da DUEMILA E PIU' di Carmelo Profeta (n.114 - 12 marzo 2016) 

Il caro Amico SARO LA DELFA è rimasto tutt ’altro che sordo al più che esplicito invito che DUEMILA E PIU’ aveva rivolto alla intera platea di Lettrici e Lettori perché non facessero mancare i loro preziosi contributi, requisito indispensabile per continuare a mantenere questo appuntamento mensile.
Ed è così venuta fuori la figura leggendaria di un siciliano - COLA PESCE - che, nei secoli scorsi, aveva dato modo agli isolani di tramandarsi, con orgoglio, le gesta a lui attribuite.
E l’immaginazione della gente era stata così scossa e piena di ammirazione, che diversi luoghi si attribuivano la gloria di avergli dato i natali, adattando così personaggio e situazioni alle esigenze locali. Ed ecco come l’Amico Saro fa rivivere le leggende, illustrate da alcune delle statue che lo raffigurano e che si trovano in diverse località della Sicilia.

Carmelo Profeta


COLA PESCE

La leggenda di Cola Pesce è diffusa in tutta la Sicilia ed in tutto il mondo mediterraneo, e di lei corrono ben 18 varianti, sicché di questa leggenda si può parlare come della leggenda "nazionale" della Sicilia, per gli elementi culturali, storici e ambientali che vi si trovano: ed una variante della leggenda dice addirittura che Cola Pesce si trova in fondo al mare, per sostenere una delle tre colonne, ormai pericolante, su cui secondo la fantasia popolare si regge l'isola.

I riflessi catanesi della leggenda di Cola
Pesce, che era un sub eccezionale, capace di stare settimane e mesi sott'acqua, come un autentico pesce, sono dati non soltanto dal fatto che molte varianti della leggenda lo dicono nativo di Catania, ma anche dal fatto che a Catania, nel Settecento, c'era un bravo tuffatore, un popolano soprannominato Pipiriddumi, che sì vantava di essere un diretto discendente dal celebre Cola Pesce.
Ma il riflesso catanese più importante nella leggenda di questo tuffatore, veramente singolare, è che Cola Pesce, in tutte le varianti del racconto popolare, parla sempre del fuoco dell'Etna, che ribolle sotto il mare.
In una diffusa variante della leggenda, il marinaio catanese muore proprio bruciato dal fuoco sottomarino dell'Etna, perché il re Federico, incredulo della relazione fattagli da Cola, pretese che egli portasse una prova di quanto affermato.
Al che, Cola Pesce, presa una ferula (il noto, leggerissimo legno che galleggia facilmente), disse: "Maestà questa ferula ritornerà bruciata alla superficie del mare, e questa sarà la prova che sotto il mare esiste il fuoco dell'Etna; ma io non ritornerò più, perché il fuoco sottomarino mi distruggerà".
E così fu!

2a variante
Un'altra leggenda vuole che il Re incuriosito della bravura di Colapesce o forse pensando di poter utilizzare il giovane per qualche impresa, lo convoca.
L'incontro avviene nelle acque antistanti Messina {Colapesce ormai vive costantemente in acqua): il re sottopone Colapesce a prove sempre più difficili.
Butta in mare la preziosa corona e gli chiede di ripescarla, gli chiede di quali misteriose creature vivono negli abissi, quanto è profondo il mare...
Dopo una di queste immersioni Colapesce riemerge spaventato.
Racconta al re di aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, una a capo Passero, una a capo Lilibeo e una a capo Peloro, proprio sotto Messina, e per dì più questa colonna è incrinata e potrebbe crollare da un momento ali altro.
Il re gli chiede di andare a controllare meglio, ma la profondità è eccessiva e Colapesce è stanco.
Chiede allora un pugno di lenticchie da portare con sé. Se le lenticchie torneranno a galla vorrà dire che Colapesce è morto. Colapesce si immerge e dopo qualche tempo riemergono le lenticchie.
Grande è lo sconforto per la morte di Colapesce e per il destino della città.
Secondo la leggenda Colapesce non è morto, ma, avendo visto che la colonna incrinata stava cedendo, si è sostituito ad essa ed è ancora lì a sostenere Messina e la Sicilia intera.

