo leggermente
il capo e scambiando tra di loro le solite battute d’uso. Essi
esprimevano una innata diffidenza verso i poteri democratici e
verso le effettive capacità interventistiche di queste
espressioni popolari per un cambiamento dei sistemi in uso,
circa le valutazioni personali e le loro conseguenze.
Infine gli stakanovisti, gli arrivati, gli arrivandi e gli
arrivevoli esternavano una smorfia per la seccata
interruzione, con la passiva e tollerata accettazione di un
diritto sociale.
Normalmente l’assemblea si svolgeva in un salone del piano
terreno che, per sconosciute ragioni, era rimasto vuoto forse in
attesa di un ampliamento dei servizi o per la impostazione di
qualche nuovo servizio.
Quando i lavoratori di quel Credito c’erano quasi tutti, si
chiudeva la porta ed il rappresentante sindacale prendeva nota
del numero dei presenti, riferiva le proposte e le situazioni,
sentiva le richieste da farsi in occasione del rinnovo dei
contratti di lavoro cercando, per quanto lui ne aveva capito, di
interpretare le mozioni ed i progetti sia locali che nazionali
sui quali occorreva votare.
In genere vi partecipavano commessi ed impiegati, mentre da
Funzionari in su, essendo in altra categoria, normalmente non
avevano bisogno di assemblee per trovarsi quasi sempre d’accordo
coi datori di lavoro che detestavano solo per abitudine o per
simulazione nei pubblici discorsi coi colleghi inferiori.
Circa i rapporti con questi sconosciuti o quanto meno lontani
padroni, la gran parte dell’anonima impiegati ignorava il nome
del Presidente dell’Istituto e conosceva di nome i grandi capi
solo per il fatto di decifrarne le firme sotto le innumerevoli
circolari che invadevano giornalmente ogni settore lavorativo
dando, sempre per gli altri, direttive di sempre più nuovo,
serrato, studiato, calcolato lavoro produttivo.
Erano talmente tante queste direttive e questi sproni che un
giovane ragioniere dopo alcune settimane di lavoro e di
consultazioni, era uscito in questa esclamazione: « Ho
conosciuto ben poca gente che avesse la mania e la fregola del
lavoro e la sfortuna ha voluto che fossero proprio i miei datori
di lavoro... »
In genere, quando c’era l’assemblea, un Funzionario
particolarmente curioso, passava e ripassava davanti alla porta
chiusa del locale, cercando, senza dare nell’occhio e fermandosi
magari ad allacciare le scarpe che proprio in quel sito
sentivano il bisogno di slacciarsi, di carpire il senso delle
proposte locali. Era interessante vedere fino a quanto esse
fossero discoste da quelle programmate dalla Direzione Centrale
e quindi propugnate anche da quella locale.
In assemblea era difficile giungere a delle conclusioni; se
nelle grandi sedi il numero impediva il colloquio, nelle
piccole, egualmente, il numero facilitava il colloquio che
deragliava inevitabilmente in proposte e considerazioni
estranee al tema in argomento per cui riportarlo in binario era
sempre una operazione difficile. Molto spesso tutti stanchi,
votavano alla fine la mozione iniziale presentata e contenti se
ne tornavano all’usato lavoro o infilavano di corsa la porta
d’uscita.
Capitava che a metà assemblea o verso la fine qualcuno,
costretto da necessità vescicali, abbandonasse il plenum per
risolvere il suo problema contingente ed insostituibile.
Era questa in genere l’occasionetta che il funzionarietto
attendeva per avere notizie di prima mano da riferire al
Direttore.
« Concluse grandi cose, ragioniere? »
« Penso di si, dottore! »
« E quali, se non sono indiscreto?... » Indiscreto lo sei
sempre stato ma non te lo posso dire. « Bah, è stata votata una
mozione per proporre la trasformazione della settimana corta in
una giornata lavorativa e cinque di riposo! »
Il dottore lo guardò interrogativamente propenso a credere che
non fosse esattamente così, ma anche colpito dall’aspetto serio
e compassato del ragioniere. In fondo, pensava, non c’era da
meravigliarsi se, con l’andazzo che c’era, si fosse giunti ad
una tale utopistica proposta, e così, o forse per stare al
gioco, riprese l’argomento chiedendo: « E nelle votazioni c’è
stata l’unanimità? » e sorrise, sicuro d’aver demolito
l’atteggiamento del ragioniere.
« NO! » rispose il ragioniere, mentre il sorriso spariva dal
viso del dottore che, preso in contropiede sgranava tanto
d’occhi e sopratutto di orecchi. « No, la mozione è stata
respinta dalla maggioranza perchè non veniva specificata la
quantità dei giorni di ferie spettanti a ciascuno secondo
anzianità... »
È istruttivo assistere a queste assemblee: siano pochi o molti i
presenti uno comprende cosa sia il Parlamento e che cosa possa
diventare il varo di una legge.
Uno dei fatti singolari è la intima convinzione di ciascuno che
quanto si decide in assemblea, composta magari da 25 o 30
lavoratori, sia legge universale. Invece è solo una goccia del
pensiero generale il quale nasce, è vero, dalla sommatoria di
tutti, ma che ha un valore relativo naturalmente al numero che
lo esprime.
Tolti però i soliti parlatori, non mai d’accordo, il mutismo era
largamente rappresentato e chi parlava, parlava per sè,
mettendo gli altri in stato di allarme per una eventuale
dimenticanza dei loro interessi che però non si alzavano a
difendere.
Per il resto era un bisbiglìo confuso e quando vi era contestazione o diatriba fra impiegato e sindacalista, molti ne
approfittavano per scambiare col compagno la mordace critica o
l’espressione di un parere che poi, all’occasione, avrebbe
anche non votato se presumeva che non fosse universalmente
condiviso.
Era comunque bello vedere la democrazia in atto ed assistere
alle votazioni segrete per l’elezione del rappresentante
sindacale, le quali non erano precedute da nessuna campagna
pubblicitaria o
propagandistica perchè ciascuno cercava di evitare di assumere
un impegno non retribuito e piuttosto inviso alle superiori
autorità.
Era comunque bello vedere le facce giulive di chi usciva dal
salone, ov’era stato con la paura che, per certe decisioni,
fosse richiesto un parere espressamente personale e non la quasi
anonima alzata di mano d’approvazione.
Era bello vedere allontanarsi la plebe, a testa alta, mentre il
rappresentante sindacale raccoglieva le sue scartoffie, di tanto
in tanto fiero d’una maggioranza riscossa, in altre occasioni
contristato dalla inesperienza o dalla grettezza dei colleghi,
dalla noncuranza o dalla stolida incomprensione dei valori
morali, civici e materiali delle assemblee dei lavoratori.
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NUOVI ARRIVI
Quando gli comunicarono che il nipote prediletto di uno dei
Sindaci del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto sarebbe
venuto, non capì bene se in istruzione o in missione, il
Direttore della Filiale si premurò di informare il Capo
Contabile.
« Fra pochi giorni avrà come allievo il figlio di X, nipote di
Y...
Si ricordi che da noi non gode di alcun privilegio e tanto meno
d’autorità, perciò lei lo tratti nè più nè meno di come
tratterebbe chiunque; fra un anno o due potrebbe essere il suo
nuovo Direttore... »
Virginio Inzaghi
I bancari vil razza dannata:
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