CELLATICA NELL'OTTOCENTO IN MAPPE E TESTIMONIANZE
Durante
la dominazione napoleonica, tra Settecento e Ottocento,
l’imposizione fiscale aumentò enormemente rispetto a quella
veneta, anche a causa delle continue guerre. Venne avviato un
catasto corredato per la prima volta di mappe che, oltre ad
alcuni storici dell’Ottocento, hanno descritto molto bene il
territorio, tanto da offrire un’immagine ideale di Cellatica e
permettere oggi di riandare oon l'immaginazione indietro nel
tempo e ‘vedere’ I'aspetto geografico del territorio a
quell’epoca.
Del confronto tra mappe antiche, la napoleonica de! 1810, le
austriache del 1844-1852 e quelle
tra fine Ottocento e Novecento, sia catastali che redatte
dall’Istituto Geografico Militare e dalla Provincia di Brescia,
si desume un assetto del territorio mantenutosi nel tempo almeno
fino agli anni Sessanta del Novecento, quando lo sviluppo
dell’industria, quindi dell’edilizia e del traffico, modificò
notevolmente la geografia di città e paesi.
Gabriele Rosa già nel 1852 aveva sottolineato nel suo
‘Franciacorta. Notizie’ che Cellatica possedeva le più belle e
grandi cantine di Lombardia e Cesare Cantò la descriveva nella
sua ‘Illustrazione del Lombardo-Veneto’, pubblicata a Milano nel
1857, con ‘tutto il suolo unicamente a frutteti e a viti’.
Per un confronto tra il territorio di ieri e quello attuale è
stato utile consultare il Catasto del 1641 dove risulta che la
superficie agricola a Cel- latica era di circa 500 ettari su un
territorio di 642 ettari, quindi il 78% circa del territorio,
escluso il terreno improduttivo. La mappa napoleonica del 1810
dell’abitato di Cellatica rispecchia la stessa situazione
risalente ad almeno tre secoli precedenti, anche dal punto di
vista viabilistico, con poche novità di cui si parla
diffusamente in seguito. Confrontando questa mappa con quella
del 1970 non si evincono ulteriori significativi cambiamenti,
come ricordato dai Cellatichesi più anziani.
Oggi invece la superficie agricola, intendendo non edificata,
secondo i dati del Piano di governo del territorio, risulta
essere di circa 210 ettari, il 32% circa del totale (seminativi
20%, vigneti 41% con un forte incremento dal 2000, ulivi e
alberi da frutto 1%, prati permanenti e pascoli 29%, boschi e
altre superfici 9%).
Questi numeri rivelano che Cellatica ha avuto un incisivo
cambiamento nell’uso del suolo, anche se bisogna precisare che
le modificazioni sono avvenute soprattutto in periferia perché
il centro storico, contornato da un ridente semicerchio
collinare, è ancora abbastanza simile a com’era secoli fa.
Non ci sono state significative modifiche dalla fine del
medioevo al periodo napoleonico. L’impianto dell’abitato resta
sostanzialmente lo stesso malgrado l’aumento della popolazione.
La struttura delle case a corte, i cosiddetti lòc, subisce
adattamenti ed addizioni, ma in fondo non cambia e così quella
della famiglia, ancora patriarcale, almeno fino agli anni
Sessanta.
Lòc, che in dialetto significa luogo, era proprio il luogo per
eccellenza, non solo una semplice casa ma un complesso di
elementi architettonici e di spazi dove la vita di ognuno, dalla
nascita alla morte, si esprimeva nella quotidiana ricerca di
soddisfare, per sé e per la propria famiglia, i bisogni primari
della vita. Tutto si dipanava sul filo costante dell’aiuto
reciproco, con una risposta, quasi corale, di sostegno a coloro
che si trovavano in difficoltà.
Le case più antiche sono proprio quelle costruite ai piedi della
collina dove si arriva attraverso una stretta e tortuosa strada,
lungo la quale sono affiancati, l’uno vicino all’altro, i lòc,
quasi ad accogliere i loro abitanti in un abbraccio protettivo,
garantito dall’accesso disagevole alla contrada, quando ancora
non poteva dar fastidio, come accade oggi, la difficoltà a
muoversi agevolmente in automobile.
La vita si svolgeva soprattutto aH’interno del loc, un mondo
chiuso ma vitale, ricco di relazioni e scambi, che ancorava
saldamente ognuno al proprio luogo come se fosse il centro del
mondo. Da lì emergeva chiara l’identità sociale e culturale
favorita anche dalla lontananza, seppur minima, della strada
provinciale che viene da Brescia e prosegue verso Gussago,
lambendo solo marginalmente il paese. L’appartenenza ad una
comunità più grande, istituzionalizzata, si manifestava nel
partecipare ai riti collettivi in chiesa o alle riunioni della
Vicinìa, di cui si è già ampiamente trattato, oppure si
evidenziava quando i Cellatichesi si sentivano vittime di
ingiustizie da parte del paese vicino, vivendo in modo
campanilistico rancori antichi che spaziavano da motivi futili
alla contesa per le ragazze, dai litigi tra confinanti
all’antica questione del primato sulla gestione del Santuario
della Stella, sempre rivendicato da ciascuno dei comuni
copatroni del Santuario: Cellatica, Gussago e Concesio.
