UN RICORDO (dagli appunti dell’epoca)
Come tutti gli anni, la Banca Commerciale Italiana veniva
invitata a partecipare alla Convention dell’A.B.A., che non è
altro che l’ABI americana (con le debite proporzioni).
Nell’anno 1971 l’incarico di presenziarvi fu affidato al Capo
Contabile dott. Innocenzo Monti, all’epoca Direttore Centrale
(poi Presidente della Comit).
Io lavoravo, da Procuratore addetto alla D.C., alle sue dirette
dipendenze e mi scelse di accompagnarlo.
Ricordo, come fosse ora, il momento in cui Monti mi convocò nel
suo ufficio per darmi la notizia. Fui travolto da un’onda di
commozione, mista a felicità e orgoglio, per un riconoscimento
così ‘alto’, che interpretai quale premio al mio attaccamento
all’Istituto.
Ma c’era dell’altro: il tenero pensiero verso i miei lontani
genitori, mia moglie, mio figlio e i parenti stretti che, una
volta a conoscenza di questa straordinaria notizia, si sarebbero
commossi e inorgogliti anch’essi per la scelta caduta su di me
fra centinaia e centinaia di colleghi altrettanto meritevoli.
Monti avvertì il mio stato d’animo e, con gesto signorile,
com’era nelle sue abitudini, mi tolse d’imbarazzo dandomi
appuntamento, con una calorosa stretta di mano, per la mattina
della partenza.
Alle 9,30 di sabato 1° maggio 1971 mi venne a rilevare un’auto
della Banca e alle 10 fummo davanti alla casa di Monti in via
Brera, dove abitava con la moglie, Lalla Romano. Prese posto in
macchina e partimmo.
Durante il tragitto per Malpensa, egli volle sapere della mia
famiglia e dei miei parenti più stretti e, appena seppe di un
mio fratello, residente a New York, sposato e con quattro figli,
uno dei quali – femmina – era alle dipendenze della Comit a New
York, mi diede subito il permesso di trascorrere le notti in
casa del fratello, con l’intesa che al mattino mi facessi
trovare nella hall del suo albergo.
Da Malpensa, superati i controlli antiarmi, partimmo con un
Boeing 707 Starstream della Trans World Airlines alle 12,15. In
pochi minuti l’aereo si portò sui 10.000 mt. sopra un mare
incandescente di nuvole.
Verso le 13,30 – quando già ci trovavamo sul mare – servirono il
pranzo. Alla fine vi fu una sorpresa. Appena il comandante
dell’aereo seppe di uno sciopero del personale a terra
dell’aeroporto di New York, che avrebbe obbligato a girare a
vuoto col rischio di consumare tutto il carburante, decise di
fare scalo per un rifornimento all’aeroporto di Shannon in
Irlanda.
Con Monti scendemmo dall’aereo per un giro al free-shop, dove
facemmo delle piccole spese e risalimmo. Ripartimmo con un’ora
di ritardo sulla tabella.
Vista dall’alto, l’Irlanda è bellissima. Si alterna al verde
smeraldo delle campagne una vivace nota di giallo (ginestre?)
che invita all’allegria, chissà perché. Dopo poco ci inoltrammo
nell’Atlantico e, all’interno , ci proposero un film. Terminata
la proiezione e rialzate le tendine dei finestrini, ci attendeva
uno spettacolo straordinario. Sul mare azzurrissimo si
dondolavano placidamente gli icebergs. E’ stata una visione
tanto stupefacente quanto inattesa. Il fenomeno dipendeva sia
dalla temperatura alquanto alta che dal forzato spostamento
verso nord della rotta dovuto all’imprevisto scalo. Il quale ci
consentì di sorvolare la punta meridionale della Groenlandia.
Tutte cose che, paradossalmente, senza lo sciopero del personale
all’aeroporto di N.Y., non avremmo potuto osservare. Monti si
rammaricò per l’assenza di una macchina fotografica.
