Don Lorenzo Milani non e' stata una persona facile: la sua ruvida franchezza sapeva essere una sferzante scudisciata che bruciava la pelle e anche i suoi piu' stretti collaboratori non ne erano risparmiati.
La radicalita' dei suoi comportamenti e delle sue idee spesso riusciva di difficile comprensione anche alle persone animate della migliore volonta' e di un sano progressismo.
Proverbiale il suo atteggiamento di netto rifiuto nei confronti della televisione, dello sport e dei divertimenti in genere ritenuti 'alienanti' e fonti di distrazione nei confronti dello studio e della crescita civile dei suoi ragazzi.
Ma don Lorenzo aveva fretta e non aveva tempo da perdere. Forse sapeva che doveva fare tutto nell' arco della sua breve vita che sarebbe durata solo quarantaquattro anni.
Molte cose sono state vorticose e repentine nella sua vita, a partire dalla sua conversione al cristianesimo, per lui proveniente da un' agiata famiglia fiorentina dove il padre era ateo e la madre di religione ebraica. Era stato battezzato qualche anno dopo la sua nascita, avvenuta nel 1923 e solo per evitare problemi razziali, dato che si era in piena epoca fascista.
Non tutto e' chiaro sulla sua conversione, avvenuta intorno ai vent' anni che l' induce ad abbandonare, dopo due anni di Accademia di Brera a Milano, le sue ambizioni di pittore e che culminera' con l' ordinazione a sacerdote quattro anni dopo.
Come accade spesso ai convertiti, ha abbracciato in modo totale e intransigente la nuova fede e il messaggio evangelico lo ha condotto ad atteggiamenti di radicalita' estrema che rifuggivano da ogni accomodamento o compromesso; una caratteristica costante del suo modo di agire, al prezzo di non essere compreso e, alla fine, emarginato nella sperduta parrocchia di Barbiana, nell' appennino toscano.
Sono gli anni tumultuosi e profondamente innovativi del post-concilio Vaticano secondo e don Milani, nella Firenze di don Mazzi e dell' Isolotto e di padre Ernesto Balducci, abbraccia la causa della scuola popolare, del riscatto culturale degli emarginati, del progetto di fornire loro strumenti di emancipazione come la padronanza del linguaggio per affrontare a viso aperto e ad armi pari la cultura borghese e anti-operaia che, invece, li avrebbe voluti relegati per sempre nel ruolo di ultimi.
Una scuola senza orari, senza vacanze, che funzionava anche la domenica, dove ogni giorno si leggeva il quotidiano e dove, armati di coscienza critica, si smontavano le menzogne forbite ed eleganti del perbenismo, sentinella della classe dominante che aveva bisogno di braccia e di menti a buon mercato per mantenere la sua egemonia.
Una scuola intesa come arma di liberazione e di crescita civile e sociale, che ti impegnava fino al midollo e nella quale non si voleva sentire parlare di stanchezza o di elementi di distrazione.
Dalla piccola Barbiana, utilizzando gli strumenti allora disponibili (corrispondenza e visite di persone che si recavano da lui) inizio' ad intessere relazioni non solo con tutta l' Italia, ma anche con l' Europa.
Dopo le 'Esperienze Pastorali' e il nuovo catechismo di San Donato Calenzano e' dalla microscopica Barbiana che partono le battaglie civili per l' obiezione di coscienza, temerariamente definita dai cappellani militari in congedo come 'un atto di vilta''. 'L' obbedienza non e' piu' una virtu''' costa al priore una lunga battaglia giudiziaria che terminera' solo dopo la sua scomparsa e con una sentenza definitiva che proclamava 'l' estinzione del reato per morte del reo'.
E' a Barbiana dove e' stato esiliato che viene messo in pratica un modello di scuola impossibile da ripetere altrove, perche' inteso come donazione totale e integrale dell' insegnante ai suoi alunni/figli, provenienti da famiglie contadine e montanare, un comportamento che nessun maestro saprebbe solo lontanamente imitare.
Don Lorenzo era follemente geloso dei suoi ragazzi, pronto a 'fare alle fucilate' con chiunque si fosse frapposto nella sua relazione, a volte possessiva ed esclusiva, con loro.
Ma pronto anche a mandarli in giro per l' Europa perche' imparassero l' inglese e crescessero come persone e come cittadini.
Risulta molto difficile ripetere esperienze simili, improntate ad un coinvolgimento totale con i propri alunni, anche se molte scuole popolari e di quartiere, espressioni delle comunita' di base riconducibili al 'dissenso cattolico', hanno attinto a piene mani dalla scuola di Barbiana in termini di didattica e di strumenti culturali.
Eppure don Milani ha influito in modo marcato sul modo di insegnare e di interloquire con gli alunni, anche nel mondo della scuola. Ancor oggi la sua 'Lettera ad una professoressa', esempio di scrittura collettiva, nel suo nitore e nella sua tagliente critica alla scuola pubblica e ai suoi operatori mantiene un' esplosiva carica di profezia, di voglia di lavorare duramente e tanto, con metodi nuovi fino allo sfinimento pur di raggiungere l' obiettivo del riscatto sociale e dell' emancipazione.
Adele Corradi, insegnante fiorentina di quasi novant' anni, e' stata dal 1963 al 1967, anno della morte di don Lorenzo, una delle piu' strette collaboratrici della scuola di Barbiana e solo adesso ha voluto raccogliere i ricordi del suo rapporto con il priore ('Non so se don Lorenzo' - Feltrinelli).
Si tratta di pezzi di vita raccolti in modo disorganico, tant' e' che l' autrice invita il lettore che cercasse un' opera ordinata e descrittiva della vita e dell' operato di don Lorenzo a rivolgersi altrove.
Ma si tratta di vita autentica e quotidiana, composta da rapporti ed episodi anche taglienti che ricostruiscono un rapporto improntato sempre al rispetto, se vogliamo anche formale, dato che i due si sono sempre dati del lei; non mancano gli spigoli vivi, gli aspetti urticanti che lasciano lividi o abrasioni dell' anima.
Un profeta dalle lucide provocazioni, dalla coerenza maniacale dei comportamenti, dalla rigorosita' feroce con se stesso e con gli altri. Sono trascorsi cinquanta anni dalla sua scomparsa, ma il suo messaggio rimane attuale e lievito per tutti gli uomini di buona volonta'.

Claudio Santoro (Lecco)

 

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