L’EUROPA AL BIVIO
TRA POPULISMO E DEMOCRAZIA SOVRANAZIONALE
di Gennaro Angelini
 

Uno spettro si aggira per l’Europa: il populismo. Parafrasando in negativo lo storico incipit di una delle opere politico-letterarie più discusse dell’ottocento, si riesce ad ottenere una rappresentazione efficace della situazione in cui versa oggi la comunità Europea.
Lungi dallo spirito che animava il progetto originario pensato nel dopoguerra come argine a nuove guerre, perseguire cioè il benessere dei popoli mediante politiche di sviluppo armonico delle attività economiche volte a mantenere un elevato grado di protezione del lavoro e dello stato sociale, l’Europa sta attraversando una delle fasi più travagliate della sua breve vita.
Stretta in una morsa tra fautori del liberismo più sfrenato e contestatori “a prescindere”, l’Europa stenta a risollevarsi dal declino che ne ha caratterizzato il cammino negli ultimi anni. Da un lato il fallimento delle politiche rigoriste invocate dai paesi più influenti, per convenienza o per credo politico poco importa, dall’altro la posizione di coloro che, partendo dal presupposto che la moneta unica è causa di tutti i mali, tende allo sfascio di quanto si è faticosamente creato senza possibilità di redenzione.
Vero che l’Euro ha creato non pochi problemi, soprattutto alle economie più deboli. Ma è fuorviante pensare che sia la causa di tutti i mali. La moneta è uno strumento che regola gli scambi con valori e cicli determinati dalle scelte di politica monetaria. E’ la politica economica quindi la chiave su cui operare per ridare ossigeno ad una asfittica condizione di stagnazione dell’economia di diversi paesi membri. La miope e strumentale posizione di chi agogna il
ritorno alla moneta nazionale per poter governare i processi economici mediante svalutazioni competitive, altro non è che il primo passo verso la dissoluzione del progetto comunitario. L’obiettivo finale di tale progetto è il ripristino di obsolete sovranità nazionali, meglio governabili da soggetti politici di corto respiro, capaci di parlare alla pancia della gente e dare voce alle istanze - anche giuste - di recupero di una dignità sociale andata smarrita, ma incapaci di disegnare un progetto ampio che metta il lavoro e la lotta alle diseguaglianze alla base di un programma di rilancio della comunità europea.
Eppure il problema può essere affrontato in altro modo. Nei talk show o negli articoli di stampa, si esprime unanime preoccupazione per lo stato dell’Unione. Nessuno però si chiede perché e grazie a chi si è arrivati a questo punto. Nessuno che richiami il più semplice e basilare antidoto contro le cattive politiche: il voto.
In Italia, come forse in altri paesi dell’Unione, abbiamo sempre sottovalutato l’importanza delle elezioni europee. A differenza delle elezioni nazionali, politiche o amministrative che siano, di cui ci interessiamo per convinzione o opportunità, le elezioni europee le affrontiamo con disagio. Viviamo l’Europa come una vicenda lontana che non impatta con i nostri interessi immediati. Designiamo perlopiù rappresentanti di cui ignoriamo capacità e competenze. Le pur stucchevoli discussioni cui assistiamo nelle campagne elettorali nazionali non fanno presa sul nostro ego quando si tratta di elezioni europee. Il risultato è che da anni l’Unione Europea è amministrata dagli stessi soggetti che attuano le stesse politiche. E se ciò è comprensibile per i paesi economicamente più solidi, lo è meno per quelli più deboli. Astenersi dall’eleggere rappresentati che propugnano un disegno politico alternativo o quanto meno che abbiano voglia e capacità di orientare l’indirizzo politico di maggioranza, equivale a delegare ad altri, con interessi non necessariamente convergenti con i nostri, a operare per nostro conto.
Piuttosto allora che parlare solo di Euro, facciamoci portatori di proposte di cambiamento e diamo voce a chi quelle proposte le vuol perseguire. A meno che non sia più comodo lamentarsi, trovare in qualcosa o in qualcuno il capro espiatorio su cui riversare tutte le nostre frustrazioni. Può essere la moneta, il fisco, l’immigrato, il rom o il diverso. Ognuno può inventarsene uno. Mai nessuno però che guardi a fondo nella propria coscienza e cerchi di recuperare quel concetto di cittadinanza attiva che potrebbe far arrivare a Bruxelles un pur flebile anelito di voglia di partecipazione.
Preferiamo ascoltare chi urla di più. Chi parla per slogan. Chi lancia allarmismi, spesso infondati ma che fanno breccia nell’immaginario collettivo. E’ l’epoca questa della crisi dei valori. Facciamo nostri concetti che non appartengono al nostro DNA per pigrizia o comodità. E’ un’epoca in cui è venuta drammaticamente meno la capacità di ascoltare. Non interessa ascoltare una voce dissonante, né quella del vicino con difficoltà maggiori o diverse dalle nostre. Recuperiamo e introiettiamo solo pezzi di discorsi, frasi fatte semplici da memorizzare. E non da oggi.
Pochi ricordano ad esempio che in Italia al momento dell’introduzione della moneta unica, dopo una faticosa trattativa per ottenere il miglior cambio possibile tra Lira e Euro, fu clamorosamente omesso ogni tipo di controllo circa il rispetto dei valori di concambio nei prezzi al consumo.
Causata forse da superficialità o da calcolo politico, si era nel frattempo insediato un governo di segno opposto, tale omissione ha avuto nefaste conseguenze sulla maggioranza delle persone (e di converso l’arricchimento di pochi), tali che ancora oggi ne sopportiamo i disagi. Eppure oggi, dimentichi di tutto, molti condividono la tesi di chi sostiene che il penalizzante cambio reale Lira/Euro
1.000 a 1 è colpa dell’Euro o dell’Europa.
Non sono però da meno gli altri paesi europei. A partire dalla Gran Bretagna che con la scelta di uscire dall’Unione, sulle cui conseguenze è prematuro soffermarsi, ha di fatto sancito la supremazia della volontà popolare su quella politica. E qui si pone un grosso problema: il ruolo della politica. La funzione basilare della politica dovrebbe essere quella di comprendere i bisogni della popolazione, elidere la portata corporativa delle istanze e realizzare politiche di interesse generale. I partiti o movimenti politici tendono oggi invece a commissionare sondaggi e farsi paladini delle istanze cui tempo per tempo risultano sensibili il maggior numero di persone. Antepongono cioè la logica del consenso alla logica dei valori, alimentando una deriva demagogica che consente alla tecnocrazia di appropriarsi di spazi propri della politica.
Per salvare l’Unione Europea occorre quindi riappropriarsi della politica nel senso alto del termine. Realizzare azioni congiunte nel campo del welfare e della fiscalità generale. Ripristinare il primato della politica sull’economia. Rilanciare in sostanza i principi fondativi espressi nella Carta dei Diritti Fondamentale dell’Unione Europea, riconducibili ai valori della dignità, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà.


da "Nuova Realtà" notiziario Associazione Bancari Caripuglia-UBI><Banca Carime - Bari
Anno XXIII - numero 2 - giugno 2017

 

 

 

 

 

 

 

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