Invitato dal rappresentante  dell’Istituto , Lorenzo Arboit, ho avuto il piacere di parlare ad oltre un centinaio di studenti con tematiche inerenti al giornalismo di ieri e di oggi.  Devo subito ringraziare un’assemblea molto attenta, i professori presenti e tutti coloro che hanno collaborato a questa sorta di “laboratorio”. La stampa locale ha avuto parole di apprezzamento in relazione a questa nutrita assemblea , dicendo che è stata alta  la risposta degli studenti, anche per la presenza di persone che, del giornalismo, hanno fatto il loro lavoro ed hanno riversato tutta la loro passione.

Qui di seguito, l’intervento dell’oratore, riprodotto in simultanea :

Buongiorno a tutti. Non mi è mai capitato di parlare a tanti giovani e non nascondo la mia emozione in quanto, la mia età che, molto verosimilmente, sarà di 4-5  volte superiore alla Vostra, potrebbe mettermi in difficoltà se messa a confronto con la vostra invidiabile moderna ed aggiornata “forma-mentis” , essendo io – purtroppo -  nato nel lontano 1935

Che Dio me la mandi buona ! Ed affrontiamo subito il tema.

Cos’è il giornalismo ?

Dico subito che fare  il giornalista non significa fare un lavoro , come  ho sentito dire anche in questi ultimi giorni nel corso di un’assemblea giornalistica durante la quale, proprio giovedì scorso,   è stato premiato il direttore della nostra emittente, Telebelluno, a Mestre.

Oggettivamente,  ma non l’avevo mai detto a nessuno per tema di essere frainteso e magari anche deriso con qualche battuta secondo la quale nella vita i giornalisti ed i preti non lavorano,  questo pensiero lo serbavo nel mio “io” fin da quando ho incominciato a fare il giornalista, professione che, se vuoi anche inconsapevolmente, contrariamente a quanto succede per altri contesti,  non stanca mai, ma procura piacere, benessere psico-fisico in quanto il  predetto piacere finisce per rinnovare la biochimica fisica di chi si accosta a questa professione che, a mio avviso, è una delle più belle ed affascinanti del mondo. Non solo, ma mi par di aver anche constatato che il rinnovo-biochimico delle cellule del giornalista sia a favore delle aspettative di vita (Montanelli, Scalfari, e tanti altri costituiscono un esempio)

Perché non sarebbe un lavoro ? Perché, secondo me, esso incarna una passione assai gratificante che sembra essere richiesta dal nostro subconscio  ancor prima della necessità oggettiva del profitto per  campare : penso di non allontanarmi  tanto da questo mio pensiero quando dico che, per certi versi, il giornalismo  vero, quindi serio, ripeto serio (non quello del giorno d’oggi,quasi sempre appiattito all’interesse)   potrebbe avere degli accostamenti con le pagine di un Vangelo in itinere… oppure con una cultura pseudo-filosofica  del 1400-1500,  realtà entrambe che,  non a caso, affermavano, anche per bocca di Erasmo da Rotterdam, che i filosofi-scrittori erano rispettabili per la loro barba e per il loro mantello, mentre i teologi  erano dei soggetti sempre pronti ad accendersi come la polvere nella loro veste di…dicitori del nulla.  Ergo, fatiche poche…! 

Questa ironica dicotomia, tra l’altro espressa da uno dei più grandi, per quanto discutibili  umanisti di 5-600 anni fa,  a mio avviso esiste ancor oggi  seppur in chiave moderna, adattata ai nostri giorni come la lettura dei Vangeli, per cui viene quasi spontaneo pensare che qualche addentellato con il giornalismo “non lavoro”  e la “teologia”  di oggi predicata da una politica seria (lo ripeto ancora, non quella di questi tempi, in quanto la politica dovrebbe essere missione-apostolato-religione  raccontate da seri giornalisti), possa trovare una qualche giustificazione, priva di scherzose boutades,  anche oggi quando si dice che il giornalismo e la teologia non sono un…lavoro. Andrebbe detto, invece, che tutto ciò richiede fatica e sacrificio ,  sia in termini psico-fisici che di tempo.

“Perché tutto questo preambolo che potrebbe c’entrare come i cavoli a merenda “,  qualcuno di voi  molto giustamente mi chiederà.

