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MA E’ PROPRIO VERO CIO’ CHE CI RACCONTANO SUL LATTE E DERIVATI ?
O E’ IL BUSINESS CHE INFLUENZA IL MERCATO E LA DIETA DELLE PERSONE
?

Il GAZZETTINO del 6 maggio 2017 (che ho conservato per un approfondimento con esperti del settore alimentare) è uscito con questo titolo. “Bufale on-line sugli alimenti. Ci credono 3 italiani su 4”.
La notizia, invero molto interessante, ed in un certo qual senso (è proprio il caso di usare questo verbo per stare in tema) “alimentata” dalla Coldiretti, non poteva non interessare anche lo scrivente che, avendo ormai vari decenni di vita alle spalle, fa attenzione a quello che mangia nella speranza di vivere meglio e, possibilmente, Dio volendo, anche qualche….giorno in più. Esattamente come facciamo tutti.
E vengo al dunque.
Scarsamente convinto su quanto mi viene raccontato sui benefici che ne deriverebbero dal consumo del latte vaccino, ma anche di altri alimenti importanti, ho voluto approfondire l’argomento invitando un’ ospite di riguardo in materia di alimentazione, la dott.ssa Benedetta de Mari (di cui a foto sotto riportata), la quale, ad ogni mia specifica domanda sull’argomento mi ha risposto velocemente su tutto con modalità “a domanda risponde come nei…Tribunali”, con visibile convinzione riconducibile anche dai suoi profondi studi in sociologia della salute con particolare attenzione alla farmacologizzazione del cibo, suffragata da risultanze di insigni nutrizionisti di fama mondiale.
Domanda : Dott.ssa de Mari, ci saranno anche le “bufale” nel web che creano immotivati allarmismi di natura alimentare, ma siamo davvero sicuri che essi siano sempre tali se è ben vero, come in effetti risulta da quanto è stato scritto sul Gazzettino del 6/5/2017, che tre italiani su quattro (tenuto conto che non siamo meno o più imbecilli di una volta) hanno problemi quotidiani sulle scelte alimentari, e ciò non solo con riferimento alle notizie “internet”, ma anche e soprattutto perché ormai consapevoli che le vendite sono spesso frutto di propaganda mass-mediatica piuttosto che di oggettiva corretta utilità nutrizionale ? Propaganda che, sfuggendo anche alle istituzioni sanitarie, quando addirittura non siano “manovrate” per consentirla, il più delle volte se ne infischia della salute dei cittadini in nome del business?
Risposta : La rete è una gran risorsa ma, essendoci tutto e il suo contrario, va utilizzata “cum grano salis”: abusarne può infatti risultare controproducente se non dannoso. Ciò premesso e precisando che i miei studi in fatto di alimentazione sono di natura sociologica e non strettamente medica e nemmeno nutrizionale, vengo al punto della Sua domanda.
L’indagine del Gazzettino che Lei sottopone alla mia attenzione è patrocinata dalla Coldiretti e, sebbene sia leader nei controlli di qualità del cibo, la stessa è diretta interessata alla produzione e alla commercializzazione dei suoi prodotti; già questo fatto mi fa essere prudente e particolarmente attenta alla notizia che questo articolo diffonde.
Il medico Ippocrate di Kos, padre della medicina moderna e a cui dobbiamo il giuramento recitato ancor oggi dai laureati in tale materia, affermava che il cibo dev’essere medicina e la medicina dev’essere cibo: si tratta di considerare il cibo non solo come nutriente, ma più precisamente come farmaco ed elemento curativo atto a mantenere l’organismo in salute.
Oggi il cibo da nutriente è stato trasformato in consumo: non viene più prodotto dalla Natura, ma sempre più spesso dall’industria alimentare. E tra i compiti dell’industria alimentare c’è la vendita dei propri prodotti attraverso precise azioni di mercato. Ecco quindi, tra le innumerevoli proposte alimentari, l’imbarazzo della scelta di una dieta (e con tale termine mi riferisco non solo al regime alimentare, ma all’intero stile di vita intendendo il termine nella sua accezione etimologica) da parte dell’utente che sia davvero salutare o, meglio ancora, di una scelta nutrizionale che sia tale in quanto lecita ed adeguata in relazione ad un progetto di vita quantitativamente e qualitativamente elevato. Le azioni di mercato sono sempre mirate alla vendita di un determinato prodotto e sono sempre maggiormente raffinate nel creare un bisogno alimentare specifico. In questa fascinazione commerciale spesso cade non solo il singolo soggetto consumatore, ma anche l’istituzione sanitaria e ciò è facilmente verificabile da chiunque legga le direttive alimentari del Ministero della Salute nelle quali tutto sembrerebbe essere lecito ed adeguato, in nome di un generico onnivorismo, alla biologia umana da un punto di vista nutrizionale, ma anche da chi abbia semplicemente potuto saggiare il regime alimentare ospedaliero, spesso costituito da cibi precotti e preconfezionati, pertanto, direi, non particolarmente salutari.
