Dal tumore sempre più persone guariscono, sempre più persone si
ammalano e tante continuano a morire. Ha detto Woody Allen: "Le parole
più belle che uno possa desiderare di sentire non sono più 'Ti amo', ma
'Non si preoccupi, è benigno!'. Letta la cronaca a chiare lettere del
giornalista Patrizio Cairoli, nonchè figlio di un signore ammalato di
cancro, morto in un assai poco dignitoso pronto soccorso del San Camillo
a Roma, ho ripensato ai miei genitori morti dello stesso male e lo
racconto brevemente, senza nessun rancore o verità scientifica, come
testimonianza. Mio padre si ammalò a 55 anni, appena andato in pensione
con 35 anni di lavoro, accadeva nel 1976. Aveva un tumore al fegato con
metastasi già al retto, non sapremo mai se finse di non avere capito ma
decisi io, come figlia più grande di non farlo operare, perchè all'
epoca non si faceva il trapianto ed era inutile e devastante qualunque
operazione. Rimase a casa, lunghe mattine in cui mia madre andava al
lavoro a scuola e le mie sorelle si dividevano tra università e
lavoretti, io ero già sposata, dovevamo dimostrargli che malgrado tanta
cura e affetto non c' era nessuna emergenza: aveva contratto solo un'
epatite virale... Fece presso una clinica privata due tappe di terapia
antidolore, nella seconda ebbe anche un' emorragia. Non avevamo mai
usato prima la struttura privata. In quella pulita e costosa clinica di
Via Tagliamento a Roma, "le suorine" dispensavano sorrisi, i due medici
erano professori del vicino Policlinico. Quando mio padre divenne grave,
molto grave, la clinica ci disse che non aveva posti in quel momento
(per farlo morire). Uscii di corsa dalla banca dove lavoravo, raggiunsi
casa dei miei e lo portammo al vicino Policlinico Gemelli . Era stato
uno sportivo da giovane e meno giovane, era giunto a pesare forse 40
chili. Dopo circa un' ora (e l' ennesima ultima emorragia a casa) gli
infermieri si guardarono in faccia e lo portarono in una piccola stanza.
Mio padre fece a tempo a dirmi nell' ascensore che avremmo dovuto andare
subito in ospedale... entrò in coma e morì, dignitosamente, in quella
piccola anticamera dove abbiamo potuto carezzarlo, parlargli e chissà se
ci sentisse. Pregai in tutti i modi che non gli fosse fatta l' autopsia,
mi dissero che non c'era alcun problema e la fecero lo stesso, la
mattina in cui fu riportato a noi per l' ultimo saluto. La storia di mia
madre è invece quella di una donna sana, piena di amore per la vita che
una mattina scoprì di avere, facendo la doccia, una nocciolina al seno.
Con i punti appena tolti, traslocò a Capranica, dove ancora risiedo:
aveva deciso di comprare una casa grande e bellissima in questo paese
vicino Roma, ormai da sola perchè il suo amore era volato via nel 1977.
Le avevamo in tutti i modi detto di non farla quell' operazione, ma non
gli amici medici di oncologia pediatrica dove aveva per tanti anni fatto
volontariato. Fu eseguita solo la quadrantectomia, specificarono che il
tumore era vecchio e secco...Fresca e purulenta diventò subito la ferita
all' ascella e fu operata al Policlinico dopo 3 mesi per la seconda
volta dal primario, come la prima , che si rifiutò sempre, sgaiattolando
come un ladro, di darci qualsivoglia informazione. Aveva un seno in
meno, iniziò la chemio portata avanti in maniera ineccepibile all'
Ospedale Pertini sempre a Roma. Nessuno si immaginava che quella signora
elegante e serena, che passeggiava la mattina fino al bar del paese con
il suo giornale in mano o un libro, avesse un tumore che entrò presto in
metastasi e non le fece fare neanche un secondo Natale con noi. Lei
questa volta sapeva benissimo cosa aveva e capì che le rimaneva poco
tempo. Nell' ultimo mese (non sapevamo quanti ne potevano rimanere) fu
seguita dai medici e infermiere della Casa di Cura Villa Rosa di
Viterbo, per malati terminali, a casa. Gli ultimi giorni fu mia sorella
a farle iniezioni sempre più frequenti e forti di morfina, ma non c' era
altro che prolungasse la sua vita. Ho visto poi tante altre persone,
anche sole o con pochi mezzi, che hanno avuto l' assistenza encomiabile
di cliniche per malati terminali, strutture pubbliche in cui erano
ricoverati, che noi così disabituati a qualcosa che funzioni bene, mi
hanno lasciata a bocca aperta. Credo che bisognerebbe maggiormente
sapere cosa fare quando ci capita una sciagura come quelle morti
annunciate ai nostri cari, a noi stessi, come ricorrere alle cure
palliative: "'L' Hospice è una struttura sanitaria residenziale dove il
paziente in fase terminale, riesce a vivere con dignità gli ultimi
giorni della sua esistenza. L'assistenza in Hospice, integrata
all'assistenza domiciliare, è gestita da una Unità Operativa in Cure
Palliative ed è completamente gratuita".
Mi dispiace scrivere queste cose che non sono affatto semplici ma l'
approccio con il fine vita non può essere un incubo ma un passaggio, e
sta anche a noi, renderlo possibilmente sereno,umano, dare sollievo e
conforto.
Doriana Goracci
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