La risposta è presto data: il giornalismo, quello vero, per quanto ho potuto constatare personalmente,  non stanca mai,  così come non ci si stanca mai quando ci si accosta ad uno strumento musicale. Lo dico con estrema sincerità, anche per esperienza personale:  quando mi metto di fronte al PC o al pianoforte,  improvvisamente vivo appagato,   in un  mondo nel quale posso esprimere liberamente tutto a me stesso, riversando il mio pensiero anche agli altri che magari si trovano in altra parte del pianeta.. specie oggi con la tecnologia avanzata. E tutto ciò è estremamente bello. Non andrebbe sottaciuto che il giornalismo non prevede idealmente una… pensione, eccezion fatta per quella dell’INPS o della CASAGIT,  e che, una volta raggiunta una certa professionalità,  intascando la pensione materiale,  si puo’  continuare fino all’ultimo respiro tanto da potersi definire sempre “occupati”,  alla  faccia anche della legge…Fornero che avrebbe però gradita questa possibilità…. ma per altri motivi riconducibili alla messa in sesto dei bilanci pubblici.  Ma questa è una boutade per entrare in un finale molto importante ai fini di un indirizzo professionale verso il giornalismo.

Vorrei raccontare qualche esperienza di vita vissuta, ma temo di tediarvi, per cui mi limito anzitutto  nel dire brevissimamente  qualche parola sulle  modalità con le quali si viene a far parte di questo…”non-lavoro”.

Si diventa professionisti  (salvo che le cose non siano cambiate) dopo 18 mesi di praticantato in un giornale e dopo una prova d’esame che, ai miei tempi, si teneva a Roma. Nel frattempo si è praticanti fino al diciottesimo mese dopo aver sostenuto l’esame.  Poi ci sono i pubblicisti che collaborano con assiduità ad un giornale (anche con contratto)  ma non fanno del giornalismo un’attività prevalente: per esempio, medici, avvocati, politici, bancari ecc. ecc. come lo è stato il sottoscritto che ha abbinato il lavoro prevalente di funzionario di banca a quello della carta stampata.  Realtà  quest’ultima che, non lo dico certo per uno stupido atteggiamento di vanagloria, mi ha fatto fare delle esperienze meravigliose  come esponente del Consiglio Regionale del Veneto,  del Direttivo dell’Assostampa Bellunese, nonché come delegato nazionale per  il Veneto  in seno alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana nel lontano 2001, in Abruzzo.

Ricapitolando, ribadirei questi  seri pensieri

Il giornalismo non è un semplice mestiere , non  costituisce un modo come un altro per guadagnarsi da vivere, ma molto e molto di più: esso ha una grande dignità e una grande bellezza, perché è finalizzato alla ricerca della verità. Non per niente i giornalisti vengono definiti..cani da guardia del vivere sociale.. Ha insito un valore morale, avvertibile nel modo di raccontare, nel presentare i fatti nella loro essenza, evitando titolo “gridati” per costringere talvolta forzatamente l’ascolto o la lettura.  Certo, la scuola che state frequentando, ma anche scuole ad hoc, aiutano, ma esse sono propedeutiche  perché nessuna scuola potrà mai insegnarvi la missione, non vi dà quella cosa in più di cui abbiamo bisogno: la vocazione. E certe scuole di giornalismo che ho voluto l’ occasione di vedere, mi hanno offerto l'impressione di essere frequentate da seminaristi senza vocazione (tanto per stare in tema con quanto ho detto prima). Se uno fa il muratore o il meccanico e lo fa bene, nulla da dire; ma se uno fa il prete, per farlo bene deve avere qualcosa in più. E il giornalista è come il prete: deve avere la chiamata, la vocazione, sentire la missione.

Un giorno di qualche anno fa ebbi l’opportunità di chiedere ad un prete di Vellai (deceduto pochi anni fa): “Lei, in alternativa al sacerdozio,  cosa avrebbe scelto di fare  ?” Risposta secca: Il giornalista o il politico…

Insomma, il giornalismo è un “mestiere”, ma non come tanti. Non é una cosa che fai andando a lavorare alle 9 del mattino e uscendone alle 5 del pomeriggio; esso è un sano modo di porsi verso la vita che trae input dalla curiosità, dal desiderio di offrirsi in direzione del bene comune, finendo per diventare  un vero e proprio  servizio pubblico: è missione. Esattamente come quella che ci insegna il Vangelo. Ovviamente, se esso viene praticato con lo stesso spirito del Vangelo stesso.