In paese, fino agli anni Sessanta, esistevano solo due strade
asfaltate, quella del Tram, ora viale Risorgimento, e via
Marconi che conduceva alla chiesa. Le altre erano senza
marciapiede, ricoperte di ciottoli, che i ragazzi, prima di
Pasqua, percorrevano di corsa con allegri schiamazzi,
trascinandosi dietro le catene reggi-paiolo dei camini per
pulirle dalle incrostazioni dell’inverno, oppure reggendo e
sbattendo la trébacola (assicella di legno sulla quale
sbattevano due catenacci di ferro a forma di U) il cui suono
sordo e monotono avvisava i fedeli delle funzioni in chiesa, il
venerdì e il sabato santo, quando le campane erano legate e si
sarebbero liberate solo per annunciare la Resurrezione, il
giorno di Pasqua.
Cellatica rimase relativamente lontana da contatti con l’esterno
almeno fino al gennaio 1907 quando entrò in funzione il tram
elettrico che, tuttavia, non migliorò i rapporti con Gussago, da
sempre improntati ad un acceso campanilismo, spentosi un po’
negli ultimi decenni.
Il collegamento con Brescia e Gussago, che funzionò fino agli
anni Cinquanta, fu accolto con gioia dai più giovani ma con
preoccupazione dagli anziani che vi vedevano un’occasione di
pericolosi contatti con i forestieri, esternando la propria
contrarietà nel detto: “Quand ria la caròsa sènsa caài tòt el
mond l’è nei guai” (Quando arriva la carrozza senza cavalli,
tutto il mondo è nei guai).
Le fomme del lat, che con il gambù (palo d: legno,
issato sulle spalle, alle cui estremità venivano appesi due
secchi) portavano il latte in città per venderlo, si accorsero
ben presto della comodità del viaggio, prima compiuto a piedi,
sovente cor gli zoccoli in mano per non consumarli.
Il tram trainava un carretto dove si potevano depositare i
bagagli più ingombranti, e ciò valeva sicuramente il prezzo del
biglietto. Un viaggia in tram a Brescia, 25 minuti per arrivare
a Porta Trento, rappresentava per tanti bambini, e non solo,
un’avventura, quindi il servizio fu ben presto apprezzato anche
per quell’affaccio sul monde esterno consentito a chi per secoli
si era mosso dai paese solo a piedi o con il carretto in
rarissime e straordinarie occasioni. Il tram percorreva tra i
vigneti il viale, ora Risorgimento e, sempre immer^ nel verde,
giungeva al ponte Mella da dove entrava in città. Nove corse
giornaliere per Gussago e altrettante per Brescia, dalle sette
del mattino alle sette e trenta di sera.
Le discussioni con i Gussaghesi, con i quali i rapporti non
furono mai idilliaci, come spesso accade tra confinanti, erano
comunque all’ordine del giorno per i posti a sedere che erano
sempre occupati quando il tram arrivava a Cellatica dopo aver
accolto quei primi passeggeri.
Fu motivo di contrasto che si aggiunse a quello secolare e molto
sentito per il Santuario della donna della Stella, sorto nel
1537 ad opera dei comuni Cellatica, Gussago e San Vigilio di
Concesio che rivendicarono sempre per il proprio paese una
supremazia sulla sua gestione.
La passione per quel luogo mariano portò isso a litigi,
sollecitati da provocazioni come la ta litania, cantata in
faccia ai vicini con gesti plateali della mano verso il petto ad
indicare il possesso esclusivo di quel santuario, tanto conteso
perché molto amato.
Sovente capitava di sentire, a mo’ di litania:
“Salàdega, Gusag, San Verzéle, la Madona dèla Stèla l’è sò de
noooter, se 7 vènt la gna la porta via, poarì... noooter” (Cellatica,
Gussago, San Vigilio, la Madonna della Stella è sua di noi, se
il vento ce la porta via, poveri... noi). Ciò provocava
naturalmente le ire degli altri che arrivavano anche alle mani
pur di far valere le proprie ragioni.
A onor del vero il primato religioso spetta all’Arciprete di
Cellatica come più volte ricordato in altre pubblicazioni.
Ora la facilità degli spostamenti e la globalizzazione hanno
allentato l’attaccamento al proprio luogo e sfumato il
campanilismo, non più così acceso.
Cellatica con la sua economia rurale è rimasta, almeno fino agli
anni Sessanta, protetta da contagi esterni o, secondo il punto
di vista opposto, priva di stimoli e contatti positivi.
Cesare Bertulli - Fiorenza Marchesani Tonoli
(continua)
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