Il collega Aldo Morpurgo (Bolzano)
ci ha segnalato un scritto comparso sul Corriere delle Sera del 31
gennaio scorso nel quale Sergio Romano affronta un episodio poco
noto risalente alla fine della Seconda Guerra Mondiale: all'epoca la
Comit, guidata dall'antifascista Raffaele Mattioli, contribuì a
impedire a un tesoro archeologico (i cosiddetti "ori di Taranto") di
prendere la via che conduceva oltre il Brennero: ecco cosa scrive il
giornalista in risposta al quesito di una lettrice così formulato
"sempre a proposito dei gioielli e dei tesori dei Savoia, sembra che
ce ne sia un altro, chiamato «gli ori di Taranto», con una storia a
dir poco avventurosa. Corrisponde a verità?":
Gli
ori custoditi nei Museo archeologico nazionale di Taranto formano
una delle più importanti collezioni di gioielli del mondo antico:
anelli, orecchini, teche e uno straordinario diadema decorato di
granati e corniole, opere realizzate nella Magna Grecia fra il
quarto e il secondo secolo prima di Cristo. Dopo lo scoppio della
guerra nel 1940, mentre ogni museo italiano adottava misure per la
protezione del proprio patrimonio, quello di Taranto aveva
particolari preoccupazioni. La città era una importante base navale,
i bombardamenti erano frequenti, i gioielli particolarmente esposti
al rischio di furti e razzie. La direzione del museo chiese al
ministero della Educazione nazionale (da cui dipendeva
l'amministrazione delle Belle Arti) di indicare un luogo,
nell’Italia del Nord, dove i gioielli potevano essere
temporaneamente custoditi. Il ministro (era Giuseppe Bottai) suggerì
il Centro contabile che la Banca Commerciale Italiana aveva fatto
costruire a Parma nel 1939 per i titoli dei suoi clienti e per la
propria documentazione contabile: una vecchia casa di cura, Villa
Ombrosa, con
scantinati che si prestavano alla costruzione di un grande bunker.
Fu lì che il 2 febbraio 1943 l’ispettore delle Belle Arti Valerio
Cianfarani depositò due cassette di legno in cui erano stati
collocati i 222 oggetti della collezione.
Il problema della sicurezza sembrava risolto, ma la divisione
dell'Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita
sul lago di Garda di uno Stato fascista, crearono nuovi rischi, non
meno gravi dei bombardamenti alleati. Nel dicembre del 1944 il
ministero della Educazione nazionale della Repubblica sociale
italiana chiese alla Banca Commerciale la consegna degli ori per
«ritirarli in sede più a nord, così come è stato fatto e si sta
facendo per tutte le altre opere d’arte mobili». In quelle
circostanze, mentre le sorti della guerra volgevano a favore degli
Alleati, la frase «più a nord» significava che anche gli ori di
Taranto avrebbero preso, prima o dopo, la strada del Brennero.
Cominciò allora una lotta contro il tempo. Il ministero della
Educazione della Repubblica fascista mandò i suoi funzionari a Parma
per ritirare le cassette, ma la Banca Commerciale obiettò che aveva
l’obbligo di consegnarli esclusivamente alla persona, l’ispettore
Valerio Cianfarani, che li aveva depositati. Vi furono uno scambio
di lettere e, il 10 febbraio 1945, un formale ordine di consegna
impartito dal ministero della Educazione; ma la banca riuscì a
tergiversare sino alla metà di aprile quando la Repubblica fascista,
ormai, aveva altre preoccupazioni.
Il problema fu definitivamente risolto in luglio quando Cianfarani
si presentò a Villa Ombrosa e ritirò le due cassette. Per tornare a
Roma potè contare su un aereo alleato da Bologna a Ciampino, ma al
suo arrivo, per raggiungere Termini, non trovò un taxi e dovette
chiedere un passaggio a un carretto di verdura. Più volte, durante
il percorso, il carrettiere gli chiese insistentemente quale fosse
il contenuto delle cassette e il viaggio, per il povero Cianfarani,
divenne un incubo. Sfuggito alle bombe alleate e alla deportazione
in Germania, il tesoro di Taranto rischiò di finire nelle mani di un
carrettiere romano.
Ho tratto queste informazioni, cara Signora, da una bella
pubblicazione di Intesa Sanpaolo curata dallo studioso Francesco
Morra per l’Archivio storico della Banca Commerciale Italiana (Salvi
e intattissimi, la Banca Commerciale Italiana e la protezione degli
ori di Taranto 1943-1945) con una prefazione di Barbara Costa.
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