La crisi delle banche

 

Da qualche anno a questa parte leggo e ascolto commenti e analisi sui problemi che il nostro sistema bancario, e non solo il nostro, stanno vivendo per diverse cause che gli esperti e ancor più gli stessi banchieri, stentano a riconoscere o ad ammettere, almeno unanimemente.
Fino a poco tempo fa le banche facevano parte, nell’opinione comune, dei cosiddetti “poteri forti”, in grado di imporre le loro politiche, le loro scelte. Non c’era uomo politico che non seguisse la vulgata, molto diffusa nell’opinione pubblica, dello strapotere dei banchieri, senza distinzione, sulla politica, sull’economia, sull’Unione Europea (“l’Europa delle banche”). Quasi improvvisamente ci si è accorti, invece, delle loro debolezze, della sostanziale vulnerabilità del sistema a livello mondiale, esagerando in senso contrario e facendo di ogni erba un fascio.
Le cause principali delle difficoltà sono state descritte da molti esperti, come nel recente articolo del professor Giacomo Vaciago sulle colonne di Libertà. Alcune non sono recenti e vanno fatte risalire alla natura di molti istituti, al tipo di mercato al quale sono indirizzati, al tipo di controllo proprietario, alle dimensioni, al mancato o insufficiente adeguamento alle nuove tecnologie.
Dai tempi in cui lavoravo nel settore, ormai molti anni fa, l’operatività è radicalmente cambiata, anche per le modifiche delle legislazioni in molti paesi e le nuove regole internazionali molto più restrittive. Anzitutto, le classiche banche commerciali, almeno quelle medio/grandi, si sono trasformate in veri e propri supermarket finanziari che offrono gamme complete di prodotti, primari e derivati, entrano nell’azionariato delle loro clienti, erogano finanziamenti a medio e lungo termine, gestiscono risparmi e patrimoni, fanno consulenza eccetera. Numerose sono inoltre le banche on line, senza reti di sportelli o con limitata presenza nei territori.
In buona parte queste nuove attività o il loro incremento suppliscono alla scarsa redditività delle operazioni classiche di finanziamento delle aziende e delle famiglie, a causa dei tassi d’interesse estremamente bassi e con la forbice fra tassi attivi e passivi ridotta al lumicino. Le commissioni d’intermediazione e gli utili da trading sostituiscono la redditività classica di un tempo. Ed è anche questa la causa delle pressioni che tanti funzionari di banca, a loro volta oggetto di pressioni da parte dei loro superiori, pongono sui loro clienti per indurli a sottoscrivere titoli non propriamente adatti al loro profilo di rischio. D’altro canto, anche un piccolo investitore che si vede proporre l’acquisto di titoli azionari o obbligazioni subordinate o di paesi emergenti come fu a suo tempo il caso dei titoli dello stato argentino con rendimenti ben più elevati dei comuni investimenti, è poco probabile che non si ponga domande sulla loro maggiore rischiosità. I piccoli e medi funzionari di banca addetti al collocamento dei prodotti, inoltre, ben poche volte sono al corrente del rischio d’insolvenza degli istituti per cui lavorano.
E’ anche vero che molti istituti, a causa delle loro piccole dimensioni, faticano a dotarsi di tecnologie avanzate e a tenere il passo, sui mercati, degli istituti più grandi, con mezzi più adeguati, con presenze sul territorio più diffuse o maggiori specializzazioni.
E’ anche vero che un certo numero di banche, specialmente locali, dispone di vertici meno adeguati o, peggio, legati a doppio filo a interessi e potentati, anche di natura politica ma non solo, che riescono a condizionarli pesantemente. Anche da qui nascono le sofferenze che angustiano molti istituti.
Le sofferenze al netto degli accantonamenti in Italia raggiungono ormai la bella cifra di oltre 85 miliardi e alcuni istituti, pressati dalle autorità comunitarie e dalla Banca d’Italia, nonché da urgenti bisogni di liquidità e nuovo capitale, stanno cercando affannosamente di venderle, naturalmente sotto sconto. Emblematico è il caso del Monte Paschi, in questi giorni alla ribalta, nonché quello di due medie banche venete e delle quattro banche locali del centro Italia, salvate nei mesi scorsi con la procedura europea del “bail-in”, con sacrificio di alcune categorie di risparmiatori. Per la banca senese è stata avviata dal governo una procedura di sostanziale nazionalizzazione per evitare un fallimento che avrebbe gravissime conseguenze non solo per centinaia di migliaia di clienti e migliaia di lavoratori, ma anche ripercussioni gravi sull’economia. D’altro canto, l’intervento comporterà un forte esborso a carico del nostro debito pubblico proprio nel momento in cui sarebbe necessario ridurlo.
Il mestiere del banchiere è diventato ancora più difficile nelle condizioni attuali e ritengo anche che le accuse di disonestà e truffa da parte dei quadri esecutivi siano in buona parte immeritate.
Detto ciò, io sono del tutto convinto che il sistema italiano, nel suo complesso, sia solido, disponendo di un buon numero di istituti di qualità e di livello internazionale, oltre che di banche regionali o locali bene amministrate e radicate nei loro territori. Ciò nonostante, è probabile e auspicabile un rafforzamento con altre fusioni e accorpamenti oltre a quelli già in corso, del resto favoriti dalle autorità di vigilanza, nazionali ed europee.
E’ evidente che il dissesto di qualunque banca, grande o piccola che sia, in qualsiasi paese si ripercuoterebbe pesantemente non solo sui risparmiatori, ma sull’intera economia di quel paese.
 

 

Giacomo Morandi - Rivergaro

 

 

 

 


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