ANCORA LE FOIBE


Si ripetono, come ogni anno, le lettere a Libertà sul ricordo delle foibe istriane e del drammatico esodo degli italiani dall’Istria dopo la fine della II Guerra Mondiale, quando una parte di quei territori passarono alla Jugoslavia, che le aveva occupate militarmente, per decisione della Conferenza della Pace di Parigi e del successivo Trattato di Osimo fra i due governi.
Una parola ricorrente in queste lettere è “condivisione”, condividere il ricordo di quella tragedia fra tutti gli italiani, di tutte le tendenze. Per questa idea, qualche anno fa fu istituita la “Giornata del Ricordo”, seguita di poche settimane a quella della “Memoria” che a livello mondiale celebra la Shoah, cioè il genocidio di milioni di ebrei e di altre minoranze etniche e religiose da parte dei nazisti con la collaborazione attiva degli altri regimi satelliti.
La nuova ricorrenza, come noto, fu promossa dall’allora governo di centrodestra e da allora le celebrazioni non nascondono l’intento di rispolverare il vecchio anticomunismo. e il ricordo ne soffre e incoraggia il riemergere di reazioni in Italia e all’estero. Accade anche da noi, nelle lettere che puntualmente “Libertà” riceve nell’occasione.
E’ noto che le uccisioni perpetrate in quella regione contesa fra istriani di origine italiana e slavi di etnia slovena e croata, provocarono migliaia di vittime per lo più innocenti o soltanto colpevoli di aver fatto parte di quella che, dopo le annessioni all’Italia, era diventata l’etnia dominante, ma era maggioranza solo su buona parte delle località del litorale e netta minoranza nell’entroterra e in tutta la regione istriana e dalmata..
Il ricordo e la condivisione, peraltro, per un popolo civile e in democrazia, non possono prescindere dalla conoscenza della storia, degli antefatti, dai contesti, tanto più per chi si definisce “storico”, anche non di professione.
Sono anni che leggo commenti parziali, per non dire di parte, che hanno il solo fine di trasformare una ricorrenza che dovrebbe, appunto, essere condivisa e imparziale, in atto di accusa per una parte politica avversa.
Mi permetterei di suggerire a questi signori qualche buona lettura documentata, ammesso che non l’abbiano già fatto, e ciò sarebbe grave, sui fatti e sugli antefatti dei tragici avvenimenti degli ultimi due secoli, in quella parte di territorio contesa fra popoli di lingua ed etnia diversa, soggetti per un lungo periodo alla sovranità dell’Impero Austro-Ungarico, poi al Regno d’Italia, alla dittatura fascista e, persa la II Guerra Mondiale da quest’ultima, al Regime di Tito e infine alla Slovenia e alla Croazia, come auspicato dalla popolazione locale di etnia slava.
Come noto a tutti coloro che si sono presi la briga di documentarsi, i vari passaggi non sono stati tutti indolore. Non c’è stato governo che non abbia tentato, anche con provvedimenti violenti, di snazionalizzare gli abitanti di una parte o dell’altra. Perfino l’Austria, accreditata di una buona prassi amministrativa, favorì ad epoche alterne l’uno o l’altro dei gruppi etnici in Istria e in Dalmazia, ma la mano pesante fu soprattutto quella italiana, a partire già dai governi liberali del primo dopoguerra.
A calcare la mano, come si dice, fu però il governo fascista fra il 1922 e il 1943 e ancora di più il regime di Salò che in quei territori, incorporati di fatto dalla Germania, agì pesantemente a fianco di quest’ultima.
Si favorì l’immigrazione da parte di funzionari, impiegati, militari italiani con le famiglie, si chiusero scuole, circoli, associazioni, si cambiarono i nomi dei paesi e divenne obbligatoria perfino l’italianizzazione dei cognomi, fu bruciato il Centro Culturale Sloveno a Trieste, furono arrestati e inviati in campi di detenzione sulle isole e in Italia migliaia di sospetti oppositori con le loro famiglie e centinaia morirono di stenti. Il Tribunale Speciale lavorò alacremente anche a Trieste comminando anni di carcere e una cinquantina di condanne a morte. Si leggano in proposito i libri di Capogreco, di Giustolisi, di Del Boca, di Pupo, di Cecotti e molti altri, dettagliati e ricchi di richiami bibliografici e documenti, solo per capire (e non giustificare) l’ondata di odio e l’esplosione di vendetta all’arrivo delle milizie titine, inizialmente irregolari, che le popolazioni soggette consideravano liberatrici.
Il mio vivo patriottismo, l’amore per il mio paese, non mi impediscono di vedere e condannare anche i misfatti di chi, perpetrandoli anche a mio nome, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania, in Libia, in Etiopia e per lo più restando impunito, ha macchiato il nome dell’Italia ed è stato causa di tante sofferenze e lutti anche per le centinaia di migliaia di nostri connazionali che hanno poi dovuto lasciare le terre nelle quali erano nati.
Giacomo Morandi
 

 

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico:



 

 

 piazzascala.it - maggio 2017