Alle 20 italiane ci venne servita una piccola colazione e di lì
a poco si intravide la costa americana. In pochi minuti ci
trovammo sul J.F.Kennedy Airport dove, dopo l’atterraggio, fummo
costretti a una ‘fila’ d’aerei di ca. 20’, tanti quanti
bastarono per smaltire l’enorme traffico di aerei.
Ad attenderci erano, oltre ai miei parenti, il CSE di N.Y:
Renato Polo con un dipendente. Dopo i convenevoli, Monti mi dà
appuntamento al suo albergo (Barclay) per lunedì mattina e si
allontana con Polo. Io invece con i miei e con tutti i
festeggiamenti che mi avevano riservato.
L’indomani, domenica, è dedicata ad un giro intorno a Manhattan
con un battello della Circle Line. Uno spettacolo che
assicurarono affascinante la Statua della Libertà, la
moltitudine dei magnifici ponti e la maestosità dei grattacieli.
Lunedì mi recai da Monti con la subway. Insieme ci avviammo
verso l’hotel Americana dove era fissata la Convention. Vi erano
ca. 3.000 delegati delle principali banche americane e del
mondo, con musica, bandiere e discorso un po’ teatraleggiante.
Quindi inizio della conferenza vera e propria.
Con mia somma sorpresa constatai che la lingua americana
differisce sensibilmente dall’inglese, da cui deriva, e la
circostanza mi impediva di seguire i discorsi come invece avrei
voluto. Anche Monti trova la stessa difficoltà e mi confessa
candidamente di non capire neppure la metà di quello che dicono
i vari oratori. Poco male. Esiste una press-room alla quale mi
rivolgerò per avere le copie delle relazioni (che vengono tenute
contemporaneamente in cinque sale diverse) che poi tradurrò per
fare il mio resoconto.
A mezzogiorno offrono il pranzo. Tutto è sontuoso, ma stringi
stringi da mangiare ben poco.
Si riprende alle 14,30 fino alle 17. Monti esce prima e mi dà
appuntamento per l’indomani alle 8,30.
Rientro a casa con un mezzo di superficie. Attraverso Harlem che
è un quartiere che avevo in animo di visitare. E’ uno spettacolo
unico. Un’intera umanità di pelle nera che brulica e si
ammucchia dentro case di un centinaio d’anni che mostrano
chiaramente di non aver conosciuto mai l’opera di restauro o di
sistemazione. La sporcizia è sovrana. I personaggi che si
incontrano sono, tuttavia, stupefacenti. Da ogni tipo, vecchi
cadenti o donne monumentali, agghindate con le fogge più
inverosimili, bambini numerosissimi, giovani dal fisico
statuario, emerge l’immagine di una miseria senza fine. Eppure
non trovano spiegazione le innumerevoli, imponenti, seppure
vecchie, automobili parcheggiate ai marciapiedi di tutto il
quartiere.
Martedì mattina alla Convention stessa musica. Monti prima di
pranzo esce e mi fissa l’appuntamento per l’indomani. Io mi
allontano dopo il pranzo e gironzolo per Manhattan. Mi avvio per
la quinta strada, poi per Madison avenue e poi per avenue of
Americas. Le costruzioni che vi insistono sono colossali, i
negozi tanto belli e forniti quanto inavvicinabili. Parecchi
negri per le strade. Qualche piccolo gruppo di studenti che
manifesta contro la guerra in Vietnam. Giungo all’Empire State
Building e vi salgo perché ho saputo che ce la si può cavare in
20’. Il panorama da lassù è semplicemente fantastico. C’è un po’
di vento e lo sguardo quindi si può spingere molto lontano fin
verso il New Jersey. Si vedono bene, oltre ai grattacieli più
noti, i ponti meravigliosi, i traffici fluviali e marittimi, la
vita congestionata della città.
