Presso la Corte Arbitrale Internazionale dell'Aia sono in corso le procedure per stabilire la giurisdizione competente a giudicare i due fucilieri di marina italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel corso del servizio di scorta ad una petroliera italiana in acque prossime alla costiera indiana, scambiandoli per pirati.

La causa in corso all'Aia riguarda solo la disputa su chi deve processare i due soldati sulla base del luogo in cui si è verificato il fatto di sangue, se cioè in acque internazionali come sostiene il governo italiano o nella zona grigia prossima alle acque territoriali indiane, o, in ogni caso, di competenza indiana a seguito dell'entrata della nave in acque territoriali e in un porto di quella nazione.  Fu eseguito quindi l'arresto  dei due presunti colpevoli, uno dei due in seguito ottenne di venire in Italia temporaneamente per farsi curare di un'ischemia, mentre l'altro restò confinato nell'ambasciata italiana a New Delhi dove risiede ormai da oltre tre anni. Non è prevista la sentenza in tempi brevi.

Non è contestabile il fatto che la giustizia indiana si sia finora mossa (o non lo abbia fatto) con manifesta difficoltà, rinviando di sei mesi in sei mesi perfino l'inizio del processo e la contestazione di un vero e proprio atto di accusa e il governo locale e quello federale non abbiano avuto il coraggio elementare di affrontare l'opinione pubblica rimandando di continuo ogni decisione in un senso o nell'altro.

Nel merito, come ho già scritto tempo fa, le cose sono poco chiare. E' un fatto che due padri di famiglia indiani, due pescatori sulla loro barca avvicinatasi troppo alla nave italiana, sono stati uccisi da colpi di arma da guerra partiti evidentemente dalla petroliera e ciò non è mai stato smentito, a quanto sembra, nemmeno dalla difesa. Come è incontestabile che si sia trattato di un tragico errore da parte di chi ha sparato, in un contesto di frequenti attacchi dei pirati alle navi di diversi paesi rendendo necessario assegnare alle stesse una scorta armata.

L'omicidio c'è stato, è indubbio, anche se involontario, e penalmente è perseguibile in ogni legislazione, probabilmente solo come omicidio colposo o al massimo preterintenzionale..

Si può anche capire che la giustizia indiana, sotto pressione dell'opinione pubblica, pretenda di giudicare essa stessa i due soldati, ma non è accettabile il continuo rinvio di ogni decisione, di ogni atto, perfino della semplice formulazione dell'accusa, del perpetuarsi di una detenzione, sia pure in domicilio extraterritoriale, ormai pluriennale e della pretesa che, in tali condizioni, anche l'altro marò ritorni in India senza la prospettiva di una soluzione a breve, almeno sotto forma, per ipotesi, di un processo per direttissima ed esibizione, finalmente, delle prove di colpevolezza, con una condanna, del resto già scontata,  e della conseguente espulsione, oppure con una assoluzione definitiva.

Finora tutti i tentativi in via diplomatica, anche in sede internazionale, non hanno dato alcun frutto. Sarebbe a questo punto auspicabile una composizione ragionevole fra le due opposte tesi, ma non è facile interferire con la giurisdizione di un grande paese sovrano, senza peraltro abdicare alla necessaria fermezza. A mio parere, nel frattempo, dovrebbero essere evitate campagne di stampa e interventi politici mirati a descrivere i due interessati come eroi nazionali, dando l'impressione agli indiani che in caso di liberazione i due sarebbero accolti in Italia come tali.

Per il nostro paese, la soluzione della vertenza, come si è detto, è una questione di dignità,  ma lo sarebbe anche per l'India che tuttavia la sta compromettendo ignominiosamente.

 

Giacomo Morandi


 

 

 

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piazzascala.it - aprile 2016