Per concludere: il business dell’industria alimentare esiste ed è sotto gli occhi di tutti e non è nemmeno più di scandalo che questa produca e commercializzi cibo che viene definito spazzatura. Il singolo ha però, a mio parere, ancora il potere di scelta nei confronti del mercato globale. La scelta è quella tra un cibo industriale, un cibo spazzatura ed un cibo che sia lecito e adatto secondo la più antica tradizione, un cibo che sia medicina e al tempo stesso una medicina che sia cibo. Non dobbiamo infatti trascurare anche la forte medicalizzazione a cui la vita dell’individuo contemporaneo è sottoposta, medicalizzazione che diventa industria anch’essa e che sempre più pare essere collegata a quell’altra industria di cui abbiamo accennato in precedenza.
Domanda : Dott.ssa de Mari, si dice che l’ananas bruci i grassi, che il Kamut sarebbe una varietà antica di cereali, che mangiare carne farebbe male (a mio avviso tutte bugie o, quanto meno, notizie con una grande percentuale di infondatezza), affermazioni spesso gratuite su cui è meglio sorvolare in questa sede anche perché Lei dovrebbe scrivere un altro libro sull’argomento, ma non mi esima dal chiederLe precisazioni scientifiche su di un alimento di uso generalizzato, specie qui in Italia. La domanda è la seguente:
“Il latte fa bene o fa male”? Se fa male perché lo assumiamo quasi tutti i giorni? Non sarà che ci siamo assuefatti a questo tipo di malnutrizione in quanto il nostro organismo, alimentato dalla propaganda anche dei suoi derivati, si è assuefatto ad esso come se si trattasse di un medicinale privo di effetti ?
Risposta: L’argomento della farmacologizzazione del cibo ha riempito non solo i miei studi in sociologia della salute, ma anche la mia vita negli ultimi anni: pertanto un altro libro sul tema mi piacerebbe davvero scriverlo, ma il genere poco si adatta alla brevità tipica dell’intervista.
Per quello che ho potuto appurare durante miei studi Le rispondo subito, suffragata anche dagli studi di medici e biologi del calibro di Campbell, che le proteine animali in genere non sono adatte, se non in taluni casi addirittura dannose, all’organismo umano e pertanto andrebbero assunte con estrema moderazione e prudenza o eliminate. Questo perché, nella maggioranza dei casi, sono sostanze acide e pertanto variano in tal senso il p.h. dell’organismo che dovrebbe essere, quando questo è in buona salute, leggermente alcalino. Accenno poi brevemente al fatto che l’inevitabile cottura della carne produce benzopireni, noti per essere sostanze cancerogene. Avendo attentamente osservato le società che popolano il globo terracqueo ne ho desunto che quelle popolazioni che nel loro regime alimentare hanno eliminato le proteine animali sono sensibilmente più longeve: un esempio per tutti è l’arcipelago giapponese di Okinawa, ove superare in buona salute fisica e mentale i cento anni pare essere la norma. Nel caso specifico della carne poi vorrei precisare che contiene naturalmente putrescine e cadaverine e artificialmente, negli animali allevati, anche una buona dose di antibiotici ed estrogeni. Già tutti questi nomi dovrebbero farci pensare a non abusare di questo alimento. Per quanto riguarda il Kamut mi limito a dirLe che è un marchio commerciale registrato e non un alimento.
