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  • "le sperequazioni del Fondo Integrativo Intesasanpaolo nei confronti dei pensionati"
  • "solidarietà intergenerazionale: solo a parole ma non con i fatti"
  • "perchè Intesasanpaolo, seduta tra le fonti istitutive, non inteviene per colmare questa lacuna?"

Sempre relativamente alle problematiche del Fondo Sanitario Intesasanpaolo, Antonio De Rosa ha proseguito la sua battaglia le sue "vessazioni" nei confronti dei colleghi pensionati e dei coniugi superstiti (macroscopico il tentativo di calcolare il contributo dovuto all'ente dal superstite non sull'assegno di reversibilità ma sulla pensione percepita dal defunto).
Traendo spunto da un articolo pubblicato da Ivan Cavicchi  sul fattoquotidiano. - blog il 5 marzo (riproduciamo lo scritto in calce alla presente), Antonio ha scritto all'autore del pezzo rappresentandogli la paradossale situazione in cui si trovano i pensionati del Gruppo Intesa di fronte alle angherie delle cosiddette fonti istitutive (Intesasanpaolo e organizzazioni sindacali).
Correttamente il collega parte dal principio che è importante parlarne a più persone, sperando che prima o poi qualcuna di queste si decida a portare sulla stampa nazionale il modo in cui Intesasanpaolo tratta i suoi ex dipendenti, esodati e  pensionati di tutte le ex banche che la compongono (abbiamo constatato più volte che i principali quotidiani nazionali non affrontano l'argomento, a nostro giudizio per ovvi motivi).
Un'amara considerazione: purtroppo il collega sta combattendo la battaglia da solo: FAPCREDITO (rappresentata dall'unico consigliere eletto dal personale in quiescenza grazie anche al supporto del nostro sito) che dovrebbe scendere in campo sembra non battere ciglio (salvo errore da parte nostra: saremmo ben lieti di ospitarne la replica sulle nostre pagine).
Di seguito pubblichiamo la lettera di Antonio a Ivan Cavicchi, Docente di sociologia dell'organizzazione sanitaria e filosofia della medicina - Università Tor Vergata Roma.
piazzascala.it
 

Roma, 8 marzo 2017
Gent. Prof. Ivan Cavicchi
mi voglio complimentare con Lei per il suo articolo su sanità pubblica e integrativa comparso su II Fatto Quotidiano del 5 marzo 2017 "Sanità pubblica addio. Perché sostituirla se è la migliore (e più conveniente) per tutti?"
Le vorrei peraltro segnalare in qualità di iscritto al Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Bancario Intesa San Paolo (nato nel 2010 chiudendo le Casse Sanitarie delle singole banche confluite in Intesa Sanpaolo) le macroscopiche anomalie del più grande Fondo sanitario integrativo in Italia, sulle quali ho in più occasioni interessato il Ministro della Salute senza ottenere risposte.
Considerata la sua competenza in materia Le chiedo, senza alcuna pretesa e qualora lo ritenga, di esprimere un parere su quanto le espongo.
IL FSI del gruppo Intesa Sanpaolo è un fondo autofmanziato che discrimina tra i propri iscritti in servizio e in pensione (anche se la contribuzione degli uni e degli altri è sostanzialmente la stessa) erogando prestazioni diverse e penalizzanti ai quiescenti.
La mia domanda è questa: è mai possibile che una associazione senza scopi di lucro che dovrebbe operare per statuto secondo valori mutualistici e di solidarietà sociale faccia una tale discriminazione e penalizzi proprio coloro che hanno maggiori necessità di assistenza sanitaria per ragioni anagrafiche e che nei decenni hanno contribuito a costituire il patrimonio di "riserva" che attualmente supera i 110 milioni di euro? La conseguenza di tale politica è una sensibile percentuale di abbandono dei pensionati (ca. 35% ogni anno come da bilanci  verificabili sul  sito
http://www.fondosanitariointegrativogruppointesasanpaolo.it/index.jsp?show=archivio&folder=archivio).
Quindi la parte più debole è di fatto posta in condizione di revocare l'iscrizione al FSI riversandosi completamente sulla sanità pubblica.
Secondo la sua analisi la sanità pubblica resta il sistema più conveniente ed io sono d'accordo anche se non tiene conto di due elementi importanti e determinati che sono i tempi di attesa e la scelta della struttura. La sanità integrativa risponde in pieno a questi due fattori per cui in caso di un intervento d'urgenza e della scelta del medico, all'attualità, la sanità integrativa è vincente. Sono pienamente d'accordo con la conclusione del suo articolo, facciamo funzionare meglio la sanità pubblica.
Altro aspetto critico nel Fondo Sanitario Integrativo al quale sono associato è l'assenza di trasparenza e di rappresentanza di una parte degli associati.
Anche su questo aspetto ho interessato come cittadino il Ministro della Salute preposto alla Vigilanza sul Fondo Sanitario Integrativo che, ancorché sollecitata, non ha mai dato una risposta. La prima richiesta al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin risale al 2014 poi riproposta con pec il 20 luglio 2016 sollecitata ulteriormente altre due volte sempre in pec e di cui le allego le ultime due lettere per i dettagli.
Il Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo e caratterizzato dalla completa assenza di trasparenza e di democraticità e pertanto Le chiedo: è questo il modello della sanità integrativa? Quello di strutture nelle quali l'associato non può accedere ai verbali del CdA che sono totalmente secretati, con una parte rilevante di iscritti che hanno solo una rappresentanza simbolica negli Organi Sociali, associazioni dove non è ammessa la partecipazione dell'associato nemmeno alla annuale Assemblea di approvazione di Bilancio.
Nel ringraziarla anticipatamente di un riscontro ed, eventualmente, di un suo interessamento alla problematica, Le allego le lettere inviate al Ministro ed altri del 31/10/2016 e del 5/3/2017.
Cordiali saluti