3a variante
Ci fu una volta a Messina un giovane pe-scatore bello e forte, chiamato Cola. Nessuno meglio di lui sapeva maneggiare il remo, e la sua barca volava sulle onde come un uccello, vincendo gli stessi delfini.
Il mare era la sua casa e la sua piazza; vi passava i giorni e le notti, avendo per amici i pesci che gli guizzavano intorno e per compagne le stelle che gli rinfrescavano gli occhi ansiosi e gli insegnavano la vìa.
A lungo andare questa amicizia del mare gli tolse dal cuore ogni altro affetto, sicché non cercò più né uomo né donna, e dimenticò madre e fratelli.
Nelle notti silenziose, piene soltanto delle risa e dei sospiri dei flutti, egli conobbe le ninfe marine dagli occhi come le stelle, e le sirene dal corpo di serpente.
I loro canti e i loro vezzi lo incantavano, ma com'egli cercava di afferrarle esse sempre gli sfuggivano, sparendo con un trillo nel mare.
Ammaliato egli ficcava giù gli occhi, e alla vista gli si paravano meravigliosi spettacoli che più lo turbavano e lo attiravano: giardini di corallo, palazzi dì cristallo, saloni tutti scintillanti d'oro dove donne bellissime dolcemente danzavano.
Questa febbre continua gli tolse la pace e il sonno, e lo fece diventare più solitario e più triste di prima. Restava lungamente fisso con gli occhi incantati, e non sapeva più dove volgere la sua barca.
Sentiva nelle pause delle onde musiche che salivano dagli abissi del mare, e le sirene affacciandosi lo chiamavano ripetutamente: - Cola! Cola! perché non vieni a trovarci? Non potendo più resistere, egli si gettò nell'acqua, e nuotando disperatamente scandagliò tutte le profondità del mare.
Ciò che egli vide nessuno lo seppe mai; ma quando ritornò a galla il suo viso era pallido come quello dei morti e nei suoi occhi c'era il ricordo delle cose spaventevoli e meravigliose viste dove nessuno era mai stato.
Da quel giorno i suoi occhi ebbero un inusitato splendore, e il suo viso una nuova bellezza: ma egli non parlò più e, come vedeva da lungi un essere umano, via fuggiva con la sua barca, e a un tratto spariva nei flutti. Per questo lo chiamarono Cola Pesce, e la sua fama si sparse per tutta l'isola.
Ora un giorno capitò a Messina il Re Federico. Aveva con sé la figliola bella come un raggio di sole, e gran seguito di baroni e cavalieri tutti lucenti d'oro e d'argento.
Egli viaggiava la Sicilia per cercare alla sua figliola un marito degno di lei, bello e prode, e bandiva giostre e tornei. Ma nessuno ancora era piaciuto alla superba fanciulla, e molti erano morti per lei in avventure e imprese impossibili.
- lo mi darò - ella diceva - a chi non avrà più niente da negarmi. Sentito di Cola Pesce, ella volle conoscerlo e, per ordine del Re, barche e navigli corsero per ogni dove il mare a cercare l'uomo meraviglioso.
Finalmente egli fu trovato, e condotto alla presenza della fanciulla. Guardando il viso bello del pescatore ella ebbe un fremito, e gli occhi di lui a vederla si accesero.
-     È vero - chiese le Reginetta con la voce tremante - che tu vivi negli abissi del mare, amando le sirene e cavalcando i tritoni?
Cola sorrise e la fissò senza rispondere.
-     Ebbene - chiese ancora la fanciulla - che faresti tu per me?
-     Tutto - rispose Cola.
Ella tolse dalle mani del Re la coppa d'oro e la buttò nel mare, e le onde si torsero per lasciarla affondare.
-     Se tu me la riporti - disse - ti darò la mia bocca da baciare.
Cola fece un salto e spari nei flutti. Un grande silenzio si fece a riva, e tutti attesero frementi. Finalmente le onde si mossero, si gonfiarono e Cola apparve levando alto nel sole la coppa d'oro. Un clamore lo salutò; ma la fanciulla tutta pallida rise, prendendo la coppa dalle mani del pescatore:
-     Come vuoi, o Cola, ch'io possa amarti?
E Cola sorrise, guardandola fisso negli occhi.
La fanciulla si sganciò dai fianchi la cintura d'oro e di diamanti e la buttò nel mare, e le onde gorgogliarono per lasciarla passare.
-     Se tu me la riporti - disse - io mi farò da te abbracciare.
Senza nulla dire, Cola si slanciò e sparì. Un lungo fremito corse la folla, e la superba fanciulla sentì tremare il suo cuore. Dopo lunga attesa le onde si agitarono nuovamen­te e Cola riapparve, tenendo nella mano la preziosa cintura. Un urlo di gioia lo salutò, e tutti gli occhi si volsero alla superba fan­ciulla.
Ma ella tutta pallida rise, prendendo la cintura dalle mani del pescatore:
-     Come vuoi, o Cola, ch'io possa amarti?
E Cola nulla rispose, guardandola triste negli occhi.
Ella si tolse dal dito il piccolo anello e lo buttò nel mare, e nessuno s'accorse dove mai cadesse.
-     Se tu me lo riporti - disse, con negli occhi un meraviglioso splendore - io sarò tua sposa.
Un mormorio minaccioso s'udì dalla folla, e gli stessi baroni gridarono a Cola che non più s'arrischiasse:
-     O temerario, non cercare la morte!
Ma Cola s'era slanciato, e lungamente si videro, dov'egli era sparito, fremere e spumeggiare le onde.
Molto tempo passò e Cola non ritornò più. Invano la folla attese, invano gli occhi della superba fanciulla interrogarono ansiosi il mare; e molto ella pianse, perché molto amava il pescatore meraviglioso ch'era perito per lei.E ancor oggi in fondo allo stretto di Messina, Cola Pesce vaga disperato cercando l'anello della principessa; ma l'anello è troppo piccolo, e troppo grande è il mare.


ROSARIO LA DELFA - Brescia

 

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piazzascala.it - marzo 2016