Passiamo all’argomento latte: è anch’esso costituito da proteine animali, pertanto rimane valido il discorso fatto poc’anzi. Sappiamo che il latte vanta una gloriosa e plurimillenaria storia anche se uno studio della University College of London, pubblicato sulla rivista Prooceding of the National Academy of Science, ci assicura che la popolazione europea preistorica non faceva uso di latte in quanto semplicemente non possedeva il gene per digerirlo. Anche oggi il gene, creatosi nell’arco di 7000 anni di pastorizia e di relativo consumo di latte, si spegne nell’essere umano verso i 4 anni di età, guarda caso in approssimazione con lo svezzamento. La dott.ssa Odile Fernàndez Martìnez, medico di base spagnola, afferma che “è nell’interesse dell’industria lattiero caseraria farci bere il latte, ma per natura non ne abbiamo bisogno”. Io mi permetto di aggiungere che l’unico latte adatto e lecito per l’essere umano è quello materno; constato che le popolazioni maggiormente bevitrici di latte sono anche le stesse che, a questo alimento, presentano alte percentuali di intolleranza ed allergia, e allo stesso tempo anche di fratture ossee, sfatando così il mito che associa il latte al calcio. In realtà è vero che il latte possiede grosse quantità di calcio, ma al tempo stesso è una sostanza acida e quando l’organismo entra in stato di acidosi, essendo una macchina perfetta, tenta di mantenere ad ogni costo il suo equilibrio alcalino e si mette alla ricerca di sostanze basiche: il calcio è una di queste e lo si trova particolarmente nelle ossa che vengono depauperate di questa sostanza per tamponare la situazione di acidosi. Ecco spiegata la correlazione tra fratture ossee e assunzione di latte e derivati.
In conclusione vorrei porre io alcune domande che siano di spunto alla riflessione: perché l’uomo è l’unico mammifero che si ciba per tutta la vita e ben oltre lo svezzamento di latte? Rubandolo oltretutto ad un altro mammifero che dovrebbe produrlo per il suo cucciolo che ha esigenze nutrizionali e di crescita ben diverse dal cucciolo d’uomo e a maggior ragione dall’adulto umano? Perché continuiamo ad alimentarci con il latte ben oltre l’età della caduta della prima dentizione che non a caso viene chiamata “da latte”? Perché ci nutriamo di carne se non abbiamo canini così evidenti ed affilati come il nostro fedele amico cane o come una qualsiasi tigre? E abbiamo oltretutto un intestino molto lungo somigliante più a quello degli erbivori che a quello dei carnivori?
Sono naturalmente domande di natura retorica, ma credo possano far riflettere. I miei studi sociologici mi hanno portato ad appurare che determinati cibi sono prescritti ed altri proibiti in alcune società che popolano il nostro pianeta; nella parte occidentale del globo invece queste prescrizioni e queste proibizioni si sono notevolmente affievolite a favore di una perdita della sacralità del cibo prodotto dalla Natura e a stretto vantaggio di una relativizzazione e laicizzazione dello stesso, ma se andiamo a prendere le tradizioni più antiche queste sono strettamente prescrittive anche in termini di assunzione del cibo. Lecito ed adeguato sono infatti termini derivanti dalla tradizione giudaico cristiana e da quella musulmana per definire il cibo assumibile dall’essere umano.
Il latte pertanto, aborrito da molte popolazioni o semplicemente nemmeno considerato quale alimento possibile, viene oggi consumato abbondantemente da altre, le stesse che soffrono più frequentemente di fratture ossee e di altre malattie cronico degenerative, perlopiù inesistenti tra i non bevitori di latte e i non mangiatori di carne.
Ben inteso: sono estremamente convinta che il peccato di gola vada assolutamente commesso e non concordo con certi fondamentalismi esistenti anche in campo alimentare. Diciamo però che di cibo lecito, adatto e ordinato (nell’accezione del mecenate veneziano Alvise Cornaro nel suo Trattato sulla Vita Sobria) ne esiste uno ed è perlopiù di natura vegetale e non animale. Il vitello grasso di biblica memoria si consuma nelle grandi occasioni e non è cibo quotidiano: faccio mia la frase di un altro celebre medico dell’antichità, Paracelso, il quale affermava “dosis sola facit, ut venenum non fit,” sostenendo in tal modo che il veleno lo fa la quantità.
Domanda : Dott.ssa de Mari, dopo questa intervista che, non lo nego, mi ha insegnato molte cose, Lei pensa che, allo status quo, sia possibile riportare gli Italiani ad una corretta alimentazione, scevra da tutti quegli input mass-mediatici che, al giorno d’oggi, più che la salute dell’individuo, incrementano le… strutture ospedaliere ? Tanto da assuefarle allo stesso spirito di un normale mercato? E poi, per favore, mi spieghi perché improvvisamente tutte le fabbriche di dolciumi stampano sulle confezioni: “senza olio di palma”. Che vuol dire? Che prima quest’olio faceva male e non si sono accorti quelli del ministero della sanità o si tratta di ennesimo stratagemma per vendere di più? Magari pensando che il consumatore ci caschi?
