Roma, 8
marzo 2017
Gent. Prof. Ivan Cavicchi
mi voglio complimentare con Lei per il suo articolo su
sanità pubblica e integrativa comparso su II Fatto
Quotidiano del 5 marzo 2017 "Sanità pubblica addio.
Perché sostituirla se è la migliore (e più conveniente)
per tutti?"
Le vorrei peraltro segnalare in qualità di iscritto al
Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Bancario Intesa
San Paolo (nato nel 2010 chiudendo le Casse Sanitarie
delle singole banche confluite in Intesa Sanpaolo) le
macroscopiche anomalie del più grande Fondo sanitario
integrativo in Italia, sulle quali ho in più occasioni
interessato il Ministro della Salute senza ottenere
risposte.
Considerata la sua competenza in materia Le chiedo,
senza alcuna pretesa e qualora lo ritenga, di esprimere
un parere su quanto le espongo.
IL FSI del gruppo Intesa Sanpaolo è un fondo
autofmanziato che discrimina tra i propri iscritti in
servizio e in pensione (anche se la contribuzione degli
uni e degli altri è sostanzialmente la stessa) erogando
prestazioni diverse e penalizzanti ai quiescenti.
La mia domanda è questa: è mai possibile che una
associazione senza scopi di lucro che dovrebbe operare
per statuto secondo valori mutualistici e di solidarietà
sociale faccia una tale discriminazione e penalizzi
proprio coloro che hanno maggiori necessità di
assistenza sanitaria per ragioni anagrafiche e che nei
decenni hanno contribuito a costituire il patrimonio di
"riserva" che attualmente supera i 110 milioni di euro?
La conseguenza di tale politica è una sensibile
percentuale di abbandono dei pensionati (ca. 35% ogni
anno come da bilanci verificabili sul sito
http://www.fondosanitariointegrativogruppointesasanpaolo.it/index.jsp?show=archivio&folder=archivio).
Quindi la parte più debole è di fatto
posta in condizione di revocare l'iscrizione al FSI
riversandosi completamente sulla sanità pubblica.
Secondo la sua analisi la sanità pubblica resta il
sistema più conveniente ed io sono d'accordo anche se
non tiene conto di due elementi importanti e determinati
che sono i tempi di attesa e la scelta della struttura.
La sanità integrativa risponde in pieno a questi due
fattori per cui in caso di un intervento d'urgenza e
della scelta del medico, all'attualità, la sanità
integrativa è vincente. Sono pienamente d'accordo con la
conclusione del suo articolo, facciamo funzionare meglio
la sanità pubblica.
Altro aspetto critico nel Fondo Sanitario Integrativo al
quale sono associato è l'assenza di trasparenza e di
rappresentanza di una parte degli associati.
Anche su questo aspetto ho interessato come cittadino il
Ministro della Salute preposto alla Vigilanza sul Fondo
Sanitario Integrativo che, ancorché sollecitata, non ha
mai dato una risposta. La prima richiesta al Ministro
della Salute Beatrice Lorenzin risale al 2014 poi
riproposta con pec il 20 luglio 2016 sollecitata
ulteriormente altre due volte sempre in pec e di cui le
allego le ultime due lettere per i dettagli.
Il Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa
Sanpaolo e caratterizzato dalla completa assenza di
trasparenza e di democraticità e pertanto Le chiedo: è
questo il modello della sanità integrativa? Quello di
strutture nelle quali l'associato non può accedere ai
verbali del CdA che sono totalmente secretati, con una
parte rilevante di iscritti che hanno solo una
rappresentanza simbolica negli Organi Sociali,
associazioni dove non è ammessa la partecipazione
dell'associato nemmeno alla annuale Assemblea di
approvazione di Bilancio.
Nel ringraziarla anticipatamente di un riscontro ed,
eventualmente, di un suo interessamento alla
problematica, Le allego le lettere inviate al Ministro
ed altri del 31/10/2016 e del 5/3/2017.
Cordiali saluti
Antonio De Rosa
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da ILFATTOQUOTIDIANO.IT -
BLOG
- di IVAN CAVICCHI
Sanità pubblica addio. Con la legge di stabilità 2016 il
governo Renzi ha definito norme che detassano le spese
dell’azienda che assicura ai suoi dipendenti, previa
contrattazione, l’assistenza mutualistica integrativa.
