Banche e Governo
Ho
riflettuto a lungo sugli avvenimenti che hanno portato alcune banche
del centro Italia ad essere assoggettate alla procedura del “Bail
In” prevista dalle norme dell’Unione Europea ed entrate in vigore,
in Italia, all’inizio del 2016.
Come noto, le regole stabilite da Bruxelles e recepite dalla nostra
legislazione non ammettono più i salvataggi con denaro pubblico e le
nazionalizzazioni delle banche, ma stabiliscono che gli istituti in
gravi difficoltà siano eventualmente rimessi in sesto dallo stesso
sistema bancario di ogni paese con l’utilizzo di mezzi accantonati
in un fondo ad hoc, ma con il sacrificio, anzitutto, degli
azionisti, poi degli obbligazionisti subordinati (vale a dire delle
due categorie di investitori a più alta rischiosità) e poi dei
depositanti per cifra superiore ai 100.000 Euro. E’ chiaro che il
parziale salvataggio previsto da tali norme ha lo scopo di tutelare
il più possibile, non le banche o i loro proprietari e dirigenti, ma
il risparmio diffuso per evitare gravissimi contraccolpi
sull’economia di un paese o di certe zone di un paese.
Ho sentito al contrario certi politici e perfino alcuni conduttori
televisivi parlare di decine di migliaia di piccoli “correntisti”
che hanno perso tutti i loro risparmi per colpa del governo che non
ha salvato le quattro banche in questione, ma ha invece salvato i
banchieri e i dirigenti. Niente di più falso e strumentale. Spetta
alla magistratura individuare e condannare eventuali illeciti o
comportamenti colposi o dolosi dei vertici delle banche di cui
trattasi. Sul caso è stata criticata anche la Banca d’Italia che ha
il compito di sorveglianza sugli istituti, ne analizza i bilanci,
compie periodiche ispezioni e impone provvedimenti restrittivi
quando rileva gravi irregolarità nella gestione. Nel caso delle
quattro banche, la Banca d’Italia, dopo vari tentativi di imporre
correzioni di rotta e di ricerca di interventi da parte di altri
istituti italiani, le ha commissariate esautorando il management, in
attesa di trovare soluzioni che si sono rivelate subito molto
difficili. Dopo di che si è reso necessario il “Bail in” con tutte
le sue conseguenze. L’alternativa era il puro e semplice fallimento,
come è il caso di una qualunque impresa industriale o commerciale, e
la liquidazione coatta.
In questi giorni si è scatenata una furibonda caccia alla
Sottosegretaria Maria Elena Boschi, dopo la pubblicazione di un
libro di Ferruccio De Bortoli che in poche righe del testo riferisce
di un tentativo di approccio della stessa presso l’Amministratore
Delegato di Unicredit Ghizzoni, per accertare l’eventuale interesse
della sua banca a intervenire nel salvataggio.
La Boschi ha subito smentito il fatto e De Bortoli, un rispettato
giornalista, lo ha confermato pur senza rivelarne le fonti.
L’intervento della Boschi sarebbe aggravato, secondo le accuse,
dalla posizione di suo padre, già Consigliere di Amministrazione e
Vice Presidente di una delle banche, senza poteri operativi (per sei
o sette mesi, nominato quando la situazione era già decotta).
Qualcuno ha addirittura parlato della “banca del padre”, come se ne
avesse la proprietà o la responsabilità manageriale. E’ noto che si
trattava di una cooperativa, ad azionariato diffuso sul territorio.
Allo stato delle conoscenze, a parte l’assenza di qualsiasi
rilevanza penale nell’eventuale comportamento della Boschi, io
ritengo che, addirittura, se l’approccio nei confronti di Ghjzzoni o
di altro esponente di Unicredit ci fosse stato da parte di un membro
del governo sarebbe stato se mai doveroso, e penso che lo stesso
approccio sia stato tentato dal governo o individualmente da altri
membri dello stesso o da parlamentari del territorio presso più di
una banca o altri investitori, come avviene sempre in questi casi e
non solo per le banche e ciò rientra nei loro compiti.
Non vedo nemmeno l’eventuale conflitto di interessi. La banca era
già commissariata, era già sull’orlo
del fallimento e un intervento di Unicredit avrebbe comportato
probabilmente un risultato peggiore per i dipendenti e per il
territorio. Si vedano le condizioni, emerse in questi giorni,
dell’acquisizione della "good bank” da parte di Ubibanca, al prezzo
simbolico di 1 Euro, la chiusura di 140 filiali e la riduzione del
personale di oltre 1500 unità.
Giacomo Morandi