Vorrei, senza riguardo alle me idee in politica, esprimere
qualche considerazione sull'ennesimo appuntamento elettorale,
questa volta referendario, di domenica 17 aprile.
Confesso anzitutto di aver avuto qualche difficoltà iniziale a
comprendere bene di che cosa si trattava e quali sarebbero state
le conseguenze, non tanto dal raggiungimento del quorum del
50%+1, in difetto del quale la consultazione sarebbe non valida,
quanto del risultato pratico in tutti e tre i casi: 1)
referendum invalido - 2) maggioranza dei Si - 3) maggioranza dei
No.
Dico subito che l'astensione è perfettamente legale, anche se di
norma il cittadino che non vota rinuncia al suo diritto di
influire sulle scelte pubbliche, delegando ad altri tali scelte
(ma non dovrebbe poi lamentarsi per le scelte sbagliate).
Il referendum abrogativo previsto dalla legge italiana è
peraltro, a mio parere, uno strumento che si presta, come si è
prestato in passato, a operazioni di propaganda, di disturbo, di
opposizione preconcetta, quando riguarda problemi di scarso
interesse o di interesse limitato a questioni secondarie. Come
noto, le firme necessarie per proporre una consultazione sono
poche centinaia di migliaia e i costi sono elevati (diverse
centinaia di milioni). E' noto anche che il filtro rappresentato
dalla Corte Costituzionale ne ritiene ammissibile soltanto una
parte minoritaria, vanificando intanto le spese sostenute dai
promotori. Per tali motivi un'astensione dal voto motivata
dall'idea di scoraggiare le consultazioni di scarso peso o
puramente settoriali non sarebbe da condannare.
Ritengo anche questo referendum di scarso interesse generale,
pur avendo in linea di massima l'idea di partecipare al voto,
perchè, anzitutto, riguarda un limitato numero di pozzi operanti
in tutto l'arco del mare Adriatico, da Trieste alla bassa
Puglia, da chiudere eventualmente nell'arco di alcuni anni, alla
scadenza delle concessioni. Ricordo che si tratta, in grande
maggioranza, di gas naturale e non di petrolio.
Se vincerà il No le concessioni potranno essere rinnovate fino
all'esaurimento dei giacimenti, cosa molto probabile, leggo, se
non sicura, entro un certo periodo di tempo, come avviene
perfino in zone molto più ricche di idrocarburi.
Non mi pare logico e auspicabile, nell'interesse del paese,
affamato di energie fossili importate per la quasi totalità con
dispendio di valute forti, chiudere anticipatamente produzioni
attive, danneggiando e scoraggiando investimenti importanti da
parte di multinazionali, per timore di qualche incidente, sempre
possibile, ma evitabile con le moderne tecnologie.
Del resto, anche l'energia prodotta da fonti rinnovabili, ancora
largamente minoritaria in attesa di progressi di là da venire,
hanno i loro problemi e la loro attiva opposizione da parte di
molte organizzazioni, amministrazioni e popolazioni locali,
organizzazioni ambientaliste. Basti pensare all'opposizione ai
bacini idroelettrici e relative dighe, ai parchi eolici, ai
parchi di pannelli solari, allo sfruttamento delle onde marine,
alle centrali a biomasse, eccetera.
Insisto: il quesito referendario è di limitato interesse
generale e riguarda una limitata fetta della popolazione
italiana mentre la vittoria del SI danneggerebbe il paese nel
suo complesso.
Giacomo Morandi (Rivergaro) |