Risposta : Ha colto nel segno il senso dei miei studi: medicalizzazione della vita e farmacologizzazione del cibo. Questi due temi sono fortemente connessi: mangio male, mi ammalo, vengo ospedalizzato o quanto meno medicalizzato. In questi avvenimenti della vita si frappongono gli interessi di due grosse industrie contemporanee: quella alimentare e quella medico/farmaceutica. Siamo ammorbati da cibo spazzatura o semplicemente inadatto e da quella che il sociologo Ivan Illich definì come iatrogenesi: siamo ammalati di medicina, spesso stressati dall’esito della diagnosi che talvolta danneggia più della stessa patologia. Il solo fatto che il primo e, nella maggior parte dei casi, anche l’ultimo respiro della nostra vita avvenga in ambiente ospedalizzato Le dà l’idea di quanto la nostra vita sia medicalizzata.
I poteri economici e politici sono oggi giorno evidenti, spiegare ciò da un punto di vista sociale e sociologico è ben più complicato. Come dice bene Lei se un determinato cibo fa male perché esiste ancora sul mercato? Perché mi convinci ad assumerlo? La risposta politica ed economica, come dicevo, è di tutta evidenza.
Una risposta sociologica possibile guarda invece all’individuo che è la cellula di ogni società: il singolo è infatti, in ultima analisi, il solo responsabile della propria salute nel momento in cui decide come e quanto nutrirsi, il singolo diventa soggetto della propria salute uscendo dal ruolo di comparsa-oggetto per diventare protagonista-soggetto di una medicina che, perduto il rango di scienza torni ad essere arte sociale; “arte”- come affermava Sir William Osler- “della probabilità e scienza dell’incertezza”.
Per venire alla Sua domanda: cambiare la cultura alimentare non è semplice, per nulla. Cambiare le proprie abitudini alimentari meno ancora, soprattutto in quanto siamo letteralmente e di continuo bombardati da azioni di marketing che creano in noi il bisogno di consumo di cibo, di norma qualitativamente scarso. Siamo dei cibo dipendenti: pensi al tasso di obesità mondiale (definito dall’OMS “globesity”) che ogni anno uccide da solo milioni di persone. Difficile, ma non impossibile: considererei in primis il vantaggio di un’educazione alimentare e nutrizionale fin dalla prima infanzia, considererei il vantaggio di una farmacologizzazione del cibo a netto vantaggio rispetto ad una farmacologizzazione di sintesi e ancor più ad una medicalizzazione radicale della vita.
Per quanto riguarda l’olio di palma mi pare evidente: scoperta la cancerosità della sostanza (anche se molti sostengono il contrario e la verità non si sa quale sia!) l’azione di mercato si è letteralmente capovolta: in parole povere la verità cambia di volta in volta a seconda di dove tira il vento!
In conclusione credo che la ricetta del medico Ippocrate di Kos sia ancora valida e rinnovabile: ciascuno dovrebbe sperimentare l’evidenza che, come disse il filosofo austriaco Feuerbach, “siamo ciò che mangiamo”.
Dopo questa interessante intervista, mi par di poter concludere con un’affermazione di sintesi. Ormai non sono più i prodotti sani della terra a farla da padrona (posto che la terra sia ancora sana, dubbio quest’ultimo che mi determina un transfert anche verso la cosiddetta coltura biologica che, a mio avviso, costituisce solo un…business per far comprare di più e non certo un incentivo per alimentarci sano), ma la continua e martellante propaganda che finisce per modificare anche le stesse nostre esigenze alimentari. Per cui, anche la Coldiretti che richiama il cittadino dicendogli di fare attenzione su quanto legge sul Web, a mio avviso, non è esente da qualche neo: infatti, per promuovere il mercato dei suoi tanti associati, essa finisce per essere, indirettamente o direttamente, responsabile della commistione salute-mercato.
Tanto, l’uomo è un animale che un po’ per volta, senza accorgersene, finisce per dare spazio all’assuefazione. Oggi ci si giustifica dicendo che si vive più a lungo di una volta. Ma come e dove? Da sani o da malati?

Arnaldo De Porti


P.S. Chi vuol saperne di più trova il testo “ Il tradimento di Ippocrate: dalla medicalizzazione della vita alla farmacologizzazione del cibo” della dott. Benedetta de Mari al seguente link:
https://www.libreriauniversitaria.it/tesi/UNITNBD121930/autore-benedetta-mari/il-tradimento-di-ippocrate-dalla-medicalizzazione-della-vita-alla-farmacologizzazione-del-cibo.htm
ed altri articoli sul tema alla pagina web: www.quotidiemagazine.it