CELLATICA BORGO ANTICO
Le attività economiche durante il periodo veneto
La viticoltura era l’attività
prevalente di ogni ceto sociale e sui terreni a mezza costa,
meglio esposti al sole, veniva coltivata la vernaccia o vernazza
o invernenga (uva bianca a buccia dura il cui ceppo sembra
derivi dal Falerno) dalla quale si produceva un vino bianco
piuttosto corposo, celebrato nel Cinquecento da Teofilo Folengo,
monaco benedettino di Sant’Eufemia, oltre che da Giovanni da
Lezze, podestà veneto di Brescia, nel suo Ca- tastico del 1610
dove descrisse il territorio bresciano e le sue risorse.
Quel tipo d’uva veniva utilizzata non solo per la produzione di
vino bianco, ma anche per indurre una seconda fermentazione del
rosso (con minore gradazione alcolica), migliorandone le
caratteristiche di grado alcolico e di stabilità, dopo averla
lasciata appassire su apposite tavole, utilizzate poi per la
coltura del baco da seta già allora fiorente, pratica
abbandonata da pochi decenni.
Cellatica si distingueva per la capacità della sua “zerla”
(gerla), recipiente di legno a forma di tronco di cono, di litri
48,8 che si usava come unità di misura, mentre quella dei comuni
del circondario era di litri 49,7.
Non si conosce esattamente il motivo di questa differenza, si
può forse ipotizzare come segno di particolare apprezzamento
riservato al Cellatica dalla Repubblica Veneta.
Con una ducale (provvedimento del
Doge di Venezia a favore o contro qualcosa e qualcuno) il 1°
aprile 1633 il Doge concedeva a Cellatica di esportare il suo
vino in terre straniere, segno di riconoscimento per
l’abbondanza e la qualità del prodotto. Forti di quel
provvedimento il 10 ottobre 1649 alcuni nobili si lamentarono
con il governo veneto per l’introduzione in paese di vini
forestieri che venivano mischiati ai locali, contravvenendo alla
disposizione di qualche anno prima che concedeva solo a
Cellatica la possibilità di esportare uve e vini.
Quell’operazione produceva un vino scadente, spacciato per
cellatichese, che danneggiava l’ottimo prodotto locale.
Produzioni agricole di minore importanza erano destinate
soprattutto all’autoconsumo e all’alimentazione del bestiame
peraltro scarso. La coltura del mais si diffuse dopo i viaggi di
Cristoforo Colombo che lo importò dall’America, mentre quella
dell’ulivo era piuttosto usuale in collina.
Importanti erano anche i castagneti quale fonte di alimentazione
(le castagne erano il cibo dei poveri e non un lusso come oggi)
tanto che le leggi venete ne proibivano l’esportazione.
I Frassine, originari di Cellatica,
avviarono nel Cinquecento la produzione e fornitura di fiaschi
per vino al governo veneto come risulta anche da fonti notarili.
Un’altra attività, di cui si ha traccia nel XVIII secolo
(secondo documenti reperiti nell’archivio della Cancelleria
Prefettizia Superiore del Governo Veneto, Busta 44), è quella
della produzione di terraglie e maioliche in una fornace eretta
da Francesco Guerrini alla Fantasina che utilizzava maestranze
esperte provenienti da Lodi.
La relazione dei Savi alla Mercanzia del territorio bresciano ne
parla in modo molto positivo tanto che in data 9 gennaio 1750
l’azienda ottiene il privilegio di poter esportare la sua
produzione nell’intero Stato della Serenissima Repubblica di
Venezia in esenzione da qualsiasi dazio. La materia prima
(argilla) era estratta da una cava situata nell’attuale zona
industriale in Gussago al confine con Cellatica esistente fino a
tempi recenti. I non più giovani ricorderanno che era divenuta
un grande stagno.
Cesare Bertulli - Fiorenza Marchesani Tonoli
(continua)
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