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    Prima di raccontare giornalisticamente la presentazione del libro di Mons. Lino Mottes, attuale Parroco del mio bellissimo paese di Zermen, già Vicario Cooperatore di Loreto, Segretario Vescovile, Arciprete della Cattedrale di Belluno, Arcidiacono di Agordo, docente al Seminario Gregoriano di Belluno, Direttore dell’Ufficio Catechistico di Belluno, Direttore della Scuola di Formazione Teologica di Agordo ed attuale esponente dell’Associazione “Ars Sacra” che ha in gestione il Museo Diocesano di Feltre, mi pare opportuno, soprattutto per chi leggerà questo pezzo, sia in Italia che all’estero stante lo standing del sito, fare un breve excursus panoramico del


    SANTUARIO DEI SANTI VITTORE E CORONA


    a cui detto libro si riferisce, in un’ecletticità di contesti storico-artistico spirituali, politici, bellici e sociali. Cos’è e dov’è il Santuario ?

    Abbarbicato sopra un ripido sperone di roccia del Monte Miesna a circa 800 metri s.l.m. nei pressi della località Anzù di Feltre, sorge il Santuario- Basilica che i feltrini chiamano semplicemente “San Vetor”
    Appare come un quadro suggestivo e ben visibile, sia di giorno che di notte, per chi raggiunge Feltre da Sud, poco dopo aver lasciato la Valle del Piave per imboccare quella scavata dal Fiume Sonna tra le pendici del Monte Tomatico e del Miesna. E' bello da vedersi anche dal finestrino del treno per chi utilizza la linea Feltre-Castelfranco Veneto. Detto Santuario dista circa 4 km dal centro di Feltre; di stile romanico con influssi bizantini esso risale all'XI secolo ed è nato sulle basi di un'antica chiesa. Nel corso del XV secolo l'edificio fu ampliato con la costruzione di un adiacente convento e del relativo chiostro. L'interno, riccamente affrescato, anche di recente come ho scritto in appresso, custodisce le reliquie dei Santi martiri Vittore e Corona, patroni della città di Feltre.
     




     

    Basilica-Santuario e interni


    Detto questo, vengo al dunque.
    Sabato 3 dicembre 2016, presso il Centro Museale Diocesano di Feltre, alla presenza di autorità civili, militari e religiose, nonché di un numeroso pubblico, protagonisti primari Mons, Lino Mottes e l’artista Vico Calabrò, ha avuto luogo un prestigioso incontro per la presentazione di un libro di mons. Lino Mottes, libro che, oltre a riportare notizie già oggetto di altro suo lavoro storico correlato al periodo di fine guerra, “Anno di terrore e di grazia 1944-1945” , raccoglie una riproduzione fotografica di preziosi affreschi dell’artista Vico Calabrò, famoso a livello internazionale.
    Durante l’incontro, nel corso della quale il Vescovo Emerito, Mons. Giuseppe Andrich, ma anche lo stesso Mons. Lino Mottes, hanno comunicato che in questo luogo sacro di Feltre, grazie a Calabrò, ci sarà - se non c’è già - la sede definitiva della Scuola Internazionale per la tecnica dell’Affresco. (cfr. Google per eventuali ulteriori notizie), ci sono stati parecchi interventi, in primis del dott. Gianmario Dal Molin di cui a foto che seguono.
     


    Raccontare “San Vetor” non è semplice stante i variegati eventi che sono stati oggetto della lunga storia in cima a detto dirupo che, anche se non particolarmente facile da raggiungere attraverso una via d’accesso piuttosto precaria, richiama lo stesso ogni anno migliaia e migliaia di persone. Non va sottaciuto però che, una volta arrivati lassù, tutti vengono ripagati da un senso di profonda serenità, di benessere spirituale, di amore.

    Ritornando alla presentazione del libro a titolo “Affreschi di Vico Calabrò”, che in parte richiama il precedente proprio attraverso detti affreschi, devo dire che la serata si è articolata inizialmente in una sorta di …amarcord dei vari personaggi che, alcuni ancora qui con noi, hanno fatto la storia di questo luogo, come mons. Sergio Dalla Rosa, attuale Rettore del Santuario (v.foto), il Vescovo Emerito Mons. Giuseppe Andrich, e naturalmente mons. Lino Mottes, oltre a coloro che non ci sono più, come il Vescovo Girolamo Bordignon, parte degli 80 seminaristi di quel tempo storico per i quali è impossibile raccontare tutta la storia, don Rocco Antoniol, mons. Giulio Perotto, il Vescovo Gioacchino Muccin, il Vescovo Giosuè Cattarossi, il Vescovo Vincenzo Savio, oltre, naturalmente a mons.Giulio Gaio. ecc. (e mi scuso per inevitabili omissioni) per poi entrare nell’essenza primaria del libro che l’autore Mons. Lino Mottes, così motiva :