Il costo per quello che viene definito “welfare
aziendale” sarà quindi a carico dello Stato.
Prima domanda: come mai il governo anziché finanziare la
sanità pubblica ridotta ormai al lumicino finanzia le
mutue di categoria cioè i soggetti più forti della
società? Cioè come mai con i soldi della collettività si
finanziano politiche contro la collettività?
Per rispondere bisogna ricordare che il governo Renzi
sulla sanità sino a ora è stato mosso sostanzialmente da
una idea fissa: ridurre quanto più è possibile la spesa
sanitaria pubblica (una delle più basse d’Europa) in
tutti i modi possibili (de-finanziamento, terzo settore,
contenimento dei consumi ecc) per liberare risorse e
spenderle per altre operazioni (tasse, investimenti,
perequazioni, riduzione del debito pubblico, ecc).
Sostituire l’assistenza pubblica con le mutue o con i
fondi sanitari integrativi è un taglio drastico alla
spesa sanitaria. Questa volta si taglia sul sistema non
sulle prestazioni. Ora possiamo rispondere: a Renzi dei
soggetti deboli (precari, disoccupati, pensionati,
ammalati cronici, etc) non gliene frega niente. Lui è
convinto che la sanità pubblica sia insostenibile, le
mutue gli servono per tenere buoni i soggetti forti
della società e per fare in modo che il sistema
sanitario pubblico copra solo coloro che non possono
curarsi nel privato e coloro che non possono farsi una
mutua, cioè la parte debole della società.
Ma se non ricordo male questo è un film già visto, è
così? Se è così Renzi non fa altro che dare attuazione
al libro bianco di Sacconi (governo Berlusconi 2009) il
cui scopo, sulla base del preconcetto che non si può
dare tutto a tutti, era per l’appunto sostituire la
sanità uguale per tutti con un sistema multi-pilastro
(assicurazioni, mutue e ciò che resta della sanità
pubblica).
Ma fare tante specie di sistemi sanitari non rischia di
creare delle diseguaglianze e di contraddire il valore
egualitario dell’art 32 della costituzione? Non si
tratta di un rischio ma di una certezza. Con il sistema
multi-pilastro chi comanda e decide tutto non è il
diritto ma il reddito, per cui le persone saranno curate
in base al livello di contribuzione stabilito per il
fondo mutualistico dal quale dipenderanno i nomenclatori
di prestazioni.
Ma i neo-mutualisti sostengono che grazie al welfare
aziendale si risolve una volta per tutte la questione
della sostenibilità sanitaria, è vero o non è vero? Una
balla colossale niente di più. Ricordo che il nostro
sistema sanitario nazionale è stato istituito nel ’78
per sopperire al default del sistema mutualistico cioè
come una risposta alla insostenibilità del sistema.
Le mutue sono sistemi intrinsecamente insostenibili che
tendono ad andare in disavanzo perché la loro spesa,
essendo solo curativa, ha una natura incrementale. Per
farla crescere basta una nuova tecnologia, un farmaco di
nuova generazione, un nuovo trattamento, una domanda di
cura più complessa. Il rischio di insostenibilità per le
mutue cresce nel tempo perché nel tempo cresce la
domanda obbligando l’offerta a inseguirla.
Per non andare in disavanzo le mutue o dovrebbero
continuamente incrementare il livello della
contribuzione (ma al cittadino conviene di più un
sistema solidale su base solidaristica), o chiedere ai
governi di turno di aumentare progressivamente la
detassazione dei costi (molto poco realistico), o
congelare i propri nomenclatori o andare in disavanzo e
ogni tanto farsi ripianare i debiti dal governo di
turno, o creare degli sbarramenti all’accesso delle
prestazioni.
Ma allora? Allora la sanità pubblica resta il sistema
più conveniente da ogni punto di vista, costa di meno dà
di più ed è la più giusta. Facciamola funzionare meglio,
cambiamo le sue prassi, i suoi modelli culturali e
organizzativi, ripuliamola dalle diseconomie, cambiamo
la gestione, ripensiamo il modello di finanziamento, ma
per favore lasciamola pubblica, solidale, universale.
Ivan Cavicchi - 5 marzo 2017 |