Avevo
19 anni Era un pomeriggio del 1969 e non c'era internet e il telefonino.
Tornavo con i miei in auto da una giornata fuori Roma, chiesi loro di
lasciarmi a Largo Millesimo che mi facevo 2 passi (e telefonavo al
fidanzatino da un apparecchio al muro del bar). Sarò stata dieci minuti
e mi sentivo "guardata" pesantemente. Decisi di prendere una strada meno
frequentata dai ragazzi, prima di arrivare alla mia che sarà stata
neanche a 500 metri, in via Cairo Montenotte. Feci la strada delle
scuole, dove non c'era nessuno e capii dopo poco di essere seguita, non
mi sono voltata, ho affrettato il passo... lo affrettò pure lui, cambiai
marciapiede, lo cambiò pure lui, decisi di correre, in mezzo alla
strada, che almeno una macchina si sarebbe fermata nella strada deserta,
correva anche lui dietro di me, arrivai col fiato in gola al portone e
citofonai, civico 27: ce l'avevo fatta. Aspettavo l'ascensore e sentii
aprire il portone, non si era richiuso automaticamente. Come al solito
non avevo addosso gli occhiali da miope che mi servivano ma era lui:
avanzò, con un impermeabile nocciola, un ragazzo giovane, con il fiatone
come me. Mi spinse sotto la rampa delle scale ansimava si era aperto i
pantaloni mi cominciò a toccare tutta e mi alzò la maglia acchiappandomi
il seno senza dire nulla. Non mi uscì un fiato un movimento una parola
un singhiozzo un urlo soffocato, niente, ero come una pupazza mi salvò
dallo stupro un signore del primo piano che scese le scale a piedi, capì
e lo rincorse: mi era andata bene. Non riuscì ad acciuffarlo, quando
salii a casa piansi e mi veniva da vomitare per la stanchezza e da
allora non sopporto correre che qualcuno mi stia dietro che qualcuno mi
dica di tacere, di stare zitta. Ero come morta ma io sono viva e non
scordo. Altro che consenziente.
Doriana Goracci - 10 settembre 2017
la presente lettera è stata pubblicata su
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