     

    …per mettere a disposizione una “guida didattica” che illustri nei dettagli eventi ormai lontani, ma rimasti impressi
    nella memoria della comunità feltrina e nella mente di chi li ha vissuti…

     

    Leggere, ripeto leggere perché gli affreschi murali di Calabrò si prestano benissimo ad una lettura come fossero pagine di un libro, onestamente non è compito facile per un giornalista come lo scrivente (v. foto con Calabrò), tra l’altro non all’altezza in questo

     

     

    particolare contesto, per cui a lui non resta che pubblicare diverse foto, demandando la visione alle persone maggiormente qualificate, nella consapevolezza però che detti affreschi sapranno senz’altro perseguire il fine: quello di far conoscere il passato, di cui la “guida didattica” di don Lino offre appunto un valido supporto.

    Fare un excursus su tutti coloro che hanno studiato, soggiornato, pregato nel Santuario è pressoché impossibile, per cui ha fatto bene Mons. Lino Mottes corredare le tante notizie con molte immagini, in aggiunta agli affreschi molto eloquenti di Calabrò.

    Mi piacerebbe personalmente ricordare una cosa in quanto essa fa parte di uno straordinario evento che mi ha visto intervistare Mons. Giulio Gaio alla veneranda età di 103 anni, rettore quasi “a vita” del Santuario: egli infatti, nella sua cameretta qualche tempo prima della sua scomparsa, in nome del “Paron Grando”, ebbe a raccontarmi del suo passato che, sebbene già conosciuto da tutti, gli ho lasciato lo stesso raccontare… proprio per sentirlo dal vivo, dalla sua stessa voce. Quasi come…notizia “fresca”…

    Mons. Giulio Gaio, lo dico per le nuove generazioni, fu Rettore del Santuario per circa 60 anni: egli, come era solito raccontare, oltre ad ottemperare alla sua missione di vero apostolato, ma anche di politico-sociologo nell’interesse della comunità, mi disse di aver smesso di adoperare la sua “Fiat-Balilla” , regalatagli dai feltrini , dopo che la vettura lo aveva “tradito” in una piccola curva per salire al Santuario . Il suo alimento preferito ? mi disse che è sempre stata la ….polenta, alimento importante che non voleva mai mancasse dalla tavola… Ma queste sono notizie curiose, per stemperare la “seriosità degli argomenti” rispetto alla rocciosa serietà di uomo-prete che tutti hanno amato e, non per niente, continuano ad amare anche dopo la morte.

    Ed infine, cosa davvero curiosa, se vuoi anche con il rischio di essere autobiografico come giornalista, vorrei citare il casuale accostamento , nello stesso identico posto, né un centimetro più né un centimetro meno, fra lo scrivente e mons. Lino Mottes, foto scattate a distanza di circa due anni l’una dall’altra, durante una conversazione con don Giulio Gaio, nella sua cameretta, ove, molto verosimilmente gli abbiamo fatto le ultime interviste-chiacchierate, intorno agli anni 91-92, come da foto qui sotto, da considerarsi simil-“reliquie”..

     

     

    Vorrei chiudere con un pensiero alla semplicità che mi richiama detto Santuario a cui sono particolarmente legato, citando come esempio quella grande schiera di persone che, in silenzio, nascoste, aiutano a star bene gli altri, a
    servire il prossimo con amore, offrendo disinteressatamente la loro vita agli altri, in nome dello spirito di servizio, contribuendo con la loro opera silenziosa a rendere grandi gli altri nei vari contesti della vita sociale. Detto pensiero, più volte ribadito anche dalle Encicliche papali :

    “ se tu sei quello che sei, è perché c’è l’altro…”


    mi pare si attagli perfettamente a questa conclusione che vorrei dedicare all’umile Carolina Giopp (v. foto qui sotto), la quale, in rappresentanza ideale di tutte le altre persone similmente umili di questo mondo, deve essere stata per circa 40 anni una grande risorsa per don Giulio Gaio, personaggio al quale, quasi certamente, va ascritta gran parte della storia di “San Vetor”, luogo sacro che ha fatto anche questa volta da stupenda cornice all’incontro rispetto a tutto ciò che ho cercato di raccontare brevemente con riferimento ai libri di Mons. Lino Mottes e gli affreschi bellissimi di Vico Calabrò.
     

     

     



    Seguono 20 fotografie. Clicca sull'icona sottostante per visualizzare la galleria:
     


     

     

     

    ARNALDO DE PORTI (Feltre)

     

     

 

 

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