Gino Luciani ci ha segnalato un interessante e pienamente condivisibile articolo di Marco Onado (Università Bocconi) comparso sul Sole 24Ore di domenica 3 luglio relativo alla validità della "Scuola Comit" (copiata e imitata maldestramente da tutto il sistema bancario nazionale) e dei suoi metodi di preparazione del personale in un'epoca in cui la c.d. "creazione di valore per l'azionista" (parole al vento che riempivano e riempiono ancora la bocca di tanti CEO o presunti tali) non aveva ancora prodotto i guasti e i deterioramenti dell'attivo che tutti noi conosciamo.
Lo trascriviamo integralmente per coloro cui è sfuggito.
piazzascala.it
C’erano una volta banchieri colti e illuminati che hanno dato un contributo essenziale ad uno dei periodi più felici dello sviluppo italiano. Raffaele Mattioli è sicuramente l’esempio più alto, tanto che ha saputo trasformare le relazioni di bilancio della Banca Commerciale Italiana in un’autentica miniera di spunti sulla situazione economica dell'Italia di quegli anni e soprattutto sulla funzione della banca. Andrea Calamanti ha ripercorso il filo di quelle considerazioni e ci consegna con questo libro una serie di spunti fondamentali, che soprattutto dopo la crisi finanziaria, si rivelano di una straordinaria attualità.
Pur nella fase più intensa dello sviluppo economico del secolo scorso, Mattioli vide chiaramente i non pochi elementi di fragilità che si andavano accumulando e li indicò senza mezzi termini. In primo luogo, la riluttanza delle imprese ad aumentare le dotazioni di capitale proprio e quindi il ruolo di supplenza che le banche finivano per esercitare. Questo naturalmente teneva accesa la polemica, soft nei toni ma assai dura nella sostanza, con Enrico Cuccia e il suo modo di intendere la missione di Mediobanca, che di fatto consentì ai grandi imprenditori privati di massimizzare il controllo, pur con capitali esigui. Forse, se anche a livello politico, Mattioli non fosse stato trattato come il Grillo Parlante di Pinocchio, la strada del nostro sviluppo avrebbe potuto essere diversa e i grandi nomi delle imprese protette da Cuccia non rievocherebbero la Spoon River del capitalismo italiano.
Mattioli credeva fortemente all’importanza del credito concesso dalle banche, ma aveva ancora ricordi troppo freschi delle crisi degli anni Venti e Trenta per non ammonire continuamente sui pericoli di eccessi sia per l’equilibrio della banca concedente, sia per i riflessi sul sistema nel suo complesso. Uno dei temi di fondo che percorrono quasi tutte le relazioni di quegli anni è l’attenzione estrema che il nucleo dirigente della banca dedicava alla valutazione del merito di credito. La Comit aveva messo a punto tecniche quantitative raffinate, assolutamente all’avanguardia, e soprattutto dedicava un’estrema attenzione alla formazione del personale. Si può parlare di una «scuola Comit» come uno dei pochi centri di formazione della classe dirigente italiana di quegli anni. Duole che anche quel glorioso nome sia stato travolto nei vortici delle fusioni italiane degli anni Novanta.
Forse l’elemento che più colpisce rileggendo oggi la lunga testimonianza di Mattioli, è l’alto senso morale con cui egli interpretava il ruolo del banchiere e in genere dei grand commis del capitalismo italiano. Era lo spirito dei Beneduce e dei Menichella, anni luce lontana dai giovanotti che si sarebbero fatti abbacinare dalle fate morgane dello shareholder value a tutti i costi, con annessa riduzione ai minimi termini del capitale della banca e contemporanea massimizzazione del business. Idola fori, avrebbe definito Mattioli, citando Bacone, questi falsi miti che hanno trascinato il sistema bancario globale nella crisi più profonda della storia.
Con uomini dello stampo di Raffaele Mattioli (ma anche di tanti suoi colleghi della grande finanza di allora: basti citare Sigmund Warburg) non ci sarebbero state le degenerazioni che hanno costretto l’autorevole “The Economist” a coniare il termine Banksters. Perché avevano capito il ruolo ma anche i limiti della finanza e non cambiavano certo idea per ambizione e tanto meno per inseguire bonus principeschi. Se ci fosse una scuola di rieducazione per banchieri pentiti, questo libro dovrebbe essere l’equivalente dell’abbecedario.

Marco Onado
 

 

 

 

 

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piazzascala.it -  luglio 2016