Antonio De Rosa

 

da ILFATTOQUOTIDIANO.IT - BLOG - di IVAN CAVICCHI

Sanità pubblica addio. Con la legge di stabilità 2016 il governo Renzi ha definito norme che detassano le spese dell’azienda che assicura ai suoi dipendenti, previa contrattazione, l’assistenza mutualistica integrativa. Il costo per quello che viene definito “welfare aziendale” sarà quindi a carico dello Stato.
Prima domanda: come mai il governo anziché finanziare la sanità pubblica ridotta ormai al lumicino finanzia le mutue di categoria cioè i soggetti più forti della società? Cioè come mai con i soldi della collettività si finanziano politiche contro la collettività?
Per rispondere bisogna ricordare che il governo Renzi sulla sanità sino a ora è stato mosso sostanzialmente da una idea fissa: ridurre quanto più è possibile la spesa sanitaria pubblica (una delle più basse d’Europa) in tutti i modi possibili (de-finanziamento, terzo settore, contenimento dei consumi ecc) per liberare risorse e spenderle per altre operazioni (tasse, investimenti, perequazioni, riduzione del debito pubblico, ecc).
Sostituire l’assistenza pubblica con le mutue o con i fondi sanitari integrativi è un taglio drastico alla spesa sanitaria. Questa volta si taglia sul sistema non sulle prestazioni. Ora possiamo rispondere: a Renzi dei soggetti deboli (precari, disoccupati, pensionati, ammalati cronici, etc) non gliene frega niente. Lui è convinto che la sanità pubblica sia insostenibile, le mutue gli servono per tenere buoni i soggetti forti della società e per fare in modo che il sistema sanitario pubblico copra solo coloro che non possono curarsi nel privato e coloro che non possono farsi una mutua, cioè la parte debole della società.
Ma se non ricordo male questo è un film già visto, è così? Se è così Renzi non fa altro che dare attuazione al libro bianco di Sacconi (governo Berlusconi 2009) il cui scopo, sulla base del preconcetto che non si può dare tutto a tutti, era per l’appunto sostituire la sanità uguale per tutti con un sistema multi-pilastro (assicurazioni, mutue e ciò che resta della sanità pubblica).
Ma fare tante specie di sistemi sanitari non rischia di creare delle diseguaglianze e di contraddire il valore egualitario dell’art 32 della costituzione? Non si tratta di un rischio ma di una certezza. Con il sistema multi-pilastro chi comanda e decide tutto non è il diritto ma il reddito, per cui le persone saranno curate in base al livello di contribuzione stabilito per il fondo mutualistico dal quale dipenderanno i nomenclatori di prestazioni.
Ma i neo-mutualisti sostengono che grazie al welfare aziendale si risolve una volta per tutte la questione della sostenibilità sanitaria, è vero o non è vero? Una balla colossale niente di più. Ricordo che il nostro sistema sanitario nazionale è stato istituito nel ’78 per sopperire al default del sistema mutualistico cioè come una risposta alla insostenibilità del sistema.
Le mutue sono sistemi intrinsecamente insostenibili che tendono ad andare in disavanzo perché la loro spesa, essendo solo curativa, ha una natura incrementale. Per farla crescere basta una nuova tecnologia, un farmaco di nuova generazione, un nuovo trattamento, una domanda di cura più complessa. Il rischio di insostenibilità per le mutue cresce nel tempo perché nel tempo cresce la domanda obbligando l’offerta a inseguirla.
Per non andare in disavanzo le mutue o dovrebbero continuamente incrementare il livello della contribuzione (ma al cittadino conviene di più un sistema solidale su base solidaristica), o chiedere ai governi di turno di aumentare progressivamente la detassazione dei costi (molto poco realistico), o congelare i propri nomenclatori o andare in disavanzo e ogni tanto farsi ripianare i debiti dal governo di turno, o creare degli sbarramenti all’accesso delle prestazioni.
Ma allora? Allora la sanità pubblica resta il sistema più conveniente da ogni punto di vista, costa di meno dà di più ed è la più giusta. Facciamola funzionare meglio, cambiamo le sue prassi, i suoi modelli culturali e organizzativi, ripuliamola dalle diseconomie, cambiamo la gestione, ripensiamo il modello di finanziamento, ma per favore lasciamola pubblica, solidale, universale.

Ivan Cavicchi - 5 marzo 2017

 

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