Esco dal palazzo e, di fronte, vedo un negozio di pelletteria
dove mi reco per l’acquisto di una borsa. Non faccio in tempo a
pensare quale scegliere che una signora dall’interno mi vede e
esce per chiedermi se sono italiano. Le rispondo di sì e lei mi
invita ad entrare. Mi dice, non senza un velo di commozione, che
lei gli italiani li riconosce lontano un miglio e che ha una
nostalgia acutissima dell’Italia. Aggiunge che se ho intenzione
di acquistare qualcosa mi farà uno sconto. Scelgo una borsa
bellissima e, come promesso, mi pratica uno sconto sostanzioso.
Quando ci salutiamo non sa trattenere la commozione.
Rientro a casa verso le 19.
Mercoledì ancora alla Convention con Monti dalle 8,30 fino alle
11,30. Dopo, egli se ne va per conto proprio dandomi
appuntamento all’aeroporto poco prima delle 18.
Difatti, accompagnato dai miei parenti, mi faccio trovare per le
17,50.
Monti giunge puntuale e, dopo i soliti convenevoli, ci avviamo
all’imbarco su un aereo simile a quello della partenza.
Decolliamo alle 19,30 e voliamo in senso contrario al tramonto e
ne accorciamo i tempi, così come accorciamo i tempi della notte.
Alle 8,30 è buio pesto. Dopo il pranzo, il solito film e
un’oretta di sonno, non di più. Alle 24,30 (ora di New York)
comincia ad albeggiare. Una striscia di luce arancione si
profila all’orizzonte e sovrasta un mare di nuvole blu intenso.
Lentamente l’arancione si fa sempre più vivo e lucente fino a
stemperarsi in un cilestrino che diventa, via via, sempre più
azzurro.
Alle 1,15 il sole è sfolgorante. Ci servono la colazione e verso
le 7 (italiane) siamo sul massiccio del Monte Bianco. Quello che
si vede è semplicemente superbo. Una leggera nebbiolina, un velo
appena, staziona in tutte le valli e vallettine, quasi a mettere
in maggiore risalto la maestosità delle montagne.
L’aereo atterra alle 7,30 e fuori c’è un’auto della Banca che ci
attende per il rientro a Milano.
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Impressioni personali sull’America del 1971. anche se so che
questa è una vera e propria pretesa – perché non si possono dare
giudizi su in intero Paese avendo soggiornato per tre soli
giorni nella sua principale città, rinchiuso per di più in una
Convention. Oltre tutto, molti sostengono che la vera America è
quella della provincia -. Nondimeno, metto giù quest’impressione
che va considerata ‘di superficie’, con riserva di conferma e di
… allargamento in altra occasione, se ci sarà. Dunque, New York
ti riceve all’aeroporto con un abbraccio di efficienza e di
grandiosità impressionanti. Le vie d’accesso (ma di aeroporti ve
ne sono altri) sono tante, vaste e trafficate. I mezzi di
trasporto, subway, autobus, taxi sono numerosi e davvero
funzionanti (non ebbi occasione di servirmi dei treni, che mi
dicono eccellenti anche se sono in mani private.)
Il cuore di tutto, dell’intera America, è Manhattan, dove si
concentra il potere economico-finanziario del Paese. L’impianto
viabilistico e architettonico è stato improntato fin
dall’inizio, a criteri geometrici. Vi sono le lunghissime
arterie universalmente note (la quinta, la Madison, l’Americas,
ecc.) che sono intersecate da una serie interminabile di street,
nelle quali sorgono i famosissimi grattacieli.
Il traffico è infernale ma regolarissimo. I negozi, numerosi e
bellissimi, straripano di ogni tipo di merce e tutto – radio,
TV, giornali, manifesti, pubblicità d’ogni genere – induce e
spinge al consumo per alimentare la poderosa macchina della
produzione e quindi della crescita e dello sviluppo. A
null’altro pensa il newyorkese che a fare denaro e a spenderlo.
Ci ho visto un che di spietato in questo atteggiamento.
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(Questo ricordo è dedicato al dott. Innocenzo Monti, con
l’appoggio determinante del quale potemmo, nel 1969, portare a
termine l’imponente trasformazione dell’attività della Comit da
cartacea ad elettronica)
Lorenzo Milanesi
(gennaio 2016)
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