Il caro Amico
SARO LA DELFA è rimasto tutt ’altro che sordo al più che
esplicito invito che DUEMILA E PIU’ aveva rivolto alla intera
platea di Lettrici e Lettori perché non facessero mancare i loro
preziosi contributi, requisito indispensabile per continuare a
mantenere questo appuntamento mensile.
Ed è così venuta fuori la figura leggendaria di un siciliano -
COLA PESCE - che, nei secoli scorsi, aveva dato modo agli
isolani di tramandarsi, con orgoglio, le gesta a lui attribuite.
E l’immaginazione della gente era stata così scossa e piena di
ammirazione, che diversi luoghi si attribuivano la gloria di
avergli dato i natali, adattando così personaggio e situazioni
alle esigenze locali. Ed ecco come l’Amico Saro fa rivivere le
leggende, illustrate da alcune delle statue che lo raffigurano e
che si trovano in diverse località della Sicilia.
Carmelo Profeta
COLA PESCE
La leggenda di Cola Pesce è diffusa in tutta la Sicilia
ed in tutto il mondo mediterraneo, e di lei corrono ben 18
varianti, sicché di questa leggenda si può parlare come della
leggenda "nazionale" della Sicilia, per gli elementi culturali,
storici e ambientali che vi si trovano: ed una variante della
leggenda dice addirittura che Cola Pesce si trova in fondo al
mare, per sostenere una delle tre colonne, ormai pericolante, su
cui secondo la fantasia popolare si regge l'isola.
I riflessi catanesi della leggenda di Cola
Pesce, che era un sub eccezionale, capace di stare settimane e
mesi sott'acqua, come un autentico pesce, sono dati non soltanto
dal fatto che molte varianti della leggenda lo dicono nativo di
Catania, ma anche dal fatto che a Catania, nel Settecento, c'era
un bravo tuffatore, un popolano soprannominato Pipiriddumi, che
sì vantava di essere un diretto discendente dal celebre Cola
Pesce.
Ma il riflesso catanese più importante nella leggenda di questo
tuffatore, veramente singolare, è che Cola Pesce, in tutte le
varianti del racconto popolare, parla sempre del fuoco
dell'Etna, che ribolle sotto il mare.
In una diffusa variante della leggenda, il marinaio catanese
muore proprio bruciato dal fuoco sottomarino dell'Etna, perché
il re Federico, incredulo della relazione fattagli da Cola,
pretese che egli portasse una prova di quanto affermato.
Al che, Cola Pesce, presa una ferula (il noto, leggerissimo
legno che galleggia facilmente), disse: "Maestà questa ferula
ritornerà bruciata alla superficie del mare, e questa sarà la
prova che sotto il mare esiste il fuoco dell'Etna; ma io non
ritornerò più, perché il fuoco sottomarino mi distruggerà".
E così fu!
2a variante
Un'altra leggenda vuole che il Re incuriosito della bravura di
Colapesce o forse pensando di poter utilizzare il giovane per
qualche impresa, lo convoca.
L'incontro avviene nelle acque antistanti Messina {Colapesce
ormai vive costantemente in acqua): il re sottopone Colapesce a
prove sempre più difficili.
Butta in mare la preziosa corona e gli chiede di ripescarla, gli
chiede di quali misteriose creature vivono negli abissi, quanto
è profondo il mare...
Dopo una di queste immersioni Colapesce riemerge spaventato.
Racconta al re di aver visto che la Sicilia poggia su tre
colonne, una a capo Passero, una a capo Lilibeo e una a capo
Peloro, proprio sotto Messina, e per dì più questa colonna è
incrinata e potrebbe crollare da un momento ali altro.
Il re gli chiede di andare a controllare meglio, ma la
profondità è eccessiva e Colapesce è stanco.
Chiede allora un pugno di lenticchie da portare con sé. Se le
lenticchie torneranno a galla vorrà dire che Colapesce è morto.
Colapesce si immerge e dopo qualche tempo riemergono le
lenticchie.
Grande è lo sconforto per la morte di Colapesce e per il destino
della città.
Secondo la leggenda Colapesce non è morto, ma, avendo visto che
la colonna incrinata stava cedendo, si è sostituito ad essa ed è
ancora lì a sostenere Messina e la Sicilia intera.
3a variante
Ci fu una volta a Messina un giovane pe-scatore bello e forte,
chiamato Cola. Nessuno meglio di lui sapeva maneggiare il remo,
e la sua barca volava sulle onde come un uccello, vincendo gli
stessi delfini.
Il mare era la sua casa e la sua piazza; vi passava i giorni e
le notti, avendo per amici i pesci che gli guizzavano intorno e
per compagne le stelle che gli rinfrescavano gli occhi ansiosi e
gli insegnavano la vìa.
A lungo andare questa amicizia del mare gli tolse dal cuore ogni
altro affetto, sicché non cercò più né uomo né donna, e
dimenticò madre e fratelli.
Nelle notti silenziose, piene soltanto delle risa e dei sospiri
dei flutti, egli conobbe le ninfe marine dagli occhi come le
stelle, e le sirene dal corpo di serpente.
I loro canti e i loro vezzi lo incantavano, ma com'egli cercava
di afferrarle esse sempre gli sfuggivano, sparendo con un trillo
nel mare.
