La
stampa mondiale ha commentato di recente la notizia che un altro
colosso farmaceutico, la Pfizer, ha deciso di ostacolare gli
inumani meccanismi della pena di morte negli Stati Uniti:
l’azienda multinazionale ha infatti varato dei controlli sui
suoi prodotti per garantire che non vengano usati per la
formulazione dei mix letali che sono usati nelle esecuzioni
capitali. Si tratta di una decisione considerata una pietra
miliare e cha fa seguito ad analoghi provvedimenti di altre
decine di aziende che hanno già adottato restrizioni a riguardo
Positivo è stato il giudizio formulato da Sergio D’Elia,
presidente dell’associazione contro la pena di morte, “Nessuno
tocchi Caino” D’Elia ha dichiarato che la recente decisione
della Pfizer mette in discussione una questione assolutamente
fondamentale per chi vuole non collaborare alla pratica della
pena di morte. E cioè si proietta quella che può essere un’etica
professionale, aziendale, in un campo che finora non era
considerato strettamente legato alla ragione d’impresa. La
decisione della Pfizer è l’ultima di una lunga serie, in cui
molte cause farmaceutiche hanno deciso di non collaborare alla
pratica della pena di morte. Questa era l’ultima azienda che
continuava a fornire farmaci per iniezioni letali, e con questa
fonte di approvvigionamento è venuta meno quest’ultima
possibilità. Questo non vuol dire che verrà fermata la pratica
della pena di morte negli Stati Uniti, ma semplicemente che di
sicuro verranno ridotte le esecuzioni capitali. È già successo
dopo la prima decisione di un’azienda farmaceutica nel 2011, la
Hospira, di interrompere la fornitura di Pentothal ai
penitenziari americani; e d’allora in poi molte altre aziende
farmaceutiche multinazionali si sono susseguite. Per la penuria
dei farmaci per l’iniezione letale su tutto il territorio
nazionale degli Stati Uniti ci sono state sospensioni o rinvii
di esecuzioni, tant’è che dal picco di 98 esecuzioni nel 1999 si
è passati a 28 nel 2015. Però, bisogna dire che non si tratta di
un problema di metodo dell’esecuzione penale; nelle esecuzioni
capitali quello che va messo totalmente in discussione è proprio
il principio che uno Stato possa disporre della vita, Nel
tentativo di ovviare alla penuria dei farmaci che storicamente
sono stati usati - e penso innanzitutto al Pentothal - c’è stata
una corsa alla ricerca di farmaci sostitutivi. Proprio questi
ultimi farmaci sono stati quelli che hanno provocato le
esecuzioni cosiddette “pasticciate”: quella più clamorosa è
dell’aprile di due anni fa, quando un detenuto, condannato a
morte in Oklahoma, Clayton Lockett, è morto dopo aver trascorso
43 minuti di agonia sul lettino dell’iniezione letale. Gli
avevano somministrato una dose di Midazolam, che era il primo
elemento di un protocollo che prevedeva poi altri due farmaci. E
questo è stato il caso che ha suscitato molte perplessità, non
solo sulla pratica dell’iniezione letale, ma proprio su quella
della pena di morte negli Stati Uniti. Io sono abbastanza
ottimista, perché, soprattutto dopo la morte di Antonin Scalia,
il giudice della Corte costituzionale più oltranzista nel favore
alla pena di morte, cambiano gli equilibri all’interno della
Corte Suprema americana. Quest’ultima sulle questioni cruciali,
come per esempio quella del protocollo dell’iniezione letale, si
era sempre divisa 5 a 4; ecco che invece il nuovo giudice
nominato da Obama può far cambiare gli equilibri e far decidere
la Corte Suprema, come già successo negli anni ’70, che sia
crudele e inusuale la pratica della pena di morte negli Usa. In
quegli anni ci fu una sorta di abolizione per via
giurisdizionale, che fermò la pena di morte per oltre dieci
anni. Però potrebbe giungere a una decisione di questo tipo, a
partire soprattutto dalle prossime pronunce della Corte Suprema
sulla legittimità costituzionale dell’iniezione letale, ma a
questo punto della pena di morte in quanto tale.
Giuseppe Bardone Filosofo del diritto |
piazzascala.it - maggio 2016