Il giornalismo è pertanto una missione seria a tutti gli effetti. Basta avere curiosità seria ed oggettiva  per le persone e le cose (non pruriginosa come succede spesso oggi) , tanta umiltà per non anteporre se stessi ai fatti e alle notizie, rispetto per i lettori,  ferrea e dignitosa linea da mantenere nei confronti del potere, senza abdicare ad esso per qualsiasi motivo.  E poi, certo, è necessaria una buona cultura di base, ci vuole tanta disponibilità al sacrificio, bisogna verificare l’attendibilità di ogni cosa che si scrive, centrando la verità anche allo scopo di non danneggiare gli altri per errore.. infatti, quando si è scritto si è scritto e vale il detto latino. “scripta manent…”

Per un giovane che si sente attratto da questa professione, per me davvero affascinante, vorrei spendere alcune parole.

Innanzitutto è necessario scostarsi dall’esempio che ci hanno lasciato i vecchi come il sottoscritto. Non trovo utile frequentare le scuole di giornalismo che, secondo la mia esperienza, servono a poco. Si deve però studiare con criterio  un po' d'economia, un po' di storia, le lingue, requisiti tutti che devono integrarsi con la soggettiva sensibilità.  Non guasta, anzi, è importante sapere l’inglese che fino ad oggi è ancora la lingua più usata nel mondo commerciale, nell’interscambio culturale, scientifico, a cui vorrei  anche aggiungere quanto segue.

Sono in pochi a suggerire che, di questi tempi, sarebbe necessario apprendere l’arabo , perché questa lingua si coniuga con la realtà di questo mondo, in cui ci possono essere o uno scontro o - come c’è da augurarsi - un dialogo di civiltà.  Le guerre molto spesso traggono origine dal fatto che non ci si capisce… e  conoscere l'altro è  pertanto essenziale.

Una volta, ricordiamocelo, si diceva che il Mediterraneo era il 'Mare nostrum', senza mai citare gli altri popoli che vi si affacciano a questo non pensando, da sprovveduti, che detti popoli che lambiscono il Mediterraneo parlano tutti l'arabo, e che il mare  era ed è anche loro.   Essi, per le ragioni più diverse, ci sono sempre più vicini: è necessario conoscerli bene, attraverso la loro lingua e la loro storia, per avviare un dialogo, per cogliere e rispettare le differenze.

Io credo che un giovane che recepisce questi concetti ed attento alle problematiche anche recentemente intervenute nei confronti del mondo arabo,  possa fare un ottimo giornalismo, dando una massiccia spolverata (con impiego di efficaci detersivi)  a quel pressappochismo che oggi contraddistingue una gran parte dei quotidiani italiani, che, proprio per questi motivi,  sono ormai alla deriva quanto a vendite.

Un giornalismo moderno, non appiattito a quello di tanti talk-show televisivi devianti o alla carta stampata soltanto di profitto che rattrista davvero tutti, potrebbe servire, con l’apporto intelligente e moderno di voi giovani  qui presenti ai quali ho avuto onore e piacere di parlare, per dare una spallata a buona parte del mondo mass-mediale che stiamo tutti sopportando allo scopo di far prevalere una volta per tutte le ragioni della vera ed onesta informazione rispetto a quella del disgraziato mercato.

Sono a disposizione per eventuali domande… posto che sia in grado di rispondere… e grazie della vostra attenzione. “”

L’evento, invero partecipato, in concomitanza con gli esecrandi attacchi avvenuti solo poche ore prima a Bruxelles,  ha avuto una parentesi musicale ad hoc come “Blowin’n in the Wind” di Bob Dylan e “Imagine” di John Lennon, a cui ha fatto seguito un minuto di silenzio.

C’e’ da sperare che il mondo cambi e si capisca, anche grazie ad un giornalismo che sappia parlare al cuore delle persone. E non al solo portafoglio, come ho cercato di suggerire. Ma sarà dura…

 

Arnaldo De Porti

 

 

 

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piazzascala.it - marzo 2016