Ammaliato egli ficcava giù gli occhi, e alla vista gli si
paravano meravigliosi spettacoli che più lo turbavano e lo
attiravano: giardini di corallo, palazzi dì cristallo, saloni
tutti scintillanti d'oro dove donne bellissime dolcemente
danzavano.
Questa febbre continua gli tolse la pace e il sonno, e lo fece
diventare più solitario e più triste di prima. Restava
lungamente fisso con gli occhi incantati, e non sapeva più dove
volgere la sua barca.
Sentiva nelle pause delle onde musiche che salivano dagli abissi
del mare, e le sirene affacciandosi lo chiamavano ripetutamente:
- Cola! Cola! perché non vieni a trovarci? Non potendo più
resistere, egli si gettò nell'acqua, e nuotando disperatamente
scandagliò tutte le profondità del mare.
Ciò che egli vide nessuno lo seppe mai; ma quando ritornò a
galla il suo viso era pallido come quello dei morti e nei suoi
occhi c'era il ricordo delle cose spaventevoli e meravigliose
viste dove nessuno era mai stato.
Da quel giorno i suoi occhi ebbero un inusitato splendore, e il
suo viso una nuova bellezza: ma egli non parlò più e, come
vedeva da lungi un essere umano, via fuggiva con la sua barca, e
a un tratto spariva nei flutti. Per questo lo chiamarono Cola
Pesce, e la sua fama si sparse per tutta l'isola.
Ora un giorno capitò a Messina il Re Federico. Aveva con sé la
figliola bella come un raggio di sole, e gran seguito di baroni
e cavalieri tutti lucenti d'oro e d'argento.
Egli viaggiava la Sicilia per cercare alla sua figliola un
marito degno di lei, bello e prode, e bandiva giostre e tornei.
Ma nessuno ancora era piaciuto alla superba fanciulla, e molti
erano morti per lei in avventure e imprese impossibili.
- lo mi darò - ella diceva - a chi non avrà più niente da
negarmi. Sentito di Cola Pesce, ella volle conoscerlo e, per
ordine del Re, barche e navigli corsero per ogni dove il mare a
cercare l'uomo meraviglioso.
Finalmente egli fu trovato, e condotto alla presenza della
fanciulla. Guardando il viso bello del pescatore ella ebbe un
fremito, e gli occhi di lui a vederla si accesero.
- È vero - chiese le Reginetta con la voce tremante - che tu
vivi negli abissi del mare, amando le sirene e cavalcando i
tritoni?
Cola sorrise e la fissò senza rispondere.
- Ebbene - chiese ancora la fanciulla - che faresti tu per
me?
- Tutto - rispose Cola.
Ella tolse dalle mani del Re la coppa d'oro e la buttò nel mare,
e le onde si torsero per lasciarla affondare.
- Se tu me la riporti - disse - ti darò la mia bocca da
baciare.
Cola fece un salto e spari nei flutti. Un grande silenzio si
fece a riva, e tutti attesero frementi. Finalmente le onde si
mossero, si gonfiarono e Cola apparve levando alto nel sole la
coppa d'oro. Un clamore lo salutò; ma la fanciulla tutta pallida
rise, prendendo la coppa dalle mani del pescatore:
- Come vuoi, o Cola, ch'io possa amarti?
E Cola sorrise, guardandola fisso negli occhi.
La fanciulla si sganciò dai fianchi la cintura d'oro e di
diamanti e la buttò nel mare, e le onde gorgogliarono per
lasciarla passare.
- Se tu me la riporti - disse - io mi farò da te
abbracciare.
Senza nulla dire, Cola si slanciò e sparì. Un lungo fremito
corse la folla, e la superba fanciulla sentì tremare il suo
cuore. Dopo lunga attesa le onde si agitarono nuovamente e Cola
riapparve, tenendo nella mano la preziosa cintura. Un urlo di
gioia lo salutò, e tutti gli occhi si volsero alla superba
fanciulla.
Ma ella tutta pallida rise, prendendo la cintura dalle mani del
pescatore:
- Come vuoi, o Cola, ch'io possa amarti?
E Cola nulla rispose, guardandola triste negli occhi.
Ella si tolse dal dito il piccolo anello e lo buttò nel mare, e
nessuno s'accorse dove mai cadesse.
- Se tu me lo riporti - disse, con negli occhi un
meraviglioso splendore - io sarò tua sposa.
Un mormorio minaccioso s'udì dalla folla, e gli stessi baroni
gridarono a Cola che non più s'arrischiasse:
- O temerario, non cercare la morte!
Ma Cola s'era slanciato, e lungamente si videro, dov'egli era
sparito, fremere e spumeggiare le onde.
Molto tempo passò e Cola non ritornò più. Invano la folla
attese, invano gli occhi della superba fanciulla interrogarono
ansiosi il mare; e molto ella pianse, perché molto amava il
pescatore meraviglioso ch'era perito per lei.E ancor oggi in
fondo allo stretto di Messina, Cola Pesce vaga disperato
cercando l'anello della principessa; ma l'anello è troppo
piccolo, e troppo grande è il mare.
ROSARIO LA DELFA - Brescia |