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La copertina

Tiziano Terzani

 

Sonia D'Angelo (Bologna), figlia del collega Maurizio D'Angelo recentemente scomparso, ci ha segnalato alcune pagine del libro di Tiziano Terzani  "La fine è il mio inizio" che parlano di un suo incontro con Raffaele Mattioli.
Certi che costituiranno un ricordo gradito a tutti gli ex Comit, le proponiamo ai nostri lettori.

piazzascala.it

.......TIZIANO: Era nel mese di ottobre o novembre, « Direttore », dissi, « io non ci sto bene in un giornale. Voglio andare a fare il corrispondente in Cina. »
E lui. un po’ scherzando, un po’ sul serio, rispose « Questo giornale non ha bisogno di corrispondenti. L’unico posto libero è a Brescia. Ci starai coi piedi nel fango e la testa legata a una stellina. »
Insomma, voleva dire che non c’era posto per me.
Presi la liquidazione, che siccome avevo lavorato per diciotto mesi consisteva nel mio ultimo stipendio più uno stipendio e mezzo, e con quella e un lenzuolo cucitomi a sacco dalla Mamma, perché potessi dormire dagli amici, feci il giro d’Europa. Andai da tutti i grandi giornali. Andai a Parigi da L’Express e Le Monde, andai a Manchester a incontrare Jonathan Steele del Manchester Guardian. Finalmente, la storia la conosci, vado ad Amburgo da Der Spiegel. Dico che mi stabilirò in Asia e - ta-ta-ta - mi assumono con un contratto da collaboratore « Vai, scrivi, noi ti garantiamo 1500 marchi al mese. »
FOLCO: E questa è la storia che ti mette sulla tua strada.
TIZIANO: L’altra storia è quella del mio rapporto, grazie a Corrado Stajano, con quell’uomo meraviglioso che era Raffaele Mattioli. Te ne ho mai parlato? È una delle più belle storie della mia vita.
Sempre nel panorama di un’Italia profondamente libera, creativa e intelligente - ed è disperante oggi vedere che è scomparsa - c'erano delle istituzioni che sotto il fascismo avevano mantenuto una loro indipendente dignità. Non la FIAT, che per questo noi odiavamo, ma l’Olivetti. Un’altra era la Banca Commerciale Italiana, con sede in piazza della Scala, la più bella piazza di Milano, presieduta da un uomo coltissimo, intelligente, coraggioso, che si chiamava Raffaele Mattioli. Al tempo del fascismo Mattioli aveva dato lavoro, e con ciò rifugio e con ciò protezione, a decine di intellettuali italiani fra cui il vecchio La Malfa, tanti economisti, politologi, giovani e intellettuali. Lui li prendeva in banca, la banca era la banca italiana e lui godeva di grande prestigio.
Ai miei tempi Mattioli, che dirigeva la Banca da forse trent'anni ed era ormai un’istituzione, aveva deciso giustissimamente di portare la Banca in Asia. Si trattava solo, diceva lui, di decidere dove mettere la sede. Allora Corrado, che lo conosceva bene e mi ha molto protetto, gli disse « Ah, ma c’è questo mio amico che torna dagli Stati Uniti dove ha studiato la Cina. Perché non ci parla? »
E qui cominciò una stupenda, segreta, romantica serie di incontri con quel vecchio. Io lasciavo il giornale di solito alle nove di sera, quando la Banca era chiusa, entravo da una porta secondaria — i portieri mi conoscevano - facevo i lunghi corridoi con la moquette rossa ed entravo in una stanza tappezzata di libri dove, sotto una lucina, c’era questo vecchio, ironico, che fin dalla mattina era stato lì, a lavorare.
La prima volta che mi incontrò parlò poco. Mi mise in mano un nezuké giapponese e disse « Questo è cinese, vero? » E io dissi « No, questo è un nezuké giapponese e serve per chiudere la scarsella». Raccontai cos’era un nezuké. Mi aveva messo alla prova! Sai i vecchi, sai i geni, quelli fuori dalle regole, non fanno le solite domande « Lei quando si è laureato...? » Non gliene fotte niente. Ti mette in mano un nezuké e dice « E cinese, vero? » E tu dici, no.
Questo bellissimo rapporto con quel vecchio andò avanti per mesi, per tutto il periodo in cui stavamo a Milano. La mia opinione era che la Banca non poteva aprire una sede in Cina. La Cina Popolare non era ancora riconosciuta e aprire lì voleva dire chiudersi tutta l’area del Sudest asiatico. Aprire a Taiwan ancora peggio, voleva dire chiudersi la possibilità di aprire in Cina dopo. Suggerii di aprire a Singapore. In cuor mio già pensavo: se non si va in Cina, si va nella terza Cina, a Singapore.
E Mattioli decise di aprire a Singapore. Disse « Benissimo, vai e scrivimi una volta al mese una lettera in cui mi dici cosa pensi della situazione politica dei vari paesi del Sudest asiatico, e io al mese ti pago mille dollari ». Una porticina nella libreria si aprì e ne uscì un ometto piccolo così. Si chiamava Attilio Monti, era suo cognato ed era l'amministratore delegato della Banca Commerciale. Mattioli disse
« Guarda, questo è Tiziano Terzani. Parte presto per Singapore. Tu fagli un contratto in modo che lui ogni mese riceva, discretamente, su un conto privilegiato, che gli apriamo, questi soldi ».
Tutto fatto - poff! Avevo in tasca la promessa di Mattioli, Der Spiegel mi garantiva altri soldi, e nel dicembre 1971 lasciai la Mamma a Firenze con voi due piccoli e partii, senza sapere mi aspettava, per Singapore, per l’Asia.......

 

stralcio da "La fine è il mio inizio"  un libro (pubblicato postumo) di Tiziano Terzani, scritto a quattro mani con il figlio Folco

 

 

 

 

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piazzascala